Solarpunk, immaginari energetici e infrastrutture della solarità

Rhys Williams, università di Glasgow
da Open Library of Humanites, traduzione di Silvia Treves

Nella transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, l’energia solare fa probabilmente la parte del leone[1].

Commentatori di tutto lo spettro politico, dai consulenti finanziari neoliberisti e think-tank (Bloomberg NEF, 2018; Sivaram 2018) agli entusiasti di centro-sinistra (Brown, 2015; Scheer, 2004) ai totali comunisti solari (Schwartzman, 2013), sono ottimisti sulla promessa del solare. Questa vasta base di entusiasmo indica come l’energia solare porti con sé non solo una fonte vitale di energia, ma anche un senso di possibilità utopistica. Fino a poco tempo fa, il solare si è distinto per “il suo status perenne di tecnologia futura” (Johnson, 2015: 6). Questa qualità di essere “appena oltre l’orizzonte”, unita al suo vasto potenziale generabile, ne ha fatto un veicolo ideale per i sogni di un futuro migliore[2]. Ma che lavoro fanno questi immaginari speculativi sull’energia nella lotta per il futuro della transizione energetica? Come usano il fantastico per tessere il loro desiderabile futuro, e cosa permette il fantastico? Al fine di affrontare queste domande, questo articolo si impegnerà in un’analisi estesa del solarpunk, un immaginario speculativo riccamente elaborato sull’energia solare[3]:

  1. Si chiederà, in primo luogo, cosa suggerisca il solarpunk sulle dimensioni formali, semiotiche ed estetiche della tecnologia solare esistente, e il tipo di fantasie che tale tecnologia catalizza.
  2. In secondo luogo, analizzerà come le infrastrutture dell’immaginario rappresentino una varietà di elementi sociali e tecnologici necessari per la transizione, e come  tecnologie fantastiche siano utilizzate per catalizzare anche gli immaginari di transizione più empirici.
  3. In terzo luogo, si chiederà cosa suggerisca il solarpunk sulla relazione tra immaginari sull’energia alternativa, la costruzione della comunità, e l’agire nella presente lotta per la transizione energetica.

Infrastrutture, Relazioni sociali, Immaginari

Le specificità degli immaginari speculativi relativi all’energia, variano a seconda della politica del sognatore. Alcuni sono limitati all’ordinaria amministrazione con una generosa glassa di pannelli solari:

il Solar fotovoltaico non consiste solo nell’alimentare edifici urbani glamour o massicci impianti industriali […] I materiali fotovoltaici sono ora abbastanza leggeri da essere sostenuti da fragili tetti di baraccopoli nella periferia delle  megalopoli nei paesi in via di sviluppo (Sivaram, 2018: 8).

Altri prevedono che il solare conduca quasi inevitabilmente a un mondo più localizzato. Per Hermann Scheer, ad esempio, il solare è “per sua stessa natura decentralizzato” (2013: 88) e provocherà una  devoluzione del potere politico e una società più egualitaria e imprenditoriale, con creatività individuale e produttività “libera”, ma rimanendo all’interno di un’economia ampiamente capitalista (2004). Mentre i futuri di cui sopra sono guidati dal mercato, sviluppandosi da investimenti privati su larga scala previsti nel solare (con, nel caso di Scheer, lo Stato come levatrice), altri sostengono che “il capitale non sta cogliendo l’occasione” (Malm, 2015: 380). Da questo punto di vista, solo “un’azione politica transnazionale su una scala mai  testimoniata nella storia umana farà il salto, portando, si spera, a un futuro di cooperazione globale e, in ultima analisi, al comunismo” (Schwartzman, 2013: 480).

Chiaramente, le tecnologie solari sono adattabili a modelli sia centralizzati che distribuiti di organizzazione socio-economica e di infrastrutture, sia nel mondo neoliberale che in quello comunista, e a qualsiasi altra cosa in mezzo. L’organizzazione sociale e politica di un futuro solare, ha puntualizzato Darin Barney:

come tutte le configurazioni energetiche […] sarà un terreno di contestazione sociale, lotta e immaginazione, e sarà tutto questo a determinare i risultati della solarità, non tutto quel che è inerente le  tecnologie stesse

(Boyer e Howe, 2018)[4]

Una volta introdotta, la “tecnologia offre una convalida materiale dell’ordine sociale dal quale è stata prefabbricata”  (Feenberg, 2010: 18) o, come sostiene Andreas Malm più in generale, “le forze produttive a tempo indeterminato procedono dall’essere effetto di relazioni a qualcosa di più simile a cause e sostegni”. Da qui c’è un ciclo di feedback: “i rapporti diventano oggettivati nelle forze produttive […] più esistono tali forze, più è difficile evadere da tali relazioni fuse nell’acciaio”. (Malm, 2018: 181). Tuttavia, le relazioni sociali in cui e per le quali si forma inizialmente l’infrastruttura solare determineranno in primo luogo la forma che assume e le relazioni sociali che incoraggia. Come dice Deborah Cowen, l’infrastruttura è per definizione orientata al futuro; è assemblata al servizio dei mondi a venire (2017). Da qui il denso raggruppamento di visioni opposte del futuro intorno alla transizione energetica: la necessità di rifare l’infrastruttura energetica globale sembra presentare una rara opportunità di rifare il mondo in un’altra immagine, una nella quale le visioni utopiche abbiano veicoli materiali per la loro realizzazione. Le infrastrutture dovrebbero essere intese sia come sistemi tecnici sia come “reti sociali” (Larkin, 2013: 331). Esse “legano persone e cose in sistemi complessi eterogenei e producono “una sorta di mentalità e di modo di vivere nel mondo” (Larkin, 2013: 331). Sono anche costituite da immaginari e ne producono: “operano a livello di fantasia e desiderio […] codificano i sogni degli individui e delle società e sono i veicoli attraverso i quali tali fantasie vengono trasmesse e rese emotivamente reali” (Larkin, 2013: 333).

Alcuni lavori recenti hanno iniziato a analizzare i legami tra le infrastrutture e le tecnologie per l’energia solare, le relazioni sociali e i loro immaginari associati, prendendo le infrastrutture esistenti come caso di studio. Ad esempio, Brennan (2017b) inizia con una serie di lampioni a energia solare di proprietà della comunità a Highland Park, vicino alla città statunitense di Detroit, installati in sostituzione di luci della rete centrale riscattate dal fornitore di servizi privati.

Egli descrive come l’illuminazione emerga, incorpori e incoraggi relazioni sociali più comunitarie, e come generi visioni speculative di futuri energetici radicalmente alterati, caratterizzati dalla proprietà comunitaria della produzione di energia.

L’analisi inizia con la realtà dell’infrastruttura e delle relazioni sociali incorporate piuttosto che con gli immaginari associati, che funzionano principalmente per estrapolazione: la situazione locale si è estesa a un quartiere, o a una città, senza molti dettagli aggiuntivi. Sebbene importante e utile, questo lavoro getta luce principalmente sul rapporto reciproco tra contesto sociale e infrastruttura, e meno sull’immaginario. Il suo punto di partenza nell’infrastruttura reale limita l’esplorazione dell’immaginario alla sua funzione estrapolativa (invece che, ad esempio, a quelle metaforica, simbolica o figurativa) che è solo uno degli  elementi fondamentali della speculazione e della fantasia. L’analisi successiva attraversa il ponte in direzione opposta, prendendo come punto di partenza gli immaginari futuri altamente sviluppati del solarpunk[5]. Questo approccio dà la preminenza alle possibilità offerte dall’immaginario energetico, e alle “dimensioni formali” dell’infrastruttura come “forme in-testualizzate che hanno una relativa autonomia dalla loro funzione tecnica” (Larkin, 2013: 329; 335) esplorandole attraverso la loro in-testualizzazione letterale in narrazioni speculative e fantastiche. Un approccio da studi letterari si trova nella posizione migliore per contribuire a questo tipo di analisi alla discussione sulla transizione energetica, e il contributo è destinato a completare l’approccio più etnografico degli studi infrastrutturali.

“Canyon City” da Deviantart

Solarpunk: una panoramica

Il solarpunk è un sottogenere emergente della fantascienza e del fantastico ampiamente caratterizzato dall’immazione di futuri sostenibili dopo la transizione energetica. A oggi, al canone appartengono quattro antologie di racconti brevi[6]. In particolare, raccontano futuri in cui la transizione energetica non è solo una questione di innovazione tecnologica, ma anche di cambiamenti nelle relazioni sociali e dei sistemi di valore. Accanto alla profusione di tecnologia solare, le comunità di piccole dimensioni o le eco-città-stato egualitarie sono un obiettivo più comune delle nazioni, la proprietà comune è spesso la norma, e gli ideali di comunità, l’attenzione e l’umiltà, in particolare per quanto riguarda il rapporto dell’umanità con l’ecosistema, sono privilegiate al di sopra della crescita economica o della competizione.

Il solarpunk non è però politicamente omogeneo. A un estremo, la prima antologia brasiliana (2012), è più ideologicamente simile al cyberpunk, ambientato in futuri di energie rinnovabili dominati da multinazionali, con un tono prevalente di cinismo e una visione deflazionistica dell’egoismo umano comune sia al noir che al cyberpunk (cfr Freedman, 2009).

Man mano che il genere è cresciuto, ha sviluppato una forte vena utopistica, attivista, con  storie che hanno molta più probabilità di essere ottimiste e con i mondi immaginati come raffigurazioni  chiare di un desiderio di una struttura sociale socialmente equa ed ecologicamente armoniosa (con tutta l’ambiguità di ciò che questi termini potrebbero significare), anche se non c’è accordo su ciò che sembri “migliore”.

Questo articolo ritiene tali storie di maggiore interesse: in primo luogo perché forniscono visioni di un futuro solare che si discostano dall’estrapolazione nichilista “ancora di più” cyberpunk e come tali rappresentano lo sforzo di pensare contro le relazioni sociali attuali; in secondo luogo perché il tono delle storie cambia con l’emergere di una comunità solarpunk, diventano meno opere di narrativa di un autore singolo e più espressioni di un immaginario condiviso; e, in terzo luogo, mano a mano che altre storie vengono pubblicate, quella prima iterazione solarpunk appare sempre più simile a un momento di transizione  – cyberpunk in abiti solarpunk – prima che il sotto-genere trovasse il proprio senso di identità.

Stranamente, lo spazio concettuale chiamato Solarpunk emerse prima delle narrazioni che ora stanno gradualmente dandogli sostanza, e gran parte del Solarpunk accade al di fuori delle storie pubblicate. Il corpo principale del “megatesto” solarpunk (Broderick, 1995) esiste in numerosi post di blog, nelle pagine di Tumblr e nei gruppi di discussione online dedicati al sottogenere, piuttosto che in forma narrativa.[7] Un post precursore su un blog gli fornì un’estetica che si è dimostrata popolare (“molto simile allo steampunk, ma con tecnologia elettronica, e un’impiallacciatura Art Nouveau”, Louise, 2014) mentre dei manifesti sono emersi a discutere di ciò che era, prima che fosse davvero qualcosa (“c’è una qualità oppositiva nel solarpunk, ma è un’opposizione che inizia con l’infrastruttura come forma di resistenza”, Flynn, 2014, corsivo in originale). Solarpunk è prima un mondo e poi un insieme di narrazioni; un centro principale della comunità, il sito solarpunks.net, lo descrive “contemporaneamente come una visione del futuro, una provocazione riflessiva e uno stile di vita realizzabile. In corso”.

L’immaginario solarpunk è collaborativo, un prodotto delle proprietà di internet e di costruzione di una comunità, e le narrazioni emergono da questo insieme di discussioni condivise e gruppi di lettura, collezioni di ispirazioni dal mondo reale e rappresentazioni artistiche.

“Passeggiata estiva” di MeganeRid, da Deviantart

Dimensioni formali delle tecnologie solari

Le narrazioni Solarpunk creano nuove tecnologie e infrastrutture solari narrative, o incorporano ed elaborano quelle esistenti in modo più completo nel mondo. Nella loro fabulazione ed esagerazione, presentano intuizioni intriganti sulle risonanze semiotiche ed estetiche delle tecnologie solari, e su come da esse sono modellate. Questa sezione prende in considerazione tre esempi correlati: la luce, l’abbondanza e la trasparenza.

Come una cruda illustrazione, la recente antologia Glass and Gardens (2018: 292 pagine), presenta le parole glow,  bright, shine,  light e i loro derivati 185 volte, ovvero circa tre volte ogni cinque pagine. In confronto il romanzo di Cory Doctorow Walkaway (2017: 384 pagine), un romanzo di fantascienza utopistico che si occupa anche di risposte radicali al cambiamento climatico, e spesso ritenuto dai solarpunk come un terreno comune con il sottogenere, ha solo 90 istanze, circa una ogni cinque pagine. La parola glow fornisce la più grande disparità: 60 istanze rispetto a 10. Nelle narrazioni solarpunk, la luce, e in particolare la sua produzione, viene impiegata come segno di bontà, un termine in codice per comunicare la sensibilità solarpunk, in particolare simboleggiando il valore e la pratica della comunità, sia umana sia ecologica. In questo, il solarpunk non innova, ma piuttosto segue una tradizione letteraria che utilizza la poetica e la semiotica della luce e del calore per promuovere la gioia e il lavoro comune, evidente nella famosa scena del raccolto in Anna Karenina (2004: 247-54).

L’energia solare è espressa in questi esempi come un valore particolare dell’energia ambientale (Johnson, 2018) che modula, attraverso specifiche istanze di calore e luce, la substruttura emozionale, sensoriale e affettiva della vita. Nel caso del solarpunk, questa modulazione tende a un senso di calore, chiarezza, sicurezza e comunanza che prende in prestito qualcosa dal bagliore accogliente del focolare, ma lo piega a un ambiente hi-tech. Riot of the Wind and Sun, da Glass and Gardens, si apre con un gruppo di amiche che parlano, ascoltano la musica, si dipingono le unghie a vicenda e fanno gioielli di perline. Si tratta di una consueta, affettuosa scena di compagnia, in cui “le unghie delle ragazze […] brillavano, insieme ai loro vestiti e alle perline” (Rossman, 2018).

Il calore ambientale della luce prodotta dalle donne viene eliso dal calore emotivo della scena e diventa un indicatore visibile dei legami di affetto che legano le persone. La storia culmina con l’intera comunità che lavora insieme per fare un segno luminoso gigante nel deserto grazie ai loro abiti migliori, al fine di comunicare la loro presenza al mondo. La luce diventa un veicolo per unire e legare le comunità.

Un’altra storia dell’antologia, Cable Town Delivery, si chiude con una comunità che si riunisce per un “Festival della Luce” (da Silva, 2018) mentre in Women of White Water tali festival sono “[…] una celebrazione di sopravvivenza”, “comunità”, rispetto per la natura” in contrasto con “i vecchi tempi, quando il mondo era un grande villaggio e nessuno aveva un senso di casa” (Kenwright, 2018). Nel più fantastico Glow da Wings of Renewal, la comunità si riunisce per celebrare “il solstizio, e tutta la vita che il sole ha regalato loro”, dove la protagonista non vede l’ora di “socializzare con i suoi amici e farcirsi la bocca di patate dolci appiccicose e zuccherine”, e il centrotavola è un drago luminoso che “faceva piovere la luce del sole tra la folla” (Nicoll, 2015).

Il solarpunk utilizza la luce e il calore come veicoli per il sentimento di comunanza e le relazioni comuni. Tenta, nel suo immaginario, di unire l’energia solare con una rinascita di comunanza e responsabilità, e un sentimento di fratellanza con la vita non umana. L’energia solare suggerisce all’immaginazione comunità e celebrazione, in parte a causa della sua abbondanza. Per Georges Bataille, l’abbondanza dell’energia solare richiese un “contratto sociale per prendere ciò che viene dato e restituirlo attraverso il dispendio” come Boetzkes riassume (2017: 317). I festival sono stati tradizionalmente un meccanismo sociale centrale per tali restituzioni. Nel solarpunk, collegano anche l’uso pragmatico dell’energia solare alla sua consapevole celebrazione. Il poema Trittico del raccolto solare (Norja, 2017) cattura questa celebrazione dell’abbondanza, così come una consapevolezza dell’economia del sole in alcune parti del mondo – la necessità di ritmi di accumulo e stoccaggio che rimandano a un necessario adeguamento ai cicli agrari in contrasto con l’attuale dislocazione indotta dai consumatori dei flussi stagionali:

Quando tutta la terra si sveglia,
quando benediciamo i pannelli solari
i campi, i tetti,
le loro vetrate colorate
i raccoglitori di energia
per sostenerci nei mesi bui d’inverno
quando il sole a malapena ci saluta.

La relazione luce / comunità c’è sia nel festival stesso che nel senso negativo della recessione del sole, caratterizzato come una diminuzione del “saluto”. Il linguaggio traboccante qui si unisce con una certa riverenza religiosa, che è un’altra caratteristica comune dell’immaginario solarpunk, mano nella mano con l’inquadramento di un futuro verde attraverso un anti-modernismo nostalgico. Mentre la nostalgia, o la politica della perdita, ha subito una severa censura nei circoli politicamente radicali dopo il XIX secolo, in quanto ritenuta un “guardare al passato […] inaccettabile, inadeguato, eccentrico”, è però rimasta come risorsa provocatoria per interventi “contro-culturali” (Bonnett, 2009 48; 47). L’emergere, negli anni Sessanta, di un “ambiente […] localista, popolare e libertario tinto di verde” (Bonnett, 2009: 52) ha unito sia i conservatori sia i marxisti ortodossi contro questo nuovo sentimento anti-moderno.

Nella storia degli studi sul fantastico, questa reazione si manifesta in una forte preferenza per la fantascienza rispetto al fantastico nella teoria critica del tardo xx secolo, che prende le armi contro quelle che sono percepite come forze di mistificazione anti-moderne, anti-razionali nel genere fantasy (con Suvin, 1979, come testo chiave che imposta l’argomento per quelli che seguirono). Tuttavia, nel periodo contemporaneo, il potenziale politico del fantasy viene riabilitato (si veda, ad esempio, Miéville, 2002 per uno sforzo precoce), e più in generale nei circoli radicali la vergogna della nostalgia sta svanendo mentre i pensatori cominciano ad affrontare il fatto che “la poesia del futuro non è più sufficiente” (Bonnett, 2009: 65). Se, come insistono Imre Szeman e Dominic Boyer, dobbiamo capire la “modernità” – sia le istanze conservatrici che quelle radicali – come un’esperienza alimentata da energie fossili, allora le possibilità del pre-moderno di pensare una rottura con la petrocultura attuale sono chiare.

Nei suoi sforzi per immaginare un futuro egualitario ed ecologicamente armonioso, il sottogenere si rivolge spesso a raffigurazioni di strutture sociali pre-moderne, come fece William Morris in News from Nowhere (1993 [1889]), spesso rivendicato dalla comunità come un testo ur-solarpunk. Una genealogia solarpunk vede un ritorno tecnologicamente facilitato alla natura e ai ritmi naturali come un’elaborazione sulla suggestione dei force-vehicles di Morris. Brevemente accennati in News from Nowhere, solo per smentire ulteriori spiegazioni («Mi sono premurato di non fare domande su di loro», 1993: 186) questi veicoli-forza hanno sostituito i motori a vapore e sembrano essere la forza motrice “verde” ideale. Non c’è alcun commento sul rumorosità o emissioni, e si inseriscono così bene nella vita agraria circostante che essenzialmente scompaiono. Eppure la loro presenza segna l’utopia di Morris come futuro, non passato, nonostante la chiara nostalgia di un “totale” passato perduto, che ispira la critica utopica. Ciononostante, la politica della perdita si trova ancora a disagio con il radicalismo. Questo articolo tornerà in seguito alla difficoltà che si presenta quando le tecnologie avanzate vengono impiegate in un contesto relativamente pastorale, che non sembra consentirne la produzione e distribuzione. Questa contraddizione tra le tecnologie verdi e le loro attuali modalità di produzione profondamente problematiche è quella per cui il Solarpunk fornisce una risoluzione simbolica nella sua rappresentazione utopica, ma solo oscurandola.

La cover art per Sunvault, antologia solarpunk pubblicata nel 2017, fornisce un altro esempio di luce come raffigurazione per relazioni armoniose e pienezza (Wagner e Wieland, 2017). In questa immagine una terra visibilmente curva contiene una città piena di verde e attraversata dall’acqua, con il sole dominante sopra di essa. Lo stile si ispira a tecniche espressioniste che ricordano Il seminatore di Van Gogh; un sole esagerato sulla copertina irradia luce che viene raccolto e riflesso da edifici e dall’acqua e falene luminose riempiono l’aria. Qui la luce e l’abbondanza del sole sono presentate come una forza unificante, toccando e legando insieme i vari elementi della scena, che sono una sineddoche per il pianeta e per l’intera civiltà umana, che suggerisce una totale armonia.

Questa immagine di armonia utopistica minaccia anche di divenire totalizzante. Tanto simbolo di beneficenza quanto emblema di tirannia, il sole promette e minaccia di sommergere tutti e tutto ciò che c’è sotto. Mentre l’energia solare si presta a strutture decentrate, incoraggia anche piani per una super-rete mondiale (Liu, 2015). Infine, la luce solare non cade su tutti allo stesso modo: in alcune parti del globo è qualcosa da allontanare, da sfuggire, per non danneggiare la terra, i raccolti e la vita biologica, Una necessità che potrà soltanto crescere con l’intensificarsi del riscaldamento globale. L’ubiquità della luce nel solarpunk, e il suo privilegiare l’armonia, smentiscono un lato sociale più oscuro che la accompagna, nel concetto associato di trasparenza, che punta sulla sorveglianza e sulla disciplina. Brennan, nel suo lavoro sui lampioni a Detroit nota “la lunga storia della luce nelle strade come strumento razziale di sorveglianza e polizia di Stato” (2017b: 167). Per ribadire, la luce non cade su tutti allo stesso modo, o con le stesse conseguenze. In Sta’ attento Vandalo Rosso! (in Glass and Gardens: Solarpunk Summers, Graves, 2018) lo sviluppo di “naniti solari”, – una tecnologia impiantata in ogni individuo alla nascita, che essenzialmente trasforma tutti in una cella solare ambulante per aiutare l’alimentazione della comunità di Aberdonia – ha l’effetto collaterale di rendere le emozioni di tutti visibili grazie a un bagliore colorato. In congiunzione con una comunità che idealizza l’armonia, ciò conduce ad una situazione oppressiva, nella quale un rosso bagliore arrabbiato conduce all’esilio una volta che l’individuo diventa adulto, e persino un blu segno di scoraggiamento viene disapprovato. La storia non è una semplice distopia, in quanto i valori della comunità e dell’armonia sono autenticamente celebrati e l’elogio della nuova importanza della “bellezza interiore” rispetto agli ornamenti esterni è apparentemente sincero (Aberdonia è direttamente e sinceramente indicata dal narratore come un’utopia).

Allo stesso tempo vi scorre un senso di disagio alla nuova disposizione, in particolare dal momento che il giovane arrabbiato che viene esiliato (il Vandalo Rosso del titolo) rivendica inizialmente la disaffezione politica come la causa della sua rabbia (se il disaccordo politico è bandito, allora questa è una distopia). È evidente che al di fuori dei confini dell’utopia ci sia una terra non civilizzata, casa di assassini e ladri. Mentre questo è stato presumibilmente inteso come un “marcatore Mad Max-esco” dei cattivi vecchi tempi petrolchimici, il lettore – e, sospetto, l’autore – non può scuotersi di dosso un desiderio per quel luogo di libertà di fronte alla soffocante Aberdonia.

L’esplorazione ponderata della trasparenza e dell’armonia che questa dissonanza potrebbe aver portato, tuttavia, è chiusa dalla rivelazione narrativa del tentativo di stupro di Vandalo Rosso. Questo fornisce alla narrazione un fronte morale incontrovertibile per giustificare retroattivamente il sistema di valori e la sua condanna all’esilio. La risonanza apparentemente utopica della solarità con la trasparenza e con il rendere visibile, qui ribadisce un vecchio pericolo dell’utopia, il suo totalitarismo, il suo sguardo onniveggente in una nuova forma. Il lettore potrebbe chiedersi, ricordando Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij, se saranno in grado di fare le linguacce in questo nuovo Palazzo di Cristallo[8].

Oltre alla luce visibile, il Solarpunk mette in rilievo la qualità di “leggerezza” con cui l’energia solare è associata. Le immagini dei futuri solari da qualsiasi fonte, aziendale o attivista, tendono a visualizzare le tecnologie solari in un ambiente luminoso, pulito, verde. Ci sono ovvie ragioni pragmatiche per questo, e la principale è che un cupo futuro solare non sarebbe molto convincente né a livello affettivo né a livello tecnico. Ma queste immagini, suggestive di una nuova alba, di primavera, di nuovi inizi, sono sia seducenti che duplici. Il poema The Sailor-Boys’ (Wagner and Wieland, 2017) illustra il problema:

Siamo dei nuovi inizi, sì.
Voliamo sopra una tragedia sospirante,
l’alta marea di Mama Dlo a corto di fiato,
e ridete, rallegrate il vento mentre galleggiamo.
Siamo dei ribelli, sì.

Il solare echeggia così tanto un nuovo inizio da scivolare nell’idea di una “tabula rasa”. I futuri solari sono attraenti in parte perché offrono la possibilità di dimenticare ciò che è accaduto prima, di assolverci dalla nostra storia dannosa per l’ambiente, o almeno di proteggerci da essa. Proprio come utopiche rappresentazioni del sole elidono vere e proprie contraddizioni di fondo, la leggerezza è una sorta di mancanza di peso che giunge con l’assoluzione e la libertà dalla responsabilità.

Il futuro vissuto, al contrario, sarà pesato con attenzione e cura ecologica, e certamente gravato dal peso carbonizzato del passato, la responsabilità e gli effetti distribuiti ingiustamente. Qui scopriamo la disgiunzione tra le codifiche petrol-culturali della “libertà” come pura e semplice azione, da un lato — classicamente rappresentate in sempre nuovi orizzonti, la libertà dell’automobile, e l’infinita crescita economica della mostra Futurama alla Fiera Mondiale di New York del 1939 — e le restrizioni della conoscenza ecologica dall’altro. Questo provoca una tensione difficile nella domanda “come potrebbe essere una gioiosa soggettività ecologica, responsabile e armoniosa?”. Può una tale leggerezza venire da qualcosa di diverso dall’oblio? Come apparirebbero la libertà e l’agire in un futuro in cui le nostre azioni siano limitate dalla conoscenza ecologica e dalle risorse esaurite della terra? L’agire spensierato dell’era petrolchimica deve qui tener conto dei suoi costi, delle sue emissioni e delle sue conseguenze ecologiche. La sospensione di queste due rivendicazioni opposte nella soluzione dell’immaginario solarpunk è risolta solo da una base infrastrutturale codificata con una sensibilità ecologicamente sana, facilitando un’azione che ci consenta di agire senza pensare in modo simile a quello attuale, ma nella piena consapevolezza che i nostre comportamenti non devono estorcere un costo ecologico.

Veicolo a propulsione biologica, Ashstudios, da Atomhawk e Deviantart

L’amnesia delle infrastrutture solari

Al di là del sito del soggetto neo-ecologico, la stessa amnesia del nuovo inizio affligge gli immaginari solari a livello di infrastrutture, e solleva il medesimo problema fondamentale: le infrastrutture solari rappresentano un vero e proprio nuovo inizio, “dalla radice alle punte”, o sono solo una superficie luccicante che copre il marciume all’interno del nostro immaginario utopico? In termini di dimensioni sia formali sia materiali, le infrastrutture dell’energia solare oscillano tra visibilità e invisibilità. Questo è vero per tutte le infrastrutture: lungi dall’essere sempre invisibili, come sostenuto in particolare da Star (1999), le infrastrutture possono anche essere “riccamente simboliche e vividamente presenti”, dispiegate per generare e “rinnovare continuamente l’effetto politico” (Larkin, 2013: 336). Le tecnologie solari attraversano questa linea in modo particolarmente vivido. La “assoluta distribuibilità” (Howe, in Boyer & Howe n.d.) dei pannelli solari e dei pannelli colorati, dei pannelli trasparenti, della vernice fotovoltaica e dei rotoli fotovoltaici prodotti garantirà che ogni superficie possa essere ricoperta. Ci sono senza dubbio grandi possibilità estetiche in un mondo simile. Il solarpunk è pieno di descrizioni di “guglie svettanti  verdi e d’argento [e] pannelli solari colorati come gioielli (“Progetto estivo”, Arseneault e Pierson, 2014); “pannelli solari fatti per assomigliare ai vecchi tetti di Nipah” (A Field of Sapphires and Sunshine, Ulibarri et al., 2018) e “le pareti a mosaico solare che imitavano i fiori e gli alberi viventi che ci circondavano” (Sotto l’aurora boreale, Ulibarri et al., 2018).

Eppure la pura intimità e ubiquità promesse dalla convenienti tecnologie solari estetizzate fa sì che diventino funzionalmente invisibili, sia attraverso la trasparenza che attraverso un’estetica che nasconde il loro scopo tecnico. Potrebbe arrivare il momento in cui cesseremo di notare l’infrastruttura solare nelle aree urbane.

L’ubiquità stessa della tecnologia fotovoltaica, e la sua quasi magica qualità di essere una superficie, ne consiglia la dissimulazione. In primo luogo, si traveste da qualcos’altro. In secondo luogo, nasconde la realtà della sua produzione a valle, appendice cruciale e nascosta della sua infrastruttura energetica. Un’enfasi critica chiave sulle infrastrutture dei combustibili fossili sostiene che sono invisibili nelle aree urbane, ricche e brutalmente visibili nelle periferie, dove la risorsa viene estratta e raffinata. Quando le seconde interferiscono con le prime, quando comunità con un certo peso politico ed economico sono assoggettate alla realtà delle infrastrutture energetiche, nascono opposizione e ricaduta politica[9]. Non vi è alcun convincente motivo per cui con il solare sarebbe diverso. La necessità di portare la produzione di energia solare nel cuore stesso dei ricchi spazi urbani spiega gli sconcertanti elevati standard per l’estetica delle celle solari, con imprenditori che lavorano sul fotovoltaico esteticamente piacevole sostenendo che una delle “più grandi barriere all’adozione su larga scala dell’energia solare” è “la natura intrusiva e brutta dei pannelli solari” (Lendino, 2015) Un team di ingegneri che lavora su celle completamente trasparenti afferma che “alla fine vogliamo realizzare superfici di raccolta solare che nemmeno si notino” (Lunt, 2014). L’obiettivo è quello di creare infrastrutture invisibili, l’idea di energia generata magicamente, che nasconde il processo di produzione in loco e, a differenza di petrolio e gas che richiedono condotte e reti di trasporto, le qualità decentralizzate del fotovoltaico promettono di eliminare anche i segnali della sua produzione a distanza. Per produzione a distanza intendo l’effettiva produzione delle tecnologie solari, prima che siano installate, e l’estrazione delle risorse necessaria per la produzione. Se questi rapporti di produzione rimangono gli stessi di oggi, l’infrastruttura fotovoltaica non rappresenterà una rottura radicale, ma piuttosto ordinaria amministrazione.

Gli impianti a concentrazione solare (CSP), invece, sono enormi, abbaglianti schiere di specchi e torri, che l’efficienza impone di collocare nei deserti, lontano dai centri urbani. Queste centrali solari si inseriscono nel vecchio modello di produzione di energia a combustibile fossile senza molti adattamenti: l’energia viene prodotta nelle periferie e importata al centro. Replicano anche le disuguaglianze di modelli di sfruttamento coloniale. Immaginare i deserti come “miniere d’oro” della luce solare oscura la disuguaglianza della “impronta solare” che fa soffrire comunità locali e ecosistemi, e il modo in cui gli impianti CSP mantengono “la centralizzazione in grandi servizi energetici e nello stato del profitto e delle infrastrutture elettriche” (Brennan, 2017a: 246).

Il progetto abbandonato Desertec Sahara, l’impianto solare esistente a Ouarzazate in Marocco, il parco solare TuNur in Tunisia: tutti sono stati criticati come Green Grabbing – appropriazione di terreni e risorse per scopi presumibilmente ambientali (Maroun n.d.; Hamouchene, 2015, 2016a, 2016b, 2017). Utilizzando terreni locali (10.000 ettari nel caso di TuNur) e prosciugando le scarse riserve idriche per il raffreddamento e la pulizia dei pannelli, questi impianti CSP sono progettati per generare energia su scala e inviarla a nord, nel Regno Unito e in Europa, piuttosto che alle popolazioni locali povere di energia. Il Sahara, nelle parole di un giornalista di richiamo, si sta configurando come la batteria solare per l’Europa (Lempriere, 2017). È difficile evitare confronti con l’attuale Delta del Niger, che fornisce petrolio al mondo, mentre la popolazione locale paga un ricarico per costosi, inquinanti generatori diesel. Legando la produzione di energia alla giustizia sociale, Wilson sostiene che abbiamo bisogno di:

una transizione energetica che affronti e venga a patti con le violenze sistemiche dell’era del petrolio […] il saccheggio continuo delle risorse naturali e lo sfruttamento di corpi segnati da razza, classe e genere in tutto il mondo.

Un vero e proprio “mondo dopo il petrolio” per Wilson è un mondo i cui sistemi sociali e culture non sono più modellati dalle relazioni del petro-capitalismo ma da configurazioni alternative di economia energetica e politica (2018: 378-9). Ma se questo non fosse un motivo sufficiente perché i cambiamenti sociali accompagnino la transizione tecnica, anche chiudendo occhi e  orecchie alla disuguaglianza globale e alla sofferenza, anche includendo, per quanto possibile, la questione delle alleanze politiche e delle prospettive ideologiche — rimane il brutale fatto che la sola transizione tecnica all’energia non ridurrà le emissioni in modo così profondo e rapido da salvarci.

1 — continua

Traduzione di Silvia Treves. La bibliografia dei testi citati nell’articolo sarà pubblicata nella seconda parte
solarpunk.it

Note

[1] Tra il 2008 e il 2013 il prezzo dei pannelli fotovoltaici in silicio (PV), l’attuale forma dominante della tecnologia solare, è sceso dell’80%, quando la Cina ha iniziato a produrre pannelli in silicio sul serio (Sivaram, 2018: 28). In Cile e in Australia, per la prima volta, le centrali solari a concentrazione (impianti CSP capaci di immagazzinare energia e di rilasciarla a tempo, un ostacolo importante per il fotovoltaico che può immagazzinare e rilasciare energia solo con batterie costose e relativamente a bassa capacità) sono diventate competitive con le centrali elettriche a gas in termini di dollari per mega-watt ora. Questo è un passo importante per renderle competitive: per il fatto di essere “più pulite” e più flessibili  rispetto alla fonti sporche, e spesso pubblicizzate come una utile integrazione al bisogno alla fluttuante generazione di energia del fotovoltaico (Deign 2017). Nel 2016, sono stati riversati globalmente più investimenti in progetti solari rispetto a qualsiasi altra fonte di energia, circa 116 miliardi di dollari (Sivaram 2018: 28). A causa principalmente del forte mercato fotovoltaico, “le rinnovabili hanno rappresentato quasi i due terzi della nuova capacità energetica netta in tutto il mondo nel 2016, con quasi 165 gigawatt (GW) in arrivo online”, mentre “la nuova capacità fotovoltaica solare in tutto il mondo è cresciuta del 50%, raggiungendo oltre 74 GW […] per la prima volta, le aggiunte al fotovoltaico solare sono aumentate più velocemente di qualsiasi altro combustibile” (IEA 2017). A questo si aggiunge la promessa di sviluppi futuri, come vernice solare o rotoli leggeri di fotovoltaico, fotovoltaico trasparente e colorato, e luce solare liquida (cioè liquidi densi di carbonio che imitano l’olio).

[2] Notoriamente, la quantità di energia dal sole che colpisce la Terra in un’ora è più di quanto l’intero mondo consuma in un anno (Lewis e Crabtree 2005: ix).

[3] In tutto l’articolo userò il termine “immaginari” seguendo la nozione di Jasanoff & Kim (2015) di “immaginari socio-tecnologici” per intendere: visioni collettive, stabilizzate istituzionalmente e pubblicamente realizzate di futuri desiderabili, animate da una comprensione condivisa delle forme di vita sociale e di ordine sociale realizzabili e di sostegno ai progressi della scienza e della tecnologia (4).  Parlando precisamente, potremmo definire il solarpunk un immaginario speculativo, nella misura in cui è creato consapevolmente per esplorare specifici tipi di futuri alternativi, mentre gli immaginari in quanto tali sono meglio compresi come tipi di discorso, mantenuti collettivamente ma inconsciamente , piuttosto che sviluppati. Per entrambi, tuttavia, l’elemento cruciale è nella natura collettiva delle fantasie, e il modo in cui forniscono visioni del futuro con influenza sul presente.

[4] Si tratta di un’iterazione contemporanea di un vecchio dibattito marxista riguardante il primato, da un lato, della tecnologia e delle infrastrutture (le forze della produzione) o, dall’altro, dei rapporti sociali di produzione che li circondano, nel determinare la forma della società. Si veda Malm (2018) per una sintesi contemporanea del dibattito. Vedi anche Sheena Wilson: “l’energia in sé non crea trasformazione. È la valutazione delle fonti energetiche e dei modi in cui sono socialmente, economicamente e politicamente integrate che sarà trasformativa” (2018: 386). “Solarità [sing]” e “Solarità [plur]” sono nuovi termini, usati in questo articolo e nelle scienze umanistiche dell’energia per riferirsi alle configurazioni sociali, politiche ed economiche di possibili futuri alimentati dal sole. Prendo questo utilizzo da Darin Barney e Imre Szeman. Vedi Boyer e Howe (2018)

[5] Il solarpunk è, per quanto ne so, l’immaginario più riccamente sviluppato che abbiamo di un futuro solare alternativo (solarità). Anche la graphic novel di Ganzeer The Solar Grid (2016) è ben sviluppata, ma è incompleta (quattro numeri a oggi) ed è un testo di un singolo autore piuttosto che un immaginario di comunità condiviso.

[6] Arseneault e Pierson (2015); Orsi (2018); Ulibarri (2018); Wagner e Wieland (2017). Altri due potrebbero essere inclusi nel banner: Blue (2017) e Grzyb e Sparks (2017). Per i siti web si vedano: Solarpunks, Jay (2017) e Solarpunks Tumblr.

[7] Questa situazione è ovviamente vera per altri sottogeneri contemporanei con comunità di fan dedicate, in particolare per gli altri punk, come steampunk e dieselpunk, ma questi sono stati denominati in primo luogo per categorizzare gli esempi esistenti.

[8] “Tu credi in un edificio di cristallo, per sempre indistruttibile, cioè in un edificio in cui non si può né fare le linguacce di nascosto, né fare un gesto osceno in tasca. Bene, e forse ho paura di questo edificio proprio perché è cristallo e per sempre indistruttibile, e sarà impossibile mettere fuori la propria lingua ad esso anche di nascosto”. (Dostoevskij, 2010: 35). Inoltre, per sottolineare, nonostante il finale, o forse a causa della sua risoluzione troppo scontato, le tensioni e le dissonanze di Red Crusher ne fanno una delle storie più stimolanti nel canone solarpunk.

[9] Gli esempi sono numerosi, ma includono la resistenza politica nel Regno Unito al fracking nelle contee della patria rispetto alla stessa pratica negli Stati Uniti rurali; la manifestazione di rabbia alla fuoriuscita di petrolio del Golfo rispetto alle fuoriuscite regolari nel delta del Niger; e naturalmente la nascita delle Energy Humanities in Alberta, in risposta alle Tar Sands canadesi.

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