Juan David Reina-Rozo, Universidad Nacional de Colombia, da ESJ&P International Journal of Engineering, Social Justice, and Peace, 8 (1), 47–60. traduzione dall’inglese di Silvia Treves
ABSTRACT
Lo scopo di questo testo è riflettere su come la fantascienza renda possibile la critica alla moderna tecnologia. L’immaginazione ci ha permesso di pensare a una qualche fine del mondo, ma è uno spazio privilegiato.
Creare futuri alternativi per il nostro rapporto con l’energia è vitale. Progetti aziendali di energia rinnovabile stanno emergendo in angoli del pianeta dove il “capitalismo verde” non è ancora arrivato. In questo modo, la creazione di alternative ai modelli centralizzati e aziendali di produzione, distribuzione e consumo di energia deve attraversare nuove potenzialità per abitare nuovi possibili futuri. La fantascienza è un genere letterario che ha ispirato generazioni di persone assemblando arte, tecnoscienza, utopia e distopia incastonate in un progetto politico. Il Solarpunk si è consolidato come un’area di speranza controculturale per permetterci di superare le ingiustizie socio-ecologiche e la crescente violenza epistemica e ontologica.
Questo genere letterario deriva da altre correnti come Cyberpunk, Steampunk, e Dieselpunk, chiarendo un’altra relazione fra tecnologia, società e natura, alimentata a sua volta dalla fantascienza climatica, indigena e Afro-futurista. In questo senso, si vuole svolgere una revisione del concetto in tre ambiti: 1) storico, sulla base delle sue origini digitali; 2) letterario, sulla base delle antologie pubblicate e 3) accademico, riguardante le riflessioni che ha sollevato. Nella sezione finale, vengono mostrate le osservazioni conclusive e viene condiviso il Manifesto Solarpunk, presentato all’inizio del 2020, per continuare la sua co-creazione.
INTRODUZIONE
Dobbiamo rimandare la fine del mondo, come afferma Ailton Krenak nel suo libro Ideias para adiar o fim do mundo (2019) [“Idee per rimandare la fine del mondo. L’identità esemplare di un piccolo popolo per il futuro delle società umane”, Aboca. Krenak è un leader indigeno carismatico, nato nello stato brasiliano di Minas Gerais, un territorio il cui ecosistema è stato profondamente compromesso dall’attività di estrazione mineraria, NdT]. Per Krenak sono necessari altri modi di pensare il mondo e, in particolare, altri modi di relazionarsi con esso, con noi stessi come parte della natura, superando la dualità cartesiana imposta dal pensiero eurocentrico. Alla fine, per decolonizzare il nostro modo di essere, conoscere, pensare e fare, è imperativo riflettere e immaginare mondi alternativi attraverso il ruolo dell’ingegneria e le sue implicazioni socio-ecologiche. In particolare, gli effetti dell’uso di energia e minerali derivanti dallo sviluppo tecnologico rispetto alle eventualità di un’altra tecnologia possibile, espandendo gli spazi dell’immaginazione.
Il nostro rapporto di collettività umana con l’energia è passato dal considerarla una parte fondamentale della vita sul pianeta, mantenendone le dinamiche ecologiche e spirituali intrinseche al rapporto con la natura, come il popolo dello Yukon che concepisce l’energia come una manifestazione delle relazioni morali tra animali, persone e terra” (Chapman, 2013, p. 105), a una merce scambiata sui mercati internazionali che vengono negoziati da società e stati, perseguendo i regimi estrattivi delle economie coloniali e neo-estrattive del capitalismo verde. Per fare dell’energia un altro elemento della compravendita della natura, con cui, tutelato nello sviluppo sostenibile, il capitale vuole espandersi in territori che non è riuscito a conquistare. Adesso, anche dall’interno del cavallo di Troia delle energie rinnovabili aziendali, come moderno strumento di neocolonializzazione dei territori e dell’immaginario.
LE ENERGIE RINNOVABILI COME MECCANISMO DI SPOLIAZIONE AZIENDALE
Le multinazionali di tutto il mondo stanno costruendo megaprogetti green-washed, in particolare nel Sud del mondo. Progetti che incidono sulle condizioni ecologiche, culturali e politiche dei territori, privandoli persino dei loro diritti. Progetti eolici che prendono il nome di un’entità spirituale (Jepirachi) della comunità Wayuü in Colombia e ne influenzano il rapporto con la terra (Noriega, 2020); dighe come quella di Belo Monte sul fiume Xingu, che ha provocato lo sfollamento di circa 25.000 persone nella città di Altamira e 18.000 ribeirinhos, tradizionali abitanti della sponda del fiume nell’Amazzonia brasiliana (Fearnside, 2017); e iniziative solari aziendali che hanno causato danni ai geoglifi (grandi disegni in forma di figure animate [ad esempio quelli di Nazca, NdT]) in territori che sono stati abitati da comunità indigene a Blythe, California, USA (Mulvaney, 2013).
Dall’aumento dei conflitti ambientali in tutto il mondo – basati principalmente sul consumo illimitato di energia, soprattutto nel Nord del globo – la giustizia ambientale è emersa come spazio di disputa accademica e attivista per l’analisi di questi conflitti ontologici, nel senso di visioni del mondo e controversie sui mezzi di sussistenza (Blaser, 2013, 2019).
Uno dei principali progetti per comprendere le dinamiche globali del capitalismo verde è la piattaforma digitale World Atlas of Environmental Justice. A luglio 2020, questa iniziativa ha registrato circa 3.215 casi di conflitti ambientali (vedi Figura 1 in EJAtlas | Mapping Environmental Justice). In particolare, ci sono 402 conflitti per le dighe e per la distribuzione dell’acqua, 19 conflitti per progetti riguardanti l’energia solare e 5 conflitti per i progetti riguardanti energia eolica, questi ultimi registrati nell’ambito del Clean Development Mechanism [Il CDM è un meccanismo flessibile previsto dal Protocollo di Kyoto e consente alle imprese dei paesi industrializzati con vincoli di emissione di realizzare progetti miranti alla riduzione delle emissioni di gas serra nei paesi in via di sviluppo senza vincoli di emissione, NdT].
La generazione di energia guidata dai consumi per alimentare l’accumulazione di capitale rende India, Brasile, Cina, Stati Uniti e Colombia le cinque nazioni con il maggior numero di conflitti ambientali del pianeta. Pertanto, lo sfruttamento dell’energia è uno dei vettori di neocolonizzazione dei territori che interessano principalmente le comunità indigene e contadine. In questo senso, per abitare potenziali futuri è necessaria la decolonizzazione dell’energia, compresa quella delle energie rinnovabili, sotto il cui velo “green” i territori divengono preda dei monopoli. Questi progetti colpiscono milioni di vite ed ecosistemi alla luce dello sviluppo sostenibile, rimuovendo fin dal 1949 i concetti di benessere collettivo come alternativa allo sviluppo egemonico.
Decolonizzare l’energia quindi è un profondo processo collettivo per decostruire il rapporto che la società industrializzata ha intessuto con l’energia e la sua connessione con la natura, un input per la produzione e il consumo che alimenta una crescita economica illimitata. Pertanto, questa avventura dovrebbe essere alimentata dai dibattiti, dalle domande e dalle idee degli studi decoloniali e dalle lotte dei movimenti sociali e popolari; uno di tali gruppi accademici in America Latina è stato il Modernity/Coloniality (Escobar, 2003; Quijano, 2000). Nel frattempo, in termini di movimenti sociali, possiamo suggerire Rios Vivos in Colombia e Oilwatch International, così come le coalizioni verso la democrazia energetica (Hess, 2018).
Tuttavia, questo processo non dovrebbe essere trattato solo nel Sud del mondo. La decolonizzazione energetica passa anche attraverso il Nord, è un processo che abbraccia tutte le aree geografiche per mano dei movimenti sociali, tra cui Black Lives Matter negli Stati Uniti (Lennon, 2017), il movimento Standing Rock negli Stati Uniti e il movimento Komi in Russia (Tysiachniouk, et al 2020). È un’impresa complessa, che deve essere immaginata e creata a partire dalla pluralità di dimensioni sociali, culturali, politiche e materiali rappresentate da movimenti sociali, attivisti e accademici, per essere il più ampia possibile.
Quest’ultimo aspetto lascia spazio ai gruppi e ai collettivi che quotidianamente portano avanti tali lotte sul territorio, ma allo stesso tempo servono spazi per discutere l’immaginazione non solo dal punto di vista tecnico ma anche artistico.
IL SOLARPUNK COME FUTURO ABITABILE
L’arte e la tecnologia giocano un ruolo essenziale nella creazione di altri mondi possibili. Lo fanno da decenni, da secoli. La letteratura, in particolare la fantascienza, è stata fondamentale per pensare a come sarà il mondo in futuro. La narrativa è il luogo di nascita del Solarpunk, un movimento estetico, filosofico e attivista emerso all’inizio del secondo decennio del XXI secolo in Brasile, in particolare nel 2011, come risposta al pessimismo distopico di altre narrazioni. Questo movimento è caratterizzato dalla creazione di mondi speculativi in cui l’ecologia sociale, la tecnologia democratica e l’energia solare, eolica e delle maree sono elementi cruciali per il benessere collettivo che superi il capitalocene, le cui radici affondano nella disuguaglianza sociale e nell’estrazione e consumo di combustibili fossili.
Come osserva Misseri (2017, p. 48) “un autore utopico o distopico è un progettista politico”, quindi ogni singolo esempio di fantascienza è un progetto di relazioni di potere.
Il Solarpunk è definito come un’insurrezione di speranza contro la disperazione quotidiana di questo tempo. Può essere considerato una ribellione controculturale per integrare il pessimismo letterario nelle visioni di futuri possibili (Solarpunk Anarchist, 2016). In particolare, questo sforzo potrebbe aprire lo spazio per re-immaginare il rapporto fra tecnologia, società e natura, al di là della dicotomia tra cultura e natura, guidato dal pensiero coloniale. Tuttavia, come spazio per la creazione del futuro, è fondamentale espandere le dinamiche delle persone per generare processi collaborativi di immaginazione e materializzazione attraverso l’azione collettiva.
Il termine Solarpunk è stato inizialmente coniato in un blog chiamato Republic of the Bees il 27 maggio 2008. Ispirato dal “Beluga Skysail” una nuova tecnologia per utilizzare il vento e completare il viaggio delle navi da carico riducendone il consumo energetico [È la prima nave (tedesca) al mondo parzialmente alimentata da un gigantesco impianto di aquiloni, simili a un enorme parapendio, ampio fino a 160 mq, controllato da un computer, NdT]. Questo genere letterario è emerso come alternativa al movimento Steampunk, che si basa sulla tecnologia del vapore e su una estetica vittoriana; completa altri generi di fantascienza come Dieselpunk, Cyberpunk e le Ucronie. Pertanto, è chiamato a ispirare azioni etico-politiche, attraverso un’estetica eco-futurista. Sylva (2015) sottolinea che si tratta di un movimento di speranza controculturale per affrontare i processi di accumulazione, disuguaglianza, degrado ambientale, controllo delle imprese e dello Stato sulla nostra vita. La speranza, quindi, può alimentare gli spazi dell’autonomia. Possiamo far risalire le sue radici al racconto Il sogno di Sultana scritto nel 1905 dalla musulmana Begum Rokeya; nonostante non si contraddistingua come opera solarpunk, presenta elementi artistici, tecnologici e di indipendenza visti da una prospettiva femminista (Rokeya, 2005; [traduzione italiana di B. Lazzaro, ed. Donzelli 2008]).
A livello editoriale, nel 2011 il primo bando per racconti Solarpunk è in una lingua che non è precisamente l’inglese, lingua egemonica nella letteratura fantascientifica. La prima antologia fu infatti pubblicata nel 2013 in portoghese; raccoglieva nove storie ed era intitolata Solarpunk – Histórias ecológicas e fantasticas em um mundo sustentável [Lodi-Ribeiro, 2013, Solarpunk Storie di ecologia fantastica in un mondo sostenibile. Le Mezzelane 2021]. Questo lavoro seminale su
un futuro ottimista raccoglie una serie di racconti sugli usi di energie alternative, in particolare quella solare. Una delle storie si intitola Sol no Coração (Il sole nel cuore), di Roberta
Spindler; l’energia viene generata da tatuaggi realizzati con nanodispositivi.
In seguito, è iniziato un processo di costruzione collaborativa attraverso Internet, che è passato attraverso riferimenti in riviste come WIRED, siti web come Tumblr o The Conversation, eventi
in città come Portland (Stati Uniti), Barcellona (Spagna) o Berlino (Germania) e persino
università, come nel caso dell’Arizona State University. In quest’ultimo caso, nel 2014, il ricercatore e artista Adam Flynn ha lanciato un breve testo che ruota attorno alle note verso un manifesto solarpunk (Flynn, 2014), considerato un testo seminale che consente l’ampliamento del
movimento verso altri ambiti.
Da allora, sono state create una serie di opere intorno a questo genere, da un video tutorial di Max E. Westfall su come creare una storia solarpunk, a alcune antologie tra le quali Wings of Renewal: A Solarpunk Dragon Anthology (Arseneault & Pierson, 2015); Viral Airwaves (Arseneault, 2015); Mars Trilogy [Trilogia di Marte, Fanucci, Robinson, 2015]; Sunvault: Stories of Solarpunk and Eco-Speculation (Wagner & Wieland, 2017); Ecopunk! – specultative tales of radical futures (Grzyb & Sparks, 2017); Glass and Gardens: Solarpunk Summers (Ulibarri, 2018); Glass and Gardens: Solarpunk Winters (Ulibarri, 2020) e un’antologia di storie di fantascienza femminista che ruota attorno alla bicicletta: Biketopia: Feminist Bicycle Science Fiction Stories in ExtremeFutures (Blue, 2017).
Queste raccolte coprono un ampio spazio in termini di storie fantastiche e situazione politica, dai draghi biomeccanici, alla poesia, alla bicicletta come mezzo verso nuovi futuri oltre la distruzione ecologica. Oltre a queste opere per lo più antologiche, Eschrich e Miller (2018) curano il libro The Weight of Light: A Collection of Solar Futures del Center for Science and Imagination dell’Arizona State University. Questo lavoro si concentra sull’energia solare come luogo di discussione, in cui scrittori e accademici convergono per analizzare ciascuna delle quattro storie del volume. Essi offrono nuovi spunti sulla ricerca energetica e tecnologica, ma anche sull’urbanistica e la giustizia sociale.
Accanto alle storie di fiction sono emerse pratiche collaborative. Sono stati creati scambi di storie attorno al Solarpunk (“Sol. Punk Exch.”, 2018); fumetti, come Opening into wings (Wilson, 2019); riviste online come «Optopia: a solarpunk zine» (Optopia, 2019), «Solarpunk as F*ck», «OBSOLETE», tra le altre; illustrazioni come quelle di Rita Fei e gruppi collaborativi ospitati su diverse piattaforme digitali.
Tuttavia, Il movimento viene anche criticato, soprattutto per la scarsa varietà degli autori e l’inclusione di elementi esterni alla visione antropocentrica e allo sviluppo tecnologico. Così, riviste online come «Omenana» (Omenana, 2017) e le critiche di Rob Cameron incentrate sull’assenza di relazione tra Afro-Futurismo e SolarPunk (Cameron, 2019a) e sulla Giustizia Sociale come tecnologia di sopravvivenza (Cameron, 2019b); tali sforzi contribuiscono alla pluralità di questo movimento.
Oltre che nel mondo artistico, il Solarpunk sta prendendo piede in vari scenari; da un lato, collettivi di maker/hacker in vari luoghi analizzano le proprie azioni e riflessioni verso la materializzazione di esperienze pratiche; un paio di casi sono: Ellery Studio a Berlino (Germania), con il Solar Punk Festival (SPF) nel 2018 e il progetto Solar Punk Futures, che riunisce “scienziati, ricercatori e pensatori visuali per indagare la transizione energetica dalla prospettiva solarpunk” (Holleran, 2019, p. 56). nel frattempo, al secondo posto, c’è stato il workshop Solarpunk ed economie solidali // Intro, che è stato proposto all’intersezione tra economie solidali e live coding come prospettiva critica alla blockchain e ai protocolli criptati (Luna, 2020). Questa azione ha avuto luogo a Bogotá (Colombia) nel 2020 durante il Festival Bogotrax.
Un altro scenario in cui si sta verificando un moltiplicarsi di analisi è quello accademico. Qui, il genere è stato oggetto di riflessione dal 2015, dal lavoro seminale di Kujawski nell’area degli studi sui media e del suo rapporto con l’ecologia. Questo autore solleva il concetto di poeti tecnologici per riferirsi alle persone iscritte a questo movimento culturale (Kujawski, 2015). Altre aree di interesse sono state la letteratura comparata, in particolare attraverso l’analisi di quattro antologie (citate sopra) riguardo al concetto di ecologia sociale e di postumanesimo (Schuller, 2019), mentre le discipline umanistiche hanno analizzato le dimensioni formali, semiotiche ed estetiche della tecnologia solare e dei tipi di fantasie e di immaginari che tale tecnologia facilita (Williams, 2019). Infine, il movimento artistico e culturale Solarpunk ha risvegliato l’interesse degli accademici per la sostenibilità, in particolare per le possibilità pedagogiche che rappresenta l’utopia (Johnson, 2020).
Insieme al Solarpunk, la climate fiction e il movimento della narrativa antropocentrica sono emersi come narrazioni parallele per il futuro. Milkoreit (2017), analizza le promesse di questa avventura letteraria e le sue implicazioni per le prospettive future. Alcune delle antologie di Cli-fi sono Everything Change: An Anthology of Climate Fiction I (Milkoreit, Martinez, & Eschrich, 2016) e II (Dell & Eschrich, 2018). Infine, la fantascienza “indigena” sta diventando un ampio spazio per autori sottorappresentati, soprattutto nel percorso di decolonizzazione della letteratura e della fantascienza, creando futuri alternativi. L’antologia Walking the clouds curata da Dillon (2012), è stata uno dei primi tentativi verso un’opera visibile di scrittori indigeni per alimentare l’area speculativa di scienza, tecnologia, arte e futuri possibili.
OSSERVAZIONI FINALI
L’energia è uno spazio di immaginazione e appropriazione del territorio. Da qualche anno la sovranità energetica è diventata un riferimento per le lotte delle comunità e in particolare per il loro futuro (come nel libro curato da Eschrich e Miller nel 2018). Pertanto, la sovranità energetica si riferisce a “progetti e visioni politiche verso una giusta generazione, distribuzione e controllo delle fonti energetiche da parte di comunità che si sono mobilitate su una base ecologica e culturale” (Del Bene, Soler e Roa, 2019, p. 178).
I movimenti per la sovranità energetica esistono sia in scenari urbani che rurali, cercando transizioni energetiche eque come alternativa ai macroprogetti privati e pubblici di energia rinnovabile, focalizzati sull’approvvigionamento dei mercati internazionali e sulle grandi operazioni minerarie associate. In questo senso, dal territorio di La Guajira (Colombia) stanno emergendo molteplici iniziative di rivisitazione del concetto di energia, creando processi pedagogici per promuovere nuovi immaginari, nuovi futuri e tecnologie (Reina-Rozo, 2021).
L’immaginazione, quindi, è un meccanismo attraverso il quale possiamo trasformare il nostro futuro collettivo grazie alla speculazione narrativa. In questo modo, dobbiamo creare spazi per estendere e condividere l’immaginazione, dal momento che essa può essere considerata un privilegio e non uno spazio per pensare, sentire e costruire un futuro a partire dalle comunità locali. Di fronte a ciò, alcuni elementi che completano questo movimento sono i concetti di convivialità, che suggerisce la possibilità di creare mondi ospitali (Barkin, 2019; Illich, 1973) e la comunanza come processo di trasformazione collettiva a partire dalle tradizioni culturali legate al territorio (Esteva, 2015).
In questo caso, libri come Sunvault: Stories of Solarpunk and Eco-Speculation (Wagner & Wieland, 2017) e Biketopia: Feminist Bycicle Science Fiction Stories in Extreme Futures (Blue, 2017), rilevano che un insieme di tecnologie stanno trasformando in convivialità gli strumenti utilizzati per creare le condizioni per una transizione verso la comunanza.
Tornando a Krenak, il processo per posticipare la fine del mondo passerà dalla decolonizzazione dell’energia, riflettendo su quali attività debbano proseguire e quali no: per ritornare a noi stessi e al nostro rapporto con la natura, nel quale uno degli elementi essenziali è l’energia, e la sua influenza sulla vita. Inoltre, l’immaginazione e la forza creativa degli indigeni e dell’Afro-futurismo sono la chiave per rendere plurale e promuovere la diversità al di là dell’ontologia coloniale. Per esempio, l’immaginario di Wakanda sta favorendo l’emergere di un dibattito nelle sfere del design, dei FabLab (Dando et al., 2019) e della ricerca accademica, in particolare riguardanti l’ecologia e l’evoluzione (Schell et al., 2020).
In questo senso, occorre un aspetto in più per riflettere e rimodellare la concezione del “futuro” come frammento di tempo lineare, subito al di là del presente. Come recita l’’forisma aymariano: “Qhip nayr uñtasis sarnaqapxañani”, cioè “Guardare al passato per camminare nel presente e nel futuro”.
Questo sarà utile al Solarpunk per promuovere trasformazioni socio-ecologiche allo scopo di camminare insieme a altre ontologie e epistemologie.
Pertanto, Il Solarpunk ha un posto preponderante per integrare la propria visione, creatività, arte e
estetica con le alternative allo sviluppo o le grandi transizioni che stanno avvenendo nelle diverse geografie. Il pluriverso [Pluriverso. Dizionario del post-sviluppo, Orthotes, (Kothari, Salleh, Escobar, Demaria e Acosta, 2019), https://comune-info.net/il-pluriverso-dei-mondi-che-nascono/ NdT] è uno spazio concettuale e diversificato che abbraccia iniziative di trasformazione dei popoli del mondo e può alimentare il movimento solarpunk da molte prospettive. Allora, dato che questo movimento è ancora in formazione e costruzione, vale la pena che l’America Latina ne nutra il futuro, in particolare riguardo alle questioni che ruotano intorno a: come possa il Solarpunk contribuire alla creazione di possibili futuri in questa regione? Quali sarebbero gli elementi differenziali di un Solarpunk latino-americano? Quali elementi delle lotte popolari possono nutrire questo genere letterario e movimento culturale? Come potrebbe il pensiero latino-americano sull’arte e la tecnologia essere integrato nel movimento Solarpunk?
Un ultimo elemento in questo processo di pensare le dinamiche e l’estetica della creazione artistica può essere il concetto di disoñar, coniato dall’attivista colombiano Leon Octavio, designer, poeta e cultural manager, quando solleva la necessità di “popolare il design a partire dai sogni” (Citato
in Escobar, 2017). Così, i sogni diventano – ancora una volta – importanti per il design, in altre parole, i sogni come meccanismo per la creazione collettiva di prospettive e futuri possibili.
Quindi, sogniamo.
Traduzione di Silvia Treves
Juan David Reina-Rozo è un dottorando presso l’Università Nazionale della Colombia; studia ingegneria e organizzazioni. È ricercatore affiliato al MIT D-Lab. I suoi interessi di ricerca sono l’ingegneria umanitaria, gli ecosistemi dell’innovazione, l’innovazione locale, la collaborazione e il consolidamento della pace.
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