Il solapunk è la fantascienza del XXI secolo?
di Romina Braggion e Franco Ricciardiello
Articolo originariamente apparso su Robot n, 91, 2020
Il solarpunk non è solo un sottogenere della letteratura di fantascienza. È un movimento estetico e intellettuale che si coniuga in varie arti. Risponde alla netta richiesta di speranza nel futuro, e rappresenta una reazione delle nuove generazioni alla distopia; si concretizza in un immaginario futuribile non acriticamente positivo, ma per lo meno migliore del presente, sostenibile, democratico; in una parola, solare.
Se esistesse una mappa cartesiana della science-fiction, il movimento solarpunk si troverebbe probabilmente all’estremo opposto della distopia, alla cui grande fortuna abbiamo assistito negli ultimi anni: nata da una costola nobile della science fiction — l’anti-utopia di Orwell, Zamjatin, Huxley — si è trasformata in un genere a sé, con la propria estetica e il proprio pubblico. Da speculazione e monito contro le distorsioni della civiltà, la distopia si è istituzionalizzata in un genere autoreferenziale e decadente. Così, quanto quest’ultima si nutre dei frutti di un’estetica cupa, un ambiente umano e sociale deteriorato, una serie di premesse pessimistiche (ma in fondo consolatorie, perché è possibile che le Storie sopravvivano anche dopo la fine del nostro mondo), tanto il solarpunk proclama un inguaribile ottimismo non solo dell’ambientazione, ma anche nel meccanismo narrativo che la racconta, la fiction.
La parola solarpunk è apparsa per la prima volta dodici anni fa sul blog Republic of the Bees[1], come derivazione semantica da steampunk:
[…] la principale differenza tra solarpunk e steampunk è il fatto che le idee solarpunk e le tecnologie solarpunk non devono necessariamente rimanere nell’immaginario, e io indulgo nella speranza di vivere un giorno in un mondo solarpunk. Un’altra somiglianza tra i generi è un cinico senso della politica da film noir. Trovo molto improbabile che una transizione verso le energie rinnovabili possa essere realizzata senza serie lotte politiche tra i buoni cittadini del mondo e le forze corrotte che tentano di anteporre il proprio guadagno personale. Gli attuali sforzi politici per sovvenzionare la produzione di etanolo come alternativa ai combustibili fossili sono solo un esempio della corruzione che dovrà essere superata.
Republic of the Bees blog
Già in questa sua prima apparizione, il solarpunk si configurava come un’alternativa all’attuale modello di sviluppo, la globalizzazione che è lo stadio corrente del capitalismo. La caratteristica rimane attuale, anzi è rafforzata da dieci anni di consapevolezza del disastro climatico che si avvicina.
Il cambiamento climatico è violenza su scala globale, contro i luoghi e le specie, nonché contro esseri umani. Una volta che lo chiamiamo con il suo nome, possiamo iniziare una vera discussione sulle nostre priorità e valori. Perché la rivolta contro la brutalità inizia con una rivolta contro il linguaggio che mantiene nascosta quella brutalità.
Rebecca Solnit[2]
Questa visione ottimista, di profondo impatto ideologico, si è da subito trasformata in un’estetica caratteristica, propagandata soprattutto attraverso le arti visuali: un’edilizia che imita le forme della natura[3], un’iconografia che partendo dalla simbiosi tra organico e inorganico, come il cyberpunk, non prevede però la cosificazione dell’umano, l’intrusione hi-tech nei confini del corpo, il cyborg, bensì la fine della guerra eterna tra naturale e artificiale, la rimozione del confine tra vegetale e minerale, il riciclo e il riutilizzo, la disponibilità di energia virtualmente inesauribile, a buon mercato e a impatto ambientale nullo: un nuovo stadio della civiltà, finalmente democratico e sostenibile: in sostanza, la fine dell’antropocene[4].
Fino dal suo nome è evidente il riferimento a fonti di energia alternative. Ambientalismo, decrescita, sostenibilità, forme di organizzazione sociale basate sulla condivisione e sulla scala locale più che statale, nanotecnologie come nuovo modo di intendere e usare il progresso scientifico, sono alcuni dei temi che potenzialmente fanno del solarpunk la nuova utopia del ventunesimo secolo.
Come si legge nell’infografica, il nucleo centrale del concetto di solarpunk dirama i suoi tentacoli in molte direzioni, declinando l’immaginario in azioni quotidiane e pratiche. Così lo vediamo già comparire nel lifestyle rispettoso dell’ambiente e il meno impattante possibile, nella progettazione dell’arredo urbano volto anche alla regolazione di clima, temperatura, salubrità e mobilità, nell’edilizia integrata con l’ambiente, nella progettazione di nuove tecnologie e materiali ecocompatibili, nella ricerca di energie sostenibili per l’ambiente e per l’economia. L’infografica ha però tralasciato le citate arti visuali, che hanno trovato vivace terreno di coltura nel web, e soprattutto la letteratura.
Cosa sta succedendo nella letteratura?
Il 17 settembre, durante la prima diretta Facebook di Stranimondi 2020, coordinata da Giorgio Raffaelli, Matteo Meschiari e Alessandro Vietti partendo dal pamphlet “Antropocene fantastico”[5] hanno tentato di immaginare quali direzioni può prendere una narrativa che affronti il tema del periodo storico contemporaneo, che di recente Donna Haraway ha definito con un’etimologia più suggestiva, “Capitalocene”[6]. Durante la diretta è stato lanciato un appello affinché gli autori prendano in carico l’urgenza di una narrativa propositiva per un mondo post crisi; appello imprescindibile per chiunque abbia coscienza del futuro che ci aspetta, e contemporaneamente creda nel potere dell’arte di plasmare la società.
Questa fiducia non è certo una novità nella fantascienza; la social science fiction è un precursore, e avvicinandoci a noi nel tempo, per restare nelle radici ecologiche del solarpunk abbiamo Octavia Butler, madre dell’afrofuturismo, con Lauren Olamina, protagonista del breve ciclo di Earthseed, composto da due soli romanzi,[7] che come il resto della sua produzione tiene insieme i moniti della distopia con le necessità speculative dell’utopia, creando una “Mixtopia”[8] e tracciando con un anticipo di quasi trent’anni la strada per il solarpunk a venire.
Vale la pena di ricordare come le avanguardie di questa urgenza di pensare il domani in positivo già si trovino nelle “eroine che non si limitano a voler sopravvivere, ma costruiscono per le comunità e per il futuro”[9].
Se la narrazione sociale ha la funzione epistemica di innescare processi di elaborazione, interpretazione, comprensione, analisi, ricordo di esperienze e fatti, il passo successivo, per la narrativa di intrattenimento, è la concreta proposta di cambiamento della speculative fiction. Le scrittrici dagli anni ’70 del secolo scorso hanno scandagliato con efficacia vari generi ma è tra utopia e distopia che le eroine hanno potuto sottolineare l’immaginario e i cliché del femminile, criticandone la costruzione socio-culturale e sviluppando, di conseguenza, mondi dove le donne hanno una propria soggettività e indipendenza.
L’opera fiduciosa e salvifica di queste eroine si è tradotta spesso nell’interpretazione di vie di fuga da un mondo oppresso e di percorsi di guarigione dedicati alle future generazioni. Ricordiamo quindi, e a puro titolo d’esempio: Più vasto degli imperi e più lento[10], di Ursula K. Le Guin, e Le parole proibite di Margaret A.[11], di L. Timmel Duchamp. Spesso sono chiamate in causa necessità intersezionali, approdando così a narrazioni anticapitaliste, sovversive, decolonialiste e inclusive per l’”altro”, inteso anche come non-umano, sfociando così in proposte in nuce solarpunk.
Dagli anni Novanta di Octavia Butler a oggi cos’è successo nel mondo?
Gran parte degli scenari distopici sono diventati realtà e l’invito alla speculazione si è trasformato in una chiamata alle armi, come sottolineato da Vietti e Meschiari.
Uno studio di Barnosky e collaboratori[12], pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature nel 2012 e il lavoro successivo di Ceballos (2015/17)[13] evidenziano come la sesta estinzione di massa sulla Terra sia attualmente in corso.
Se anche questa distopia è fuori dall’uscio, occorre rimboccarsi le maniche e prospettare immaginari auspicabili e necessari.
Semi per il futuro
Il vocabolo solarpunk reca in sé due semi: solar e punk. Come genere letterario, ha la dignità e la potenza germinativa per speculare su tutte le sollecitazioni ecologiche e sociali di oggi, del futuro prossimo e di quello remoto, scrollandosi di dosso il velo sleale che già stanno tessendo i detrattori. Quindi se solar è una cura per Gaia, intesa come l’ha ipotizzata James Lovelock[14], punk si impegna per una rivoluzione dal basso, leva d’Archimede per scardinare le contrapposizioni che ci stanno gettando nell’abisso: ricchezza-povertà, uomo-donna, umano-altro, colonialismo-migrazioni, estrattivismo-conservazione, ecc.
Le speculazioni solarpunk possono definirsi tecniche di backcasting[15] poiché mostrano fratture dell’odierno status quo narrando futuri auspicabili. In proposito possiamo citare Critter, figurazioni, futuri. Tra mito, arte e (fanta)scienza di Roberta Colavecchio[16]:
«Europa, 2050. Il vecchio continente, rinominato Eneuropa, presenta una riorganizzazione dei propri stati sulla base delle fonti di energia rinnovabile di ognuno… La nuova Europa è un posto più sicuro, felice e politicamente stabile»
Questo capoverso non è estrapolato da un racconto solarpunk bensì è un progetto di ricerca sostenuto nel 2010 da European Climate Foundation in collaborazione con numerose istituzioni internazionali: Roadmap 2050, a practical guide to a prosperous low-carbon Europe[17].
Sottesa a tale raccolta di dati tecnici vi è la narrazione di un immaginario futuro dell’Europa che rompe con l’attuale sistemazione economica e geopolitica del vecchio continente. Ponte tra la finzione e l’adozione di massa di un nuovo mondo a esso coerente, la mappa dell’Eneuropa suggerisce l’utilizzo di codici (fanta)scientifici per figurare pratiche volte alla costruzione di nuovi scenari del mondo, altri e non apocalittici.
Dopo pochi paragrafi Colavecchio prosegue trattando il genere solarpunk: “In un contesto sociale e culturale insidiato dai mostri dell’Antropocene (Capitalocene) e attraversato da un rapido progresso tecnologico e digitale, l’organizzazione di una risposta costruttiva, che guardi al futuro con ottimismo, sembra assumere un’importanza prioritaria per coloro che aderiscono al recente movimento creativo noto come Solarpunk.”
Se narrativa e saggistica si stanno già addentrando nel solarpunk, come indicano vari proclami e “manifesti”, anche di autori italiani[18], cosa sta succedendo nel mondo a livello di pratiche quotidiane?
Buone pratiche
Olga Solombrino si occupa in Femminismi futuri[19] di decolonialismo e pari opportunità (intese tra ricchi-poveri, colonialisti-colonizzati) nel territorio palestinese. Mostra il lavoro di Vivien Sansour, la Regina dei Semi[20], nella cittadina di Beit Jala, nel cuore dei territori palestinesi occupati, devastati terreni un tempo paradiso della biodiversità. L’antropologa e artista palestinese ha realizzato il Palestine Heirloom Seed Library, “un archivio creato per contrastare la sottrazione della ricca varietà tradizionale di colture e sementi, per preservare le antiche varietà e modalità di coltivazione, per raccontare storie che attestino la proprietà dei semi e con esse l’impronta della storia, per esplorare una nuova forma di sopravvivenza nel futuro”.
Peraltro l’archiviazione e la preservazione di antiche varietà vegetali è una necessità comune nel mondo dell’agricoltura sia a livello locale che statale e tiene impegnate varie istituzioni italiane con azioni di ricerca (intesa come azione di ritrovamento di vecchie cultivar), classificazione, archiviazione e messa a dimora. Vedere come esempio il quaderno Ispra: Frutti dimenticati e biodiversità recuperata[21].
Piantare alberi, come fece Wangari Maathi (premio Nobel per la pace 2004), lanciare bombe di semi, è una pratica profondamente sovversiva, intimamente democratica, e la si può applicare sia nella cura quotidiana nei confronti del nostro pianeta e di tutte le specie viventi che lo abitano, sia in una speculazione intellettuale che possa indicarci vie per traghettare l’olobioma oltre i danni già inferti e quelli che ancora potrebbe soffrire. Il solarpunk è la mano che sparge semi nella coscienza dei lettori.
Perché ancora non abbiamo un grande autore solarpunk?
I movimenti letterari –punk del passato hanno conosciuto un exploit grazie al successo di un’opera che si è imposta nel gusto dei lettori, seguita per imitazione (un principio tutt’altro che negativo) fino a condurre alla nascita di un sottogenere: Neuromante è la scintilla del cyberpunk, La macchina della realtà ha innescato lo steampunk. E allora quali, quanti, chi sono gli autori, le autrici e le opere solarpunk? Qui cominciano le dolenti note, perché a essere sinceri di solarpunk si parla molto ma se ne scrive poco.
Se ne parla soprattutto grazie a un’estetica accattivante che presenta immagini di palazzi ricoperti di vegetazione lussureggiante, città punteggiate dal verde, mezzi di trasporto avveniristici costruiti con tecnologie sostenibili, paesaggi lontanissimi dagli inumani agglomerati urbani che deturpano l’immaginario cyberpunk. Di solarpunk invece se ne scrive poco; ci sono, certo, New York 2140[22] e Pacific Edge[23] di Kim Stanley Robinson, e c’è anche Walkaway[24] di Cory Doctorow (gli ultimi due non tradotti in Italia), ma nessuno dei due autori si può identificare completamente nel genere; ci sono alcune antologie collettive, come i due libri curati dalla scrittrice americana Sarena Ulibarri[25], o le antologie di feminist bike science fiction di Elly Blue[26] e qualche altro volume, soprattutto la prima raccolta in assoluto che porta la parola nel titolo, la brasiliana Solarpunk, Histórias ecológicas e fantásticas em um mundo sustentável (2012). In Italia c’è la saga dei Camminatori di Francesco Verso[27], che è anche editore di un’antologia con autori da tutto il mondo[28], e che per primo ha cominciato a parlare della più attuale versione della climate fiction.
Il solarpunk è un modo per immaginare un futuro migliore, basato su tecnologie sostenibili e stili di vita cooperativi (piuttosto che competitivi). È punk perché la narrativa tradizionale ci vede diretti verso il disastro, la distopia; i solarpunk si rifiutano di accettare che sia l’unico futuro possibile.
Sarena Ulibarri[29]
Ci troviamo a un punto di svolta. La distopia segna il passo, è ormai un sottogenere dello young adult; i lettori hanno fatto indigestione di visioni negative, che sono uscite dalle pagine della speculative fiction per finire nei giornali, nei notiziari, nelle coscienze dei più consapevoli tra gli abitanti di questo pianeta. Questo è il momento nel quale la letteratura deve fare la sua parte, cioè ipotizzare scenari, indicare vie, creare il futuro prima che questo si materializzi. Non sarebbe la prima volta che gli scrittori inventano un mondo che poi la scienza realizza.
E se il solarpunk ha la facoltà di avvicinarci anche solo di un giorno a quell’utopia luminosa che è capace di descrivere, allora dobbiamo essere pronti a fare di tutto perché diventi la fantascienza dei prossimi anni.
Note
[1] From Steampunk to Solarpunk, 27 maggio 2008
[2] The Guardian, aprile 2014 : «Climate change is global-scale violence, against places and species as well as against human beings. Once we call it by name, we can start having a real conversation about our priorities and values. Because the revolt against brutality begins with a revolt against the language that hides that brutality.»
[3] Vedere per esempio i visionari progetti di rinnovamento urbano dell’architetto belga Vincent Callebaut, attualizzazione dei movimenti che a cavallo tra Ottocento e Novecento immaginavano le fantastiche città che il progresso industriale prometteva per il futuro prossimo.
[4] Sono per primi gli scienziati sovietici a utilizzare negli anni Sessanta il termine antropocene per indicare la più recente epoca del Quaternario; oggi si intende generalmente la limitata epoca geologica caratterizzata dall’impatto della civiltà umana sul pianeta — un’era geologica in senso molto lato, considerato che partirebbe dalla fine della seconda guerra mondiale.
[5] Matteo Meschiari, “Antropocene fantastico. Scrivere un altro mondo”, ed. Armillaria, settembre 2020
[6] Donna Haraway, “Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto” (Staying with the trouble – making kin in the Chthulucene, 2016), collana Not, Nero edizioni 2019
[7] Octavia Butler, “La parabola del seminatore” (Parable of the Sower”, 1993), Fanucci 2000, e “La parabola dei talenti” (Parable of the Talents, 1998), Fanucci 2001
[8] “Mixtopia” è un termine coniato da Giuliana Misserville in “Chiamiamola Mixtopia”, Leggendaria n. 143, agosto-settembre 2020.
[9] Giulia Abbate, “Trionfano nuove eroine, guaritrici della specie”, Leggendaria n. 143, agosto-settembre 2020.
[10] Ursula Le Guin, Vaster Than Empires and More Slow (1971), ultima pubblicazione in Ritrovato e perduto (The found and the lost. The collected novellas of Ursula K. Le Guin, 2016) Mondadori 2018
[11] L. Timmel Duchamp, The forbidden words of Margaret A. (1980), in Le Visionarie. Fantascienza, fantasy e femminismo: un’antologia, (Sisters of the Revolution, 2015, a cura di Ann & Jeff Vandermeer), a cura di Claudia Durastanti e Veronica Raimo, Nero Edition 2018
[12] Barnosky A.D., Hadly E.A., Bascompte J., Berlow E.L., Brown J.H., Fortelius M., Getz W.M., Harte J., Hastings A., Marquet P.A., Martinez N.D., Mooers A., Roopnarine P., Vermeij G., Williams J.W., Gillespie R., Kitzes J., Marshall C., Matzke N., Mindell D.P., Revilla E., Smith B.A., Approaching a state shift in Earth’s biosphere, Nature 486 (7402):51-57.
[13] Ceballos G., Ehrlichb P.R., and Dirzo R., Biological annihilation via the ongoing sixth mass extinction signaled by vertebrate population losses and declines, 2017, Proc Natl Acad Sci USA 114 (30): E6089–E6096; Ceballos G, Ehrlich AH, Ehrlich PR, The Annihilation of Nature: Human Extinction of Birds and Mammals, Johns Hopkins Univ Press, Baltimore 2015
[14] James Lovelock, The vanishing face of Gaia (2009), nel quale il termine Gaia è il nome del pianeta terra vivente; Varie storie di fantascienza si basano su questa teoria; per esempio, li manga Nausicaä nella Valle del Vento (風の谷のナウシカ, 1982/1994) di Miyazaki Hayao, la cui protagonista è un’autentica eroina empatica e guaritrice.
[15] Metodo di pianificazione che inizia con la definizione di un futuro desiderabile e poi lavora a ritroso per identificare politiche e programmi che collegheranno quel futuro specificato al presente.
[16] In Femminismi Futuri, a cura di Lidia Curti, con Marina Vitale e Antonia Ferrante per Iacobelli Editore, 2019. Colavecchio è ricercatrice, specialista di media e produttrice culturale indipendente. Ha completato un dottorato di ricerca in Studi Culturali e Postcoloniali all’università “L’Orientale” di Napoli.
[17] Roadmap 2050 Una guida pratica per un’Europa prospera e a basse emissioni di carbonio.
[18] Sito Zest, letteratura sostenibile
[19] Ibid. Solombrino ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca in Studi Culturali e Postcoloniali all’università “L’Orientale” di Napoli, dove attualmente è membro del Centro Studi Postcoloniali e della Technoculture Research Unit. http://www.technoculture.it/about/
[21] Scaricabile gratuitamente
[22] Kim Stanley Robinson, New York 2140 (New York 2140, 2017), traduzione di Annarita Guarnieri, Fanucci 2017
[23] Kim Stanley Robinson, Pacific Edge, Orb 1995
[24] Cory Doctorow, Walkaway, Tor Books 2017
[25] AA.VV. Glass and Gardens. Solarpunk Summers, a cura di Sarena Ulibarri, World Weaver Press, 2018
AA.VV. Glass and Gardens. Solarpunk Winters, a cura di Sarena Ulibarri, World Weaver Press, 2020
[26] Dragon Bike: fantastical stories of bicycling, feminism & dragons; Bikes not Rockets: intersectional feminist bicycle science fiction stories; Bikes in Space: feminist bicycle science fiction e infine (per ora) Biketopia: feminist bicycle science fiction stories in extreme futures, tutti per Microcosm publ. di Porltand, Oregon.
[27] I Pulldogs (2018) e No/Mad/Land (2019), ed. Future Fiction
[28] AA.VV., Solarpunk. Come ho imparato a amare il futuro, ed. Future Fiction 2019
[29] Intervista a Sarena Ulibarri, in Mamut. Genealogía de la ciencia-ficción y lo fantástico en las artes, n. 6: Eco-Logos, 2018
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