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Silvia Treves

Il diritto all’acqua potabile è sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e dovrebbe essere garantito a tutti. Oggi, però, da bisogno di ogni creatura del pianeta, l’accesso all’acqua potabile è divenuto un’emergenza mondiale.

Tra le principali cause ci sono l’aumento della popolazione (attualmente più di 8,068 miliardi di persone), l’espansione dell’industrializzazione e dell’agricoltura (secondo dati 2021, l’agricoltura usa il 70% dell’acqua dolce della Terra e le industrie il 22%) e la contaminazione delle fonti d’acqua dolce.

Oggi, 4,5 miliardi di persone vivono accanto a fonti idriche danneggiate; entro il 2050, il 52% della popolazione mondiale abiterà in aree soggette a stress idrico.

Va ricordato che, nei casi in cui l’acqua potabile è disponibile, spesso si trova molto lontana dai centri abitati. Per procurarsela bisogna camminare anche per 4-5 ore al giorno, un compito che di solito spetta alle donne e alle ragazze.

È quindi indispensabile trovare sistemi di approvvigionamento poco costosi e non vincolati a grandi infrastrutture.

Una delle soluzioni più interessanti è la raccolta del vapore acqueo disperso in atmosfera; tuttavia, il metodo classico – quello della condensazione – richiede molta energia e penalizza gli abitanti dei Paesi a basso reddito.

Un’alternativa, già studiata in passato presso l’Università del Texas di Austin, è sfruttare l’energia solare utilizzando un idrogel capace di raccogliere e rendere potabile l’umidità atmosferica.

I primi risultati davano una resa bassa, pochi galloni al giorno, insufficienti anche per il bisogno giornaliero di una persona. Ora, però, il metodo è stato modificato come risulta da un articolo pubblicato a settembre su PNAS

Il miglioramento è dovuto alla riduzione dell’idrogel in microparticelle, ottimizzando così la sua capacità di assorbimento; le modifiche consentono di ottenere più cicli giornalieri e di raccogliere da 3,5 a 7 kg di acqua per kg di gel, a seconda dell’umidità presente, anche con il cielo nuvoloso.

Il prossimo passo sarà riuscire a produrre il kit per la raccolta d’acqua a livello commerciale e a prezzi accessibili anche alle popolazioni più povere.

Un simile progresso cambierebbe la vita in molti Paesi: l’Africa subsahariana, in particolare zone colpite da prolungate siccità come la zona del Corno d’Africa; Papua Nuova Guinea, dove meno del 50% della popolazione accede a una fonte sicura; Myanmar, Cambogia, Afghanistan, Tagikistan e Yemen, dove a risentire della mancanza d’acqua bevibile è tra il 25 e il 50% della popolazione.

Silvia Treves

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