Qualche mese fa, sono stata contattata da Adrián Crespo, editor del magazine catalano Directa.cat, con la richiesta di un articolo divulgativo sul solarpunk.
Il solarpunk a suo dire è qualcosa di abbastanza nuovo per i lettori della rivista, che ha sede a Barcellona. In particolare, l’interesse e la richiesta riguardava l’incrocio tra futuro, politica e arte, che solo la fantascienza può raggiungere, e che il solarpunk vuole praticare.
Ho dunque scritto un pezzo pensato per chi non conosce il solarpunk, che ho intitolato “Solarpunk: l’utopia che vuole esistere” e che la redazione ha modificato in “Manifesto solarpunk”. Due anni dopo aver redatto il primo manifesto solarpunk, ospitato su questo sito, mi sono quindi trovata alle prese con una seconda e impegnativa dichiarazione, da pubblicare insieme a un sunto del percorso fatto e dello stato dell’arte che oggi include anche noi.
Un onore che vale la fatica, e di cui ringrazio Directa.cat, per avermelo chiesto, e le solarsocie e solarsoci di Solarpunk Italia, per la fiducia accordatami. Grazie in particolare a Marco Melis: mi sono basata su un suo articolo precedente per aprire il mio, con la citazione da lui scelta di Adam Flynn.
Il pezzo Manifest Solarpunk, tradotto in catalano, è qui: Manifest Solarpunk.
Ne pubblichiamo di seguito la versione in italiano, in attesa di sviluppi: è infatti in essere un amichevole dialogo con Directa.cat e con Adrián Crespo, e la collaborazione tra noi non terminerà qui.
Buona lettura, intanto! Gaudeix de la lectura!
Giulia Abbate
Manifest solarpunk
Giulia Abbate per Directa.cat
INTRO DELLA REDAZIONE: Le storie forgiate da questa corrente estetica e letteraria, emersa quindici anni fa, e che orbita attorno alla fantascienza, cercano un percorso oltre le distopie cyberpunk, che sono già una realtà oggi, per esplorare scenari più umanamente sostenibili.
“Siamo solarpunk perché le uniche altre opzioni sono negazione o disperazione” scriveva Adam Flynn nel 2014, in Appunti per un manifesto solarpunk su Hieroglyph. Dopo quasi dieci anni dalla pubblicazione di quello che fu uno dei primi pezzi teorici sul solarpunk, e dopo tre anni di Solarpunk Italia, possiamo andare oltre questa affermazione, che in fondo denota una mancanza di alternative comunque disperante, e aggiungervi un pezzo: “Siamo solarpunk perché scegliamo la strada della pace, della collaborazione, della solidarietà, della gioia. Siamo solarpunk perché è divertente. Siamo solarpunk perché vogliamo essere già ora quel futuro da lasciare a chi verrà.»
Il solarpunk è un movimento culturale, artistico e attivista, nato nel primo decennio del Nuovo Millennio. La definizione risale al 2008: elaborata sul blog The Republic of the Bees, raccoglie sollecitazioni già esistenti in Tumblr, che riguardavano attivismo, moda, pratiche di riuso e riciclo, arti figurative. La letteratura è arrivata dopo, nella seconda decade del XXI secolo; ed è partita proprio da dichiarazioni teoriche, come quella citata: prima delle storie, è nata l’esigenza di raccontarle. C’era anche l’urgenza di trovare una via d’uscita dalla distopia, sempre più cupa e reazionaria, delineando una strada che, dalle città piovose del cyberpunk, conducesse a una campagna ritrovata, tra paesi, fattorie art nouveau e coltivazioni locali dove la tecnologia fosse usata al servizio della natura, mai per sfruttarla intensivamente.
Questo scenario è uno dei tanti possibili, il solarpunk non si riduce alla visione beata di un futuro “solar” da cartolina (magari con grattacieli che attaccano fioriere sopra la solita struttura di acciaio e cemento). Il solarpunk è anche “punk”: ribellione all’esistente, rigetto della normalità alienante del sistema neoliberista, ricerca di strategie per superarlo, il tutto sorretto da un sentimento di speranza battagliera e ostinata.
Scrivendo solarpunk, prendiamo posizione contro la struttura di dominio che eravamo quasi arrivati a non vedere più, e che ora vogliamo fortemente denunciare: ci hanno detto che “la storia era finita”, ma era una storia di oppresse e oppressori, di terre da colonizzare e corpi da sfruttare, di legami da spezzare per estrarre capitale a beneficio di pochissimi… bè, con il solarpunk noi rispondiamo che la storia è ancora tutta da scrivere.
E la scriviamo.
In Italia, il solarpunk è arrivato lentamente. Nel 2010, il collettivo Commando Jugendstil lo ha inaugurato con contenuti online e iniziative sul territorio; Guglielmo Miccolupi e Laura CZ Domingues, principali animatori del gruppo, hanno poi proseguito le loro attività di ricerca e arte fuori dall’Italia, a Reading (UK), scrivendo in lingua inglese. Dobbiamo arrivare al 2018 per leggere “I Camminatori” di Francesco Verso, romanzo dichiaratamente solarpunk che l’autore si pubblica in due volumi nella collana editoriale da lui curata, Future Fiction di Mincione editore. Nel febbraio 2020 esce in digitale il primo racconto solarpunk italiano: “La compagnia perfetta”, di Romina Braggion, Delos Digital editore. Poco dopo, Future Fiction, divenuta etichetta autonoma, pubblica la prima antologia di racconti solarpunk internazionali tradotti in italiano: “Solarpunk: come ho imparato ad amare il futuro”. Nel frattempo, autori e autrici italiane realizzano con la cura di Franco Ricciardiello “Assalto al sole”, Delos Digital, che esce sempre nel 2020 ed è la prima antologia solarpunk italiana. È seguita da Atlantis, collana di racconti a cadenza mensile (sempre curata da Franco Ricciardiello e sempre Delos Digital); da altre traduzioni di Future Fiction; e, nel gennaio 2021, dalla nascita del portale Solarpunk Italia, che ha come scopo la divulgazione e la ricerca del solarpunk in tutte le sue forme.
Pubblichiamo recensioni e articoli letterari, insieme a notizie scientifiche, percorsi di studio su argomenti correlati (ecologia, filosofia, high-tech e low-tech, pedagogia, politica, etc.) e contributi di studiose e studiosi che si avvicinano al solarpunk e vogliono includerlo nel loro percorso di ricerca. La nostra finalità più elevata, che ci illumina il cammino, è quella di una rifioritura dell’immaginario: è un lavoro tremendamente concreto, perché è solo immaginando qualcosa che lo si può poi realizzare.
Il solarpunk, quindi, immagina mondi migliori e come arrivarci. Scriviamo ciò che vogliamo che sia, cerchiamo speranza, la spargiamo tra le righe, e rendiamo felice chi legge, perché intendiamo restituire fiducia e potere: sconfessiamo le ideologie che si propongono insistentemente come “unica realtà possibile”, ricordando che ci sono altre e più belle realtà. Cose che stanno già accadendo, che sono già avvenute, cose che l’umanità è capace di fare e che fa abitualmente, spesso negli interstizi e nelle periferie dell’Impero, mentre l’Impero guarda altrove. Queste cose vanno fatte! E possiamo farle! Che aspettiamo?
Il mondo solarpunk è utopico, cioè migliore del mondo di oggi, ma non perfetto né immobile: è comunque denso di tante sfide e diversi ordini di problemi. Narra di soggettività che affrontano nuovi dilemmi, in contesti che non sono più quelli capitalisti occidentali; oppure, che combattono proprio quei contesti, con strategie, rivolte, piani, pratiche e comportamenti.
Le storie solarpunk hanno luogo in città vegetali fatte di case-albero, in comunità rurali in cui le culture native fioriscono e si prendono cura del mondo, oppure in condomini periferici, per strada o su pianeti sconosciuti; spesso ai bordi di un qualcosa che non riconoscono più come loro centro. Mettono in scena assemblee, consigli collettivi, dinamiche in cui il gruppo protegge l’individuo, conflitti risolti senza l’utilizzo della violenza. Seguono le storie di donne cicliste, famiglie allargate, salamandre, conigli, militari smarriti, attiviste adolescenti, gatti domestici. E intendono coinvolgere con rivolte, sberleffi al potere, vite sotto talloni di ferro, gioie in trasgressioni segrete, amori travagliati, contrasti tra il singolo e la sua società, incidenti e tifoni e viaggi e improvvise fughe temporali.
Mentre racconta, il solarpunk studia: quali strategie per la rivoluzione? Quali vie di uscita dal capitalismo, e di sopravvivenza collettiva e felice? Quale salvezza politica, ecologica, sociale, spirituale? Come esistere e coesistere col resto del mondo, e con gli altri esseri che lo abitano?
Il solarpunk si contrappone dunque al consumismo, al saccheggio, alla distruzione, alla monocoltura. È lotta all’eteronormatività, all’oppressione delle minoranze, all’esproprio di terre e culture native, allo sfruttamento dei corpi delle donne e dei viventi, alla tecnocrazia e alla religione del “progresso”, alle disparità sociali e a chi vorrebbe mantenerle. Decostruisce la convinzione alienante che non ci sia nulla da fare, sbeffeggia l’estetica (autocompiaciuta e da privilegiati) dell’estinzione e della maledizione. Demistifica l’ipocrita greenwashing con cui oggi molte aziende e stati cercano di mascherarsi per continuare a delinquere contro l’ecosistema e la vita.
Il solarpunk lavora anche sulle forme: ad esempio sull’evoluzione del personaggio, che non segue necessariamente il vecchio arco del “viaggio dell’eroe” maschile; o sullo stile, con rappresentazioni e linguaggi inclusivi; o sul conflitto narrativo, che non è solo quello muscolare tra protagonisti-eroi. Ci sono moltissimi modi per descrivere, sviluppare e risolvere un conflitto narrativo. Senza dimenticare che il conflitto arriva quando chiudiamo il libro.
Il conflitto è fuori, qui e ora.
Il conflitto è tra quello che ci raccontano per farci stare buone mentre ci sfruttano. Il conflitto è l’ideologia TINA che ci è stata innestata in testa grazie a milioni di dollari, centinaia di esecutori laureati e decenni di lavoro voluto e finanziato da una élite privilegiata.
Il conflitto lo riportiamo in vita, dunque, qui e ora: infrangiamo l’ideologia dell’inevitabile.
Perché in fondo siamo scrittrici e scrittori di fantascienza, e lavoriamo proprio per questo: per vedere oltre qualsiasi specchio, per demistificare il potere, per dire a gran voce che è il “reale” la creazione immaginaria più ingannevole e sofisticata che ci sia.
Giulia Abbate – 05/04/2023
Il pezzo Manifest Solarpunk, tradotto in catalano, è qui: Manifest Solarpunk.
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