Categories:

Ursula K. Le Guin, L’occhio dell’airone (The eye of the heron, 1978), Thema 1995, 232 pagg, ISBN 8871590465

doppia recensione di Giulia Abbate e Antonio Ippolito

Raramente citato nella produzione di Le Guin, presentato nello “strillo” di copertina dell’antologia Le donne del millennio come “antefatto ai Reietti”, in realtà non ne è l’antefatto in senso strettamente narrativo (si tratta di un pianeta e di personaggi diversi), né nello sviluppo della scrittrice (è stato scritto dopo il suo capolavoro); piuttosto presenta una diversa opzione per i libertari: quella di tentare a tutti costi l’integrazione e il coinvolgimento della società autoritaria, anziché fuggire come nei Reietti.

Qualcuno potrebbe rimproverare a Le Guin di essere un po’ didattica nell’esporre la sua ideologia anarchica, a scapito di mistero e sense of wonder; ma personaggi come Luz, il consigliere Falco suo padre, e anche Lev, ovvero lo Shevek della situazione, sono ben delineati e a chiaroscuro. Non manca mai una precisa definizione ambientale ed ecologica, in particolare dei boschi, tipica dei suoi racconti, caratterizzati da una serena luminosità e da un’armonia di fondo tra natura, uomo e società a cui tendere. Narrativamente, questo romanzo breve può sembrare un romanzo incompiuto, o l’assemblaggio di spezzoni di un futuro romanzo: non sapremo abbastanza della nuova colonia, dell’evoluzione della vita nella città, dello stesso consigliere Falco… ma il vero tema sono le scelte di sua figlia Luz Marina, che volta le spalle a una vita di privilegio, e fa in un certo senso un percorso inverso a quello di Shevek: volta le spalle al suo gruppo sociale, quello dei privilegiati, per aggregarsi ai diseredati; ma mantenendo la propria diversità anche tra loro, affrontando strada facendo anche una sorta di vedovanza.

Lo specifico femminile di Luz è anche sapersi emancipare da un padre che pure in parte ammira, rinunciando anche dal ruolo di consigliera privilegiata, senza peli sulla lingua, che spesso anche i patriarchi più tirannici concedono alle figlie predilette. Belle le descrizioni ambientali, le note psicologiche, il simbolismo del “cosè”, animaletto cambiaforma che troviamo all’inizio tra le mani di Lev e alla fine tra le mani di Andre, ma in gabbia morirebbe in poche ore: simbolo dell’utopia, sempre vicina ma inafferrabile?

Antonio Ippolito

Le Guin mette a confronto due società, come nella migliore tradizione utopista: su Victoria, pianeta periferico e abbandonato dalla “madrepatria”, sono stati scaricati gli indesiderati, che però si dividono in due gruppi ben distinti. Ci sono i veri e propri galeotti, che non tardano a fondare una colonia di stampo patriarcale e commerciale, dal sapore praticamente realistico, la Città; e c’è una comunità di dissidenti, riunita nella vicina comunità rurale di Shanti, che basa la propria vita e la propria organizzazione sulla nonviolenza gandhiana, quella che lo stesso Mahatma chiamava Ahimsa. Le Guin dimostra di conoscerla bene e di averne capito profondamente i principi, dando vita a una storia sorprendente che alla semplicità dell’intreccio e del conflitto sovrappone la potenza eversiva della nonviolenza pratica.

Il breve romanzo prende le mosse da un conflitto fra le due comunità: alcuni abitanti di Shanti, con il giovane Lev alla guida, vogliono fondare un’altra comune nell’entroterra; ma i padroni della Città intendono impedirlo, e impossessarsi di terre e foreste usando quelli di Shanti come manodopera… soprattutto i padroni vogliono avere il controllo dei contadini e non tollerano la possibilità di una loro iniziativa personale. Ecco quindi che si delinea una guerra, combattuta ad armi impari: la Città prepara squadracce e ricorre alla violenza diretta, Shanti mette in atto la propria forza interiore per rispondere in modo gandhiano.

Se questo conflitto vi sembra impossibile, e siete certə che finirà con il trionfo sanguinoso della Città, significa che non conoscete l’Ahimsa e che dovreste recuperare L’occhio dell’airone ma anche gli scritti di Gandhi, di Aldo Capitini, di Marco Pannella, di Marshall Rosenberg e di Etty Hillesum: tutto il potere sta nello spirito, e Ursula K. Le Guin trasforma un potenziale romanzino a tesi in una storia forte della forza dei suoi personaggi. C’è anche una storia d’amore: un amore che libera la giovane Luz Marina non tanto e non solo dalla schiavitù paterna ma dalla mentalità nella quale è cresciuta, che le negava ogni potere: la ragazza di quel potere si fa responsabile e “coltivatrice diretta”.

Come si è capito, considero questo breve romanzo una perla. Oggi – in questo tempo nel quale non abbiamo mai avuto tante possibilità di libertà, eppure siamo annichiliti e più sprovveduti verso il potere di un qualsiasi contadino medievale – è importante che recuperiamo la sapienza nonviolenta,e soprattutto la consapevolezza che noi possiamo coltivare il potere del nostro spirito e infonderlo nelle lotte politiche di cui la vita su questo pianeta ha bisogno.

Giulia Abbate
da La bottega del Barbieri

Ursula Le Guin negli anni Settanta, al tempo della scrittura di “L’occhio dell’airone”
sun-solarpunk
Guarda le altre proposte di letture a tema
Condividi il post

Comments are closed