Il presente post riproduce un intervento già apparso in precedenza sul numero 6 di Emma (rivista), nel marzo 2024.
NOTA dell’autrice:
Ho scritto questo articolo su richiesta, alla fine dell’estate del 2023: prima, dunque, che si scatenasse su Gaza la rappresaglia sionista all’attentato terroristico in cui il movimento di resistenza palestinese Hamas ha rapito ostaggi civili dai territori occupati da Israele. La risposta dello stato sionista è stata sadica, spropositata, inaudita, tale da costituire a mio avviso un passaggio storico ineludibile.
Un esercito tra i più armati e ideologizzati del mondo è stato scagliato scientificamente contro una popolazione civile composta in larga parte di anziani, donne e bambini; con attacchi mirati a tende, convogli civili, zone dichiarate sicure, e assassinio di medici, giornalisti, operatori umanitari; con la chiusura delle vie di fuga e di quelle di entrata degli aiuti e l’uso della fame come arma di guerra; con una classe dirigente che incita apertamente allo sterminio indiscriminato; e con un’ampia copertura mediatica a cui hanno provveduto gli stessi sionisti, con video in cui essi stessi hanno documentato i propri crimini di guerra godendo nel farsi beffa delle loro vittime. Tutto questo in un contesto internazionale di totale impunità, anzi, di copertura, complicità e collaborazione da parte di USA e UE in particolare; il che ha permesso a Israele di invadere e bombardare stati confinanti con una logica di mera prepotenza, aprendo ben sette fronti di guerra e portandoci pericolosamente vicini a un conflitto mondiale.
Il contesto, insomma, è molto cambiato da che scrissi questo articolo: il mondo ha fatto un ulteriore passo verso la guerra, la storia umana è sprofondata nel gorgo di un genocidio in diretta social ed è messa in seria discussione, se non stracciata, la cornice del diritto internazionale – che era già compromessa, ma che restava una delle più grandi conquiste del Novecento e della sua storia insanguinata.
Se il solarpunk è inteso come un movimento unicamente estetico-letterario, poco cambia in esso, rispetto a quanto esposto sopra.
Se invece il solarpunk è inteso come un movimento di pensiero e di politiche, teso a preparare il terreno per un futuro migliore, non possiamo che registrare un deciso arretramento della situazione dalla quale partiamo, ed evoluzioni che mettono in questione presupposti, modi e possibilità di lotta.
Considero il genocidio sionista come un messaggio preciso, rivolto a tutti i popoli del mondo: “chi è di intralcio sarà massacrato senza pietà e senza che nulla possa interporsi tra il debole e il forte”.
Se il movimento solarpunk ha ancora l’ambizione di incidere sul reale, è necessaria una riflessione, a partire da questo messaggio e dal fatto che al momento chi lo esprime è dominante, sulla base dei rapporti di forza attuali.
La speranza è ancora possibile?
Questa specifica speranza, quella del solarpunk, è ancora realizzabile?
Credo che da questi interrogativi, e da altri correlati alle involuzioni verso la guerra, nuove elaborazioni dovranno nascere, per far sì che il solarpunk mantenga un legame con la realtà e possa in questo modo proseguire nel suo tentativo di cambiarla, di costruirne una diversa.
Grazie.
Giulia Abbate
La lotta dell’immaginario tra rigenerazione, utopia e infrapolitica
di Giulia Abbate, per EMMA. Culture e linguaggi libertari
La trasformazione sociale non avviene mai solo attraverso cambiamenti economici o giuridici. Tali cambiamenti sono sempre accompagnati da alterazioni nelle sfere trasformative più informali della cultura e dell’ideologia, che danno forma alle modalità pratiche secondo cui le persone pensano e agiscono. Questo gli anarchici lo hanno sempre riconosciuto.
(Connor Owens)
La trasformazione è parte della vita e della storia umana a ogni livello: da quello individuale, al collettivo. Ci sono però epoche in cui la trasformazione è più drammatica, densa di dolore, perché il sistema di valori condiviso non riesce a trasformarsi in modo progressivo, ma collassa, dimostrandosi improvvisamente incapace di fornire un qualsiasi quadro di senso ai fenomeni. La risposta dell’arte a questa congiuntura può essere di diverse forme, la letteratura ne percorre per lo più due: quella dell’apocalissi, e quella dell’utopia.
È stato così durante le grandi crisi successive alla Seconda guerra mondiale. La Guerra Fredda con i suoi incubi di annientamento produceva una fantascienza catastrofica, accanto a prodotti culturali impegnati nella lotta ideologica, quindi tesi a magnificare le “magnifiche sorti e progressive” della propria parte.
Poi, negli anni Settanta, le inquietudini si fanno più profonde, portando a uno “sconfinamento” dell’attitudine apocalittica nella narrativa mainstream e realista – su questo ha ragionato efficacemente Bruno Pischedda nel saggio La grande sera del mondo, un testo da riscoprire per scavare anche nell’oggi. In parallelo, però, irrompe l’utopismo ecologista, dall’Ecotopia di Ernest W. Callenbach ai pianeti dell'”Ecumene” di Ursula K. Le Guin, grazie ai quali la letteratura e forse l’arte non sono più le stesse.
Oggi, vent’anni dopo l’inizio del millennio, dopo la folle euforia consumista degli anni Ottanta, i proclami neocolonialisti di “fine della storia”, e le macellerie sociali e morali partite da Genova 2001, ci troviamo in una ennesima fase di travaglio epocale. Di nuovo l’apocalissi erompe nel nostro immaginario, per lo più come disastro climatico. E di nuovo sorge l’esigenza di storie di segno diverso, alla ricerca di una luce oltre la “grande sera”.
È un doppio movimento, una lotta di immaginari. Il dominio ideologico neoliberista lavora con enorme potenza di fuoco, per imporre il suo sigillo all’esistente, il “there is no alternative”: si appropria della distopia facendone un’arma reazionaria, e ci dipinge come smart l’esistenza miserabile che prepara per noi. Ma di nuovo, tra gli interstizi delle trombe del potere, abitando i margini frastagliati e vivaci della letteratura di genere, emerge una controspinta utopista: rimette in campo il “non esistente”, l’immaginario, il fantastico, e lo fa con l’ambizioso intento di incidere sulla vita, oltre che nell’arte.
Questa letteratura utopista è il solarpunk, un sottogenere della fantascienza che ha poco più di dieci anni di vita, e che nelle sue storie include idee e speculazioni utopiche, ecologiste, femministe, a volte anticapitaliste.
Nome e definizione
Il solarpunk è un sottogenere letterario della fantascienza. È nato da un più vasto movimento di pratiche attiviste, già aggregatesi sotto questo hashtag su piattaforme come Tumblr, con post su moda, riuso e riciclo, arti figurative, giardinaggio, autoproduzione di cibo e oggetti, saperi nativi, arts&crafts e Art Nouveau, etc.
Il solarpunk letterario scaturisce in un secondo momento, raccogliendo l’esigenza di raccontare storie che includano e sviluppino quel mondo migliore prefigurato dalle pratiche; storie che reagiscano alla fortissima prevalenza della distopia, alle sue catastrofi, ai suoi futuri neri, alla sua attitudine cupa fin quasi all’autocompiacimento, con narrazioni di segno opposto, che trasmettano la speranza e soprattutto lo slancio per costruire un futuro diverso.
Il solarpunk si propone una rigenerazione dell’immaginario come gesto di attivismo politico: mette in scena un futuro migliore e costruisce strategie per renderlo, se non possibile, almeno pensabile.
Il nome contiene già tutto, e risale al 2008: fu elaborato su The Republic of the Bees, blog che si occupava di politica ed economia con attenzione a due temi: transizione all’energia solare e pratiche sociali di mutuo aiuto e commons. Questi aspetti risaltano nel neologismo “solarpunk”, che, scaturito dal termine steampunk (ma messo da subito in dialettica con il più famoso cyberpunk), unisce “solar” e “punk”.
“Solar” indica il ricorso alle energie alternative, e per estensione la sostenibilità, la cura ambientale, l’ecologismo; allude anche all’utopia, che si contrappone ironicamente alla distopia delle “città piovose” e ai suoi scenari cupi.
“Punk” è la ribellione: ribellione al sistema capitalista neoliberista, che (cito Jason Moore) vuole essere ecologia-mondo, e che va invece rigettato come l’ideologia tossica che è, nemica della vita e della gioia; ma “punk” è anche rivolta verso la narrazione che esclude la speranza, che continua a dirci con protervia che siamo spacciate e “meritiamo l’estinzione” e dopo di noi il diluvio e sarà tutta colpa nostra.
I termini “solar” e “punk”, e “solarpunk”, indicano quindi degli elementi di merito (ecologismo, anticapitalismo), ma anche di metodo (utopismo, contronarrazione).
Partendo da queste basi, la narrativa solarpunk tenta di rispondere alla domanda: “Che aspetto ha una civiltà sostenibile e come possiamo arrivarci?”. La valenza politica di questa domanda risiede in una convinzione che forse è un mero dato di fatto: non si può realizzare nulla che non si sia prima immaginato.
Nascita e sviluppo
Dopo anni in cui la parola “solarpunk” è usata online, nel 2013 in Brasile esce la prima antologia di racconti: Solarpunk: Histórias ecológicas e fantásticas em um mundo sustentável a cura di Gerson Lodi-Ribeiro; caso più unico che raro, il nuovo racconto fantascientifico non è stabilito dagli anglosassoni.
Parliamo ora dello scenario italiano, che è quello su cui l’articolo intende concentrarsi.
In Italia, il solarpunk è inaugurato nel 2010 dal Commando Jugendstil: Guglielmo Miccolupi e Laura CZ Domingues, principali animatori del gruppo, si trasferiscono poco dopo a Reading (UK), e scrivono racconti in lingua inglese, partecipando alle diverse antologie che negli anni fioriscono.
Vale qui la pena di notare che da sempre e fino a oggi il solarpunk letterario predilige la forma racconto, contrappuntandola spesso con manifesti nei quali si cerca di teorizzare e costruire questo genere ancora in formazione; i romanzi sono più rari e tardi.
Infatti, è del 2018 I Camminatori di Francesco Verso, romanzo dichiaratamente solarpunk che l’autore pubblica in due volumi nella collana editoriale da lui stesso curata, Future Fiction di Mincione editore.
Nel febbraio 2020 esce in digitale il primo racconto solarpunk italiano: La compagnia perfetta, di Romina Braggion, Delos Digital editore. Poi si torna alle antologie: nel 2020 Future Fiction, divenuta etichetta autonoma, pubblica la prima antologia di racconti solarpunk internazionali tradotti in italiano: Solarpunk: come ho imparato ad amare il futuro, a cura di Fabio Fernandes e Francesco Verso.
A pochi mesi di distanza, esce con la cura di Franco Ricciardiello Assalto al sole, Delos Digital, la prima antologia solarpunk italiana. Nasce Atlantis, collana mensile di racconti solarpunk, sempre curata da Franco Ricciardiello e sempre Delos Digital; seguita da nuove traduzioni di Future Fiction, che dà spazio anche alla saggistica a tema.
Nel gennaio 2021, apre online il portale Solarpunk Italia, a cura di Romina Braggion, Franco Ricciardiello, Silvia Treves e chi scrive, che ha come scopo la divulgazione e la ricerca del solarpunk in tutte le sue forme. È del 2022 il romanzo I vegumani di Clelia Farris per Future Fiction.
A livello internazionale, i romanzi più celebri e “accreditati” come solarpunk oggi sono quelli di Kim Stanley Robinson; e il giovane immaginario solarpunk, partito da William Morris e dall’Art Noveau, e nutrito dalle architetture di Luc Schuiten, trova linfa nelle visioni fantasmagoriche di Hayao Miyazaki.
(Ma il film di animazione solarpunk più completo, di una perfezione diligente e meticolosa, che include tutto tranne il conflitto sociale, è a oggi il blockbuster Strange Worlds della Disney: data la voracità estrattivista dell’industria culturale, non lo considero un buon segno).
Entriamo dunque più nel merito: a cosa andiamo incontro, di fatto, quando decidiamo di aprire un testo che si dice solarpunk?
Storie, ambientazioni, personaggi
Probabilmente, ci verrà presentato uno scenario dai tratti utopici; che però non sarà perfetto né immobile, ma denso di sfide e di diversi ordini di problemi. Spesso si parte da una situazione cupa, nella quale si facciano strada possibilità e reazioni di segno diverso. L’utopia solarpunk segue personaggi che affrontano nuovi dilemmi, in contesti che non sono più quelli capitalisti occidentali; oppure, soggetti che combattono proprio quei contesti, con strategie, rivolte, piani, pratiche e comportamenti.
A volte il conflitto non è tra visioni del mondo, ma interno a una visione diversa dalla nostra, che viene così esplorata. Ad esempio, in Solstizio, di Franco Ricciardiello: la giovane protagonista deve raggiungere in bicicletta il ragazzo che ama, e ripercorre la storia del loro amore, muovendosi intanto in un mondo con caratteristiche solarpunk “da manuale”, che possiamo vedere dispiegate lungo le tappe del viaggio.
La civiltà rurale descritta in Nutopia di Stefano Carducci e Alessandro Fambrini, incluso in Assalto al sole, si trova sui colli toscani, ma ha uno stretto rapporto con le basi spaziali orbitanti intorno alla Terra. La vicenda ruota intorno a un rito di passaggio che le/gli adolescenti devono affrontare; prima che si arrivi alla suggestiva descrizione del momento della prova, dove irrompe una dimensione mistica, leggiamo delle vie personali per arrivarci, tra dubbi e confronti dei vari personaggi.
Le ambientazioni dei racconti solarpunk sono molto diverse tra loro: città vegetali fatte di case-albero, oppure comunità rurali o native; quarteri degradati, condomini periferici, margini minacciati o oppressi dal centro. Partito dal Brasile e da istanze di decolonializzazione, il solarpunk internazionale subisce la fascinazione della giungla e delle culture amazzoniche; in Italia, la “componente nativa” è cercata nelle culture locali, come la Sardegna in Infernomuto di Marco Melis, o la Roma popolare in Lasciate fare a Elvis di Laura Silvestri: questo racconto è ambientato in un condominio della Magliana, e fa un lavoro interessante anche dal punto di vista stilistico, visto che usa il dialetto romanesco come elemento di “cultura nativa”. Il portiere Alvise, detto Elvis, si muove “cicalando” (ovvero chiacchierando tra sé e sé o a voce alta) tra piani e appartamenti, e svolge un lavoro di cura che non si limita alla pulizia e alle riparazioni, ma coinvolge e connette la comunità nella sua vita quotidiana, di cui scopriamo con gradualità le sfide estreme, legate a un’evoluzione futura peggiorativa che non è pensabile riuscire ad affrontare in modo individuale o egoistico.
I racconti solarpunk mettono spesso in scena assemblee, consigli collettivi, gruppi e comunità. A volte, i conflitti sono risolti senza l’utilizzo della violenza, o con esplicite pratiche di nonviolenza politica. Una nonviolenza giocosa, come in Colpo di una notte di mezza estate del Commando Jugenstil, in cui la città di Milano vede dispiegarsi il blitz di un gruppo di artisti che mette beffardamente in crisi i progetti predatori dell’amministrazione comunale (vista la predazione del verde e degli spazi comuni che sta oggi attuando l’amministrazione di Beppe Sala, sarebbe bello che il domani fosse già oggi!). Ma alla nonviolenza si arriva anche tramite esperienze di dolore, come in Un racconto dell’arcipelago, del duo Carducci & Fambrini. Qui, una comunità di pescatori greci, che dopo una guerra di indipendenza ha adottato ritmi ecologici e un’organizzazione antiautoritaria, è di nuovo minacciata da invasori fascisti: alla prospettiva di dover imbracciare di nuovo i fucili, gli aggrediti reagiscono con stanchezza e disgusto, cercando poi nuove possibilità di reazione e autodifesa.
Siamo pur sempre in territorio fantascienfico: i racconti solarpunk si confrontano con la scienza e la tecnologia, e l’inserimento di innovazioni e invenzioni indica continuità e ossequio alla tradizione; ma la dialettica non è sempre pacificata. Nel racconto La seconda chance, incluso in Assalto al sole, Silvia Treves dipana con estrema raffinatezza conflitti tra paradigmi diversi, accanto a scene di fusione umana in punti di vista animali, davvero indimenticabili. E Irene Drago con Fenice citoplasmatica ci getta tra cure per il cancro, OGM, dilemmi medici, che culminano nel ritorno dello scienziato pazzo, in versione efficacemente femminile.
Il femminismo è la direttrice principale di Romina Braggion, che con Memorie di una ragazza interrotta recupera il vasto armamentario dell’utopismo femminista: tra reazione violenta all’abuso maschile e balsamico isolazionismo femminile, una nuova conformazione del corpo umano rende il conflitto superato. La violenza maschile legata a schemi colonialisti è anche un elemento dirompente di Sorelle della prateria di Elena Di Fazio: la comunità femminile inuit vive in una Groenlandia ormai coltivabile a causa del riscaldamento climatico, e intrattiene con l’ecosistema un rapporto infuso di una dimensione sacra, tra mistica e psichedelia.
Nella scelta dei personaggi, si mette pure in discussione il machismo, l’eroismo, il superomismo, il colonialismo, l’antropocentrismo. Seguiamo gruppi di donne cicliste, famiglie allargate, comuni montanare, salamandre, militari smarriti nel tempo, attiviste adolescenti, gatti domestici. Che agiscono rivolte, sberleffi al potere, resistenze sotto talloni di ferro, gioie in trasgressioni segrete, contrasti con le loro comunità, improvvise fughe e ritorni spaziotemporali.
E intanto, mentre racconta, il solarpunk studia: quali strategie per l’uscita dal capitalismo? Come ricostruire una vita comune e felice? Quale salvezza ecologica, sociale, spirituale? Come esistere e coesistere col resto del mondo, e con gli altri esseri che lo abitano?
Una via anarchica
I diversi autori e autrici ipotizzano naturalmente soluzioni differenti, anche politicamente (e la politica non è elemento imprescindibile: come forma letteraria, il solarpunk è praticato anche in via esclusivamente letteraria, come esperienza di scrittura). Andiamo da un progresso tecnologico che non mette in discussione il sistema generale, ma trova soluzioni migliorative; fino a rovesciamenti totali, con la costruzione di diversi assetti politici ed economici, che edifichino un nuovo mondo sulle macerie del capitalismo. A mio avviso, sono questi ultimi i racconti più forieri di stimoli, perché si fanno laboratori di visioni, possibilità, idee, sviluppate attraverso il lavoro narrativo.
Abbiamo bisogno di opere d’arte che instillino un modo consapevolmente anti-autoritario di guardare il mondo e un ethos libertario di autonomia, aiuto reciproco e interrelazionismo ecologico. Il solarpunk è uno dei migliori focolai culturali disponibili per creare opere d’arte di questo tipo.
Così afferma Connor Owens, attivista e anarchico, nel suo articolo Solarpunk come infrapolitica anarchica:
Con infrapolitica mi riferisco alle forme di azione culturale e ideologica, in cui le persone si impegnano, che non sono formalmente politiche, ma che tuttavia costituiscono una base della realtà socio-politica della società, sia a livello interpersonale, che sistemico, poiché modellano il modo in cui concepiamo, con cui ci relazioniamo e con cui interagiamo con la realtà sociale. Attività come l’arte, la creazione di ambienti controculturali, l’iniezione di idee politiche in vari ambienti culturali, il fare filosofia e il creare forme alternative di educazione. (…) Quindi, anche se al momento è una realtà piccola, sia gli anarchici che i solarpunk potrebbero avere molto da guadagnare dalla collaborazione e dall’immersione reciproca nei mondi dell’altro.
Questa strada è ora forse la meno battuta nei racconti solarpunk italiani. L’auspicio di chi scrive è che sia invece praticata e percorsa con piena contezza: che l’anarchismo sia divulgato e raccontato dal solarpunk, a un pubblico già alla ricerca di strade verso un futuro diverso; e che in cambio nutra l’immaginario narrativo, e doni alla fantascienza quella radicalità che è forse la sola risposta valevole al nichilismo altrettanto radicale di un capitalismo ormai apertamente antropofago e suicidario.
Dopo il travagliato Novecento, irraggiato dalla propaganda del progresso, teatro di grandezze annichilenti, di dominii inediti, di altezze e di sterminii, sul nostro mondo si fa ancora sera, ed è di nuovo una “grande sera”. La notte sarà lunga e bisognerà tenere duro, confidare che ritorni il mattino, prima o poi; e nel frattempo tenere acceso qualche caldo, scoppiettante, pertinace fuoco.





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