Categories:

Giulia Abbate

Scrittrice, anarchica, taoista, ecologista, femminista. Ursula K. Le Guin (1929 – 2018) è stata un’inventrice di mondi e di futuri. Per lei la fantascienza era una delle forme più alte della letteratura. Perché descrive le traiettorie delle nostre società e ne mette in luce storture, criticità, ma anche gli orizzonti del possibile.

Il presente approfondimento è apparso originariamente sulla rivista Emma – Culture e pensieri libertari – numero 03, marzo 2022.
Si ringrazia la direttora Carlotta Pedrazzini per la disponibilità.

“La mia carriera di scrittrice è stata lunga, e anche bella e in buona compagnia. Ora che è alla sua fine, non voglio dover vedere la letteratura americana svenduta al mercato. Noi, che viviamo di scrittura e di editoria, vogliamo e dobbiamo chiedere la nostra equa parte di ricavo; ma il nome della nostra “bella ricompensa” non è profitto. Il suo nome è libertà. Grazie”.

Mena una stoccata al suo ambiente e cita Springsteen: così Ursula K. Le Guin termina il discorso di ringraziamento alla National Book Foundation, che le ha tributato il riconoscimento alla carriera, ai suoi ottantacinque anni. Il discorso è rimasto negli annali per ciò che dichiara, e anche per come lo fa: combinando ironia, chiarezza, coraggio e una certa dolcezza di fondo che non leva impatto né limpidezza alle parole scomode, ma aggiunge loro un’umanità che ispira trasporto.

Questi elementi sono anche una cifra autoriale di Le Guin, dotata di una sapienza comunicativa che più colpisce quanto meno aggredisce, ed è forse parte del suo successo: la scrittrice ha avuto dalla sua l’amore del pubblico e molti premi. Come il National Book Award, appunto, uno dei massimi riconoscimenti letterari statunitensi: caso abbastanza raro (ma lei ne ha vinti tre, più quello alla carriera), perché Le Guin non ha mai fatto mistero di essere una scrittrice di fantascienza, definendola una delle forme più alte della letteratura, ma negletta proprio dalla comunità letteraria mainstream che nel tempo non ha sempre compreso il valore della narrazione fantastica

Questo Le Guin lo ha spesso rimarcato, con la sua voce indipendente, lucida, coraggiosa e al di là dei conformismi. Del resto, una scrittrice di fantascienza celebre per la sua pipa spenta alle riunioni letterarie, che a ottantuno anni apre un blog e a ottantacinque bacchetta chi l’ha appena premiata, si presenta in modo quanto meno eccezionale.

UNA BAMBINA E IL MONDO

L’eccezionalità di Le Guin scaturisce anche dalla sua formazione familiare, che ella terrà a ricordare, mantenendo sempre nella sua firma la lettera K., iniziale di Kroeber, cognome di suo padre. (Le Guin è invece il cognome del marito, e, per fugare dubbi, non è francese, ma bretone, e si pronuncia come si scrive: leguìn).

Ursula Kroeber nasce nel 1929 a Berkeley, dalla scrittrice Theodora Kracaw e dall’antropologo Alfred Kroeber. Cresce in un ambiente intellettuale, tra l’università e il vecchio ranch di famiglia dove trascorre le estati in compagnia di ospiti interessanti, a contatto sin da subito con l’alterità. Suo padre studia e ospita Ishi, ultimo appartenente alla tribù nativa Yahi; sua madre ne scrive un resoconto diventato celebre. Più avanti, Ursula ricorderà quest’uomo radicalmente altro, la sua lingua che apriva mondi di pensiero diversi eppure possibili… e da scrittrice lavorerà sul linguaggio, facendosi conoscere anche come valida e originale glottoteta.

Scrive il primo racconto a nove anni, a undici ne invia uno a una rivista (non pubblicato); consegue la laurea in Storia della letteratura francese, con studi anche di italianistica, e dopo una permanenza a Parigi si sposa con lo storico Charles Le Guin, torna con lui negli Stati Uniti e mette al mondo tre figli, tra il 1957 e il 1964. Mentre suo marito attende all’insegnamento universitario, Ursula lavora come insegnante e segretaria, si occupa dei bambini e continua a scrivere romanzi rifiutati dalle case editrici.

È quando si dedica alla fantascienza che inizia a ottenere attenzione e pubblicazioni. E cambia per sempre questo genere letterario. Con un portato ampio, organico, profondo, che dalle storie passa per lo stile, e finisce con l’abbracciare l’intera natura della forma espressiva fantastica.

LIBERTÀ, ECOLOGIA, FANTASCIENZA

“La fantascienza non prevede; descrive. (…) Aprite gli occhi; ascoltate, ascoltate. Ecco cosa dicono i romanzieri. Ma non vi dicono cosa vedrete o sentirete.”

Con cinque premi Hugo, sei premi Nebula e diversi altri importanti riconoscimenti, Ursula K. Le Guin è stata una delle autrici di fantascienza e fantasy più amate di sempre, e le sue storie sono ancora capaci di ispirare autrici, autori e interi movimenti artistici (l’ultimo a riconoscere il legame è il solarpunk).

Anarchica, taoista, ecologista, femminista “tardiva” (durante l’ondata di fine Sessanta era impegnata con la famiglia, come raccontò più tardi, e arrivò al femminismo in seguito) cantora dell’alterità come condizione necessaria alla vita, inventora di mondi e di futuri rimasti nella memoria di chiunque legga fantastico… con la sua scrittura, Le Guin ha davvero segnato l’immaginario collettivo.

Nelle sue storie non risparmia asperità e colpi, ma rifugge scenari di devastazione e si concentra sulla costruzione di possibilità, strade, mondi che, nel “sicuro, sterile laboratorio” del futuro, sono metafore di problemi umani, culturali, esistenziali.

Le Guin parte da una grande attenzione per il linguaggio e l’alterità dei personaggi (molti dei quali di pelle scura: forse per questo, commentò ironica, sulle copertine dei suoi libri mettevano sempre paesaggi). Vi aggiunge una sensibilità riconoscente per il mondo intorno, che non è uno scenario separato o necessariamente ostile, ma una presenza che comunica, un personaggio esso stesso, ed è spesso un mondo verde.

L’ecologia, supportata dalle conoscenze correlate, dalla filosofia alla botanica, è una componente essenziale delle storie e dei messaggi di Ursula K. Le Guin, che immagina pianeti verdi entrare in risonanza con astronauti “empatici”, e mondi invernali dove il gelo è condizione ontologica che struttura la stessa percezione delle cose. Ma non si ferma qui: i suoi romanzi più famosi chiamano in causa le differenze di genere e di società, questionando problemi umani che tutte e tutti sentiamo in qualche modo come nostri.

UNA CONCEZIONE UTOPICA

“Farò il mio rapporto come se narrassi una storia, perché mi è stato insegnato, sul mio mondo natale, quand’ero bambino, che la Verità è una questione d’immaginazione”.

In La mano sinistra delle tenebre (1969), la popolazione di Gethen, ovvero “Inverno”, è asessuata per la maggior parte del tempo, e assume un genere (maschile o  femminile, a seconda dei casi) solo durante il kemmer, il periodo che potremmo definire di estro. I getheniani considerano con imbarazzo gli esseri umani: sono sessuati tutto il tempo, dunque assatanati furiosi! Il romanzo fa molto parlare per questo ermafroditismo bigenere, ma è anche la storia di un’amicizia tra due esseri “alieni” l’uno all’altro, durante un lungo e pericoloso viaggio tra i ghiacci del pianeta. La storia riporta anche il tema narrativo dell’Ecumene, che compare in tanti racconti di Le Guin sin dai primissimi, componendo il cosiddetto  “Ciclo dell’Ecumene” (o Hainish, in originale).

L’Ecumene è una lega intergalattica ricostruita dall’umanità futura, che, dopo una fase a noi precedente di espansione tra i pianeti, ha avuto un’involuzione, lasciando ogni civiltà a uno sviluppo isolato (la Terra fa parte di questo gruppo derivativo, non della prima civiltà, che parte da Hain); in seguito, con la riscoperta del volo intergalattico e di un sistema di comunicazione istantaneo a distanza, l’ansible, l’umanità ha ripreso contatti reciprici e si è federata in una nuova società pangalattica, generalmente rispettosa delle differenze e intenzionata a non interferire con i rispettivi contesti.

Anche per questa idea Le Guin è considerata una grande autrice utopista, perché mossa dalla speranza e dalla convinzione che un bene esista; allo stesso tempo, è attenta alla complessità irrisolta, sempre propensa alla messa in discussione delle proprie stesse soluzioni.

Le Guin è stata dunque un’utopista “ambigua”, come recita il sottotitolo di un romanzo successivo, anch’esso tra i più celebri: I reietti dell’altro pianeta – Un’ambigua utopia (1974). Qui, l’autrice ricorre allo stesso espediente narrativo del “pellegrino”: lo straniero che si reca in un mondo diverso e si confronta, e noi insieme a lui, con le differenze e le difficoltà del caso. Ci sono due pianeti gemelli: Urras, a sistema capitalista e patriarcale, e Anarres, anarchia collettivizzata che si definisce “odoniana”. Il “pellegrino” Shivek è uno scienziato (al lavoro sul progetto dell’ansible) che da Anarres ha il permesso di fare un viaggio su Urras. Le Guin ci mostra il percorso di evoluzione di un giovane anarchico a contatto con il capitalismo, e allo stesso tempo mette in questione le fondamenta dell’utopia odoniana, e la problematizza in una relazione dinamica con il suo opposto, ma anche in sé stessa.

La relazione è una componente narrativa imprescindibile nelle storie di Ursula K. Le Guin: il rapporto – interpersonale, tra generi, tra mondi, tra alienità radicali – permette di conoscere, di cambiare, di stringere legami, di vivere, e spesso è messo in scena sull’architettura narrativa del viaggio e dello spostamento.

Su questi tropi è impostato anche un romanzo minore, ma significativo: L’occhio dell’airone (1978) è il racconto del conflitto tra La Città, patriarcale e carceraria (fatta di ex galeotti deportati dalla madrepatria su un altro pianeta), e Shanti, comunità agreste basata sulla nonviolenza gandhiana (i suoi primi componenti sono stati esiliati sullo stesso pianeta, ma perché dissidenti politici). La profonda conoscenza della nonviolenza politica radicale permette a Le Guin di seguire una strada sorprendente, originale e credo mai più ripercorsa da altre narratrici e narratori; è forse grazie alla sua intima adesione al taoismo che riesce a costruire personagge e personaggi che non solo praticano la nonviolenza, ma la incarnano – questa è in fondo l’unica strada veramente nonviolenta.

Non è forse un caso che, nel volumetto italiano pubblicato da elèuthera editrice, a L’occhio dell’airone segua il racconto Il giorno prima della rivoluzione (1974): breve e struggente affresco degli ultimi giorni della grande Odo, la rivoluzionaria che ha dato vita al movimento degli odoniani che troveremo poi su Anarres. È una donna anziana, tendente al malumore, che si muove in un mondo già da lei cambiato e si interroga sul proprio percorso, tra ricordi di battaglia e franche domande esistenziali destinate a non avere risposta.

CINQUE PAROLE CHIAVE, UNA VOCE ORGANICA

“La libertà è un carico pesante, un grande e strano fardello che lo spirito deve sostenere. Non è facile. Non si tratta di un dono ricevuto, ma di una scelta fatta consapevolmente, e la scelta può essere molto difficile”.

Anarchismo, taoismo, utopismo, femminismo, ecologismo: cinque parole chiave che si intrecciano nella poetica di Le Guin e si riflettono tanto nei contenuti che nella forma delle sue storie. Trovo importante tornare sulla sua voce acuta, diretta, scanzonata e mai cinica perché coinvolta, che ci comunica un senso di rispetto e di protezione spirituale. Ben diversa da certi toni contundenti, tipici di distopie violente che feriscono per il gusto di farlo, è una voce che risalta anche quando posta tra autrici a lei affini: nella raccolta fantafemminista Le Visionarie (2015), il suo racconto Sur è l’unico che ci lasci con sensazioni positive, perché, in mezzo a storie (pur pregnanti) di violenza e sopraffazione soffocante, racconta con affettuosa ironia il viaggio segreto di un gruppo di amiche, che passano l’Antartide prima dei primi esploratori uomini, parlando intanto della loro esclusione e dei problemi che le donne affrontano in quanto donne. Non è che si sottragga alla denuncia e alla problematicità, Le Guin, ma lo fa con il suo stile, lo stesso del discorso del premio: quando, nel mezzo della sua requisitoria contro la svendita della letteratura, nell’udire un isolato battito di mani scoppia a ridere e dice: “Thank you, brave applauder!” (“Grazie, coraggiosa/o che applaudi!”)

Questa disposizione anarchicamente gioiosa, accudente in modo femminista, rispettosa delle ecologie emotive, oltre che delle complessità intellettuali anche divergenti, brilla nei racconti brevi. Lo vediamo già dalla raccolta I dodici punti cardinali (1975) che contiene le prime prove brevi dell’autrice, riportate in ordine di tempo, con sue poche righe di introduzione per ciascuno, nelle quali ella ricorda dettagli o aneddoti, sempre con piacevole ironia.

E nella lunga carriera di Le Guin, che conta decine di romanzi e racconti, le opere da ricordare potrebbero essere molte: dallo Young Adult ante litteram La soglia (1980), delicato racconto delle escursioni in altri mondi di due adolescenti marginalizzati, al monumentale Sempre la valle (1985), complessa composizione di scritti fantaetnografici, su una futura civiltà matriarcale di stampo nativista, nata dopo un disastro planetario. Mi pare opportuno soffermarmi su Il mondo della foresta: un pianeta colonizzato da baldanzosi conquistatori militaristi, un popolo nativo misterioso e perso nella propria mistica, un’improvvisa insurrezione che rende le cose difficili ai militari sempre più violenti, intrappolati in battaglie nella boscaglia e accecati dalla loro stessa ferocia… è scritto nel 1967, durante la guerra del Vietnam. È una storia ricca: spiritualità e incanto verde, omaggio alle popolazioni native, discesa infernale nel punto di vista dei carnefici, indagine sul linguaggio, presa in carico della violenza colonialista. Ed è una storia che, è il caso di dirlo per non dare l’impressione di un saggio mascherato, appassiona e avvince dalla prima all’ultima pagina.

UNA TORMENTATA REVISIONE FANTAFEMMINISTA

“Appassionante” è una parola che ben si attaglia alle storie di Le Guin, che ha scritto testi “angolari” anche per il fantasy. La saga di Terramare è il suo contributo più poderoso: parte da una scuola di magia e dà vita a una storia epica in cinque volumi, pubblicati dal 1968 al 2001. Nel secondo, Le tombe di Atuan (1980), l’autrice intraprende una profonda e sentita revisione in senso femminista.

Cos’è, infatti, il potere? Per quale ragione nel primo libro il potere maschile dei maghi è preminente, mentre quello femminile è ancillare? Semplicemente perché, lo racconta Le Guin stessa, all’inizio non si era posta la questione del genere in modo critico, e dunque non poteva che ricadere acriticamente negli stereotipi correnti: in un sistema ingiusto, l’ignoranza e persino la neutralità vanno a rinforzare quella stessa ingiustizia. Con Le tombe di Atuan Le Guin recupera il potere femminile e una personaggia, Tenar, che rappresenta e insieme discende in questo mistero. Non sono poche le persone che, alla lettura di questa storia, hanno percepito un cambiamento non solo letterario, ma anche esistenziale, e lo hanno fatto proprio.

Perché i libri di Le Guin non si limitano a divertire, appassionare, far pensare: capita che cambino la vita, perchè presentano interrogativi che ci mettono di fronte a scelte ineludibili.

UN BAMBINO E LA CITTÁ

C’è una città bellissima: si chiama Omelas. Tutto qui è gioia, elevazione, felice e spontanea organizzazione, festa e comunanza. Tutto va bene, tutto è come ci augureremmo che sia. “Lo credete? Accettate la festa, la città, la gioia? No? Allora lasciatemi descrivere un’altra cosa”.

E se Omelas si fondasse interamente su un sopruso? Se la felice condizione di questa città sia possibile solo a condizione di tenere un bambino, un unico trascurabile bambino, segregato in uno scantinato e deprivato di ogni cosa, di ogni cura, di ogni parola di affetto? Il passaggio dalla letizia di Omelas all’”altra cosa” è un pugno in faccia che addolora e resta indimenticabile. Senza esplicita violenza, evitando morbosità e compiacimento, Le Guin ci mette di fronte alla scelta che ogni abitante di Omelas è costretto a prendere: accetti?

Accetti la perfezione, per questo prezzo che tanto non pagherai direttamente?

C’è chi resta, e superando il primo turbamento finisce per collaborare al tormento di un singolo essere in cambio “della festa, della città, della gioia”.

Ma il racconto si chiama Quelli che si allontanano da Omelas (1973): c’è chi abbandona tutto e fronteggia l’esilio pur di non avallare il sopruso.

Mi piace pensare che possa esserci altro. Ispirata dalla voce empatica, ironica e sempre diretta di Le Guin, e seguendo il suo richiamo alla responsabilità della creazione, voglio credere che non ci siano solo due soluzioni, ma almeno una terza via praticabile: quella di non andarsene, ma di restare o di tornare… e di lottare.

Non fare, ma essere la rivoluzione, incarnando la lotta nonviolenta. Stare nei contrasti, cercando nuovi linguaggi per amicizie aliene e leali. Costruire utopie accettandone l’ambiguità. Discendere con coraggio nella scura fonte che può impoterarci. E trovare la propria voce per raccontare ciò che accade negli scantinati, nella boscaglia, nei pianeti di ghiaccio.

“Si avvicinano tempi duri, e avremo bisogno delle voci di scrittrici e scrittori in grado di vedere alternative a come viviamo ora, capaci di vedere, oltre la nostra società colpita dalla paura e dalle sue ossessive tecnologie, nuovi modi di essere, capaci persino di immaginare nuove basi di speranza. Abbiamo bisogno di scrittorə capaci di ricordare cosa sia la libertà – poetə, visionariə- realistə di una realtà più grande”.

La fatica fatta con mano vuota e cuor leggero; il viaggio nel freddo, la persistenza della ricerca morale; e tante storie “più grandi” a sostenerci: se tutto questo non è una “bella ricompensa”, non so cos’altro possa esserlo.

Giulia Abbate

BIBLIOGRAFIA:

K. Le Guin, Ursula, The left hand of darkness, Ace Books, 1969. In italiano La mano sinistra del buio,

Mondadori, 2021, trad. Chiara Reali

K. Le Guin, Ursula, The Tombs of Atuan, Atheneum Books, 1970. In italiano Le tombe di Atuan, Editrice Nord, 1980, trad. Roberta Rambelli

K. Le Guin, Ursula, The Ones Who Walk Away from Omelas in New Dimensions 3, Nelson Doubleday/SFBC, 1973. In italiano Quelli che si allontanano da Omelas, in I dodici punti cardinali, Editrice Nord, 1979, trad. Roberta Rambelli

K. Le Guin, Ursula, Dispossessed: an ambiguos utopia, Harper & Row, 1974. In italiano I reietti dell’altro pianeta, Editrice Nord, 1976, trad. Riccardo Valla

K. Le Guin, Ursula, The Day Before the Revolution, Futures and Pasts, 1974. In italiano L’ occhio dell’airone-Il giorno prima della rivoluzione, elèuthera edizioni, 1997, trad. Roberta Rambelli

K. Le Guin, Ursula, The Word for World is Forest, Putnam Publishing Group, 1976. In italiano Il mondo della foresta, Editrice Nord, 1977, trad. Riccardo Valla.

K. Le Guin, Ursula, The Eye of the Heron, Delacorte Press, 1978. In italiano L’ occhio dell’airone-Il giorno prima della rivoluzione, elèuthera edizioni, 1997, trad. Roberta Rambelli

K. Le Guin, Ursula, The language of the night. Essays on fantasy and science fiction, Putnam Adult, 1979. In italiano Il  linguaggio della notte, Editori Riuniti, 1986, trad. Anna Scacchi.

K. Le Guin, Ursula, The Beginning Place, Harper & Row, 1980. In italiano La soglia, Editrice Nord, 1981, trad. Roberta Rambelli

K. Le Guin, Ursula, Sur, pubblicato in originale nel 1982 su The New Yorker

K. Le Guin, Ursula, Always Coming Home, Harper & Row, 1985. In italiano Sempre la valle, Mondadori, 1986, trad. Riccardo Valla

Gunn Eileen, How America’s Leading Science Fiction Authors Are Shaping Your Future, su Smithsonian Mag, maggio 2014, trad. mia

Vandermeer, Ann e Jeff , Sisters Of The Revolution: A Feminist Speculative Fiction Anthology, PM Press, 2015. In italiano Le visionarie, a c. V. Raimo e C. Durastanti, NOT edizioni, 2016

Ringrazio il Catalogo Vegetti della Letteratura Fantastica, per la consultazione.

Condividi il post

Comments are closed