Come annunciato nel post-intervista di presentazione di Marco Casalino, torniamo sulla questione pedagogica, con un contributo proprio di Marco, che ha fatto una ricerca mirata relativa al solarpunk e alle questioni educative contenute in alcuni racconti da lui letti nelle nostre antologie “Assalto al sole” e “Ancora il mondo cambierà”.
L’educazione e la pedagogia non sono temi molto battuti, nella fantascienza in generale. Ma la stessa cosa si può dire nella letteratura tutta, in relazione alla soggettività della persona neonata, infante e poi bambina: ce n’è davvero poca, e molte sono le distorsioni nel rappresentarle.
Ci auguriamo di sollevare questo interrogativo nelle menti di chi scrive e di chi legge, e di iniziare un percorso di approfondimento in merito, con l’aiuto preziosissimo di Marco Casalino, che ce lo ha espressamente sollecitato, e di chi vorrà contribuire.
Buona lettura.

Giulia Abbate


L’apprendimento nella letteratura solarpunk italiana
di Marco Casalino

Essendo la letteratura solarpunk in Italia ancora molto giovane, la questione del rapporto tra essere umano e natura è preponderante, e altre tematiche, quali quella educativa, rimangono ancora sottotraccia.

In generale, l’autore di romanzi e racconti del genere Solarpunk ha come priorità la salvezza dell’ambiente e il racconto delle diverse forme di relazione sociale e di comunicazione umana. Non si guarda ancora alla questione educativa come fondamentale e come uno dei pilastri delle società umane.

Se agli occhi di Silvia Treves questo ritardo è dovuto al fatto che l’ambito pedagogico, dell’apprendimento, della conoscenza è difficile da immaginare e quindi da scrivere, per Giulia Abbate la tematica dell’educazione è, in generale, considerata poco importante nella società e la fantascienza ha mancato, salvo rari casi, di trattarla con la dovuta attenzione.

Tuttavia, se non in modo approfondito come altre tematiche, il tema è presente in sottofondo in alcuni dei racconti italiani solarpunk. Qualche avvisaglia, infatti, la possiamo trovare già nelle due antologie “Assalto al sole” e “Ancora il mondo cambierà”, ¸edite entrambe da Delos Digital.

Immaginare un mondo futuro in cui l’ambiente terrestre si riprende e la comunità umana lo rispetta non può non essere accompagnato da una riflessione sull’aspetto educativo, partendo dai primi anni di vita fino all’età adulta. Come possiamo immaginarci l’utilizzo della tecnologia, degli ambienti, il rapporto con una natura in via di ripresa, la sopravvivenza del genere umano se non ci poniamo il problema educativo?

Secondo Romina Braggion è complicato dare una risposta alla domanda. Vi possono essere varie motivazioni e lei ne mette in luce in particolare due. Innanzitutto, se è vero quanto abbiamo visto prima, ovvero che l’autore di fantascienza dovrebbe scrivere di ciò che conosce, la questione pedagogica andrebbe affrontata nella stessa misura. Se un autore non è interessato ad essa non dovrebbe scriverne.
In secondo luogo, Braggion vede che nella società attuale vi è una deresponsabilizzazione generale e una mancanza di esempi. Le generazioni adulte invitano quelle più giovani a cambiare la società e ad attivizzarsi, ma gli stessi adulti sono apatici e passivi. L’autrice si domanda, quindi, perché i giovani dovrebbero sentirsi in dovere di impegnarsi; manca d’altronde una corrispondenza tra parola e azione. La domanda a questo punto diviene la seguente: i ragazzi da chi dovrebbero essere formati?

A scuola per costruire la comunità

Nella letteratura italiana Solarpunk, la scuola futura ha la funzione di costruire una comunità sociale cooperativa in opposizione a quella competitiva dei nostri giorni. Al suo interno, lo sviluppo dell’essere umano in quanto individuo va di pari passo con quello di una società basata sul mutuo aiuto, sull’ecologismo…

Quindi ne “La prima legge”, Davide Del Popolo Riolo immagina una scuola che aiuti i ragazzi e le ragazze nella loro crescita, e la costruisce in contrapposizione a quella che era nella realtà l’istituzione scolastica degli anni Settanta-Ottanta. Pur non essendo, come da lui affermato nel nostro incontro, un esperto di pedagogia, è interessante poter leggere che, secondo la concezione dei protagonisti del suo racconto, la scuola “Avrebbe sviluppato i suoi talenti e gli avrebbe insegnato a usarli non per sé ma per la comunità. È a questo che serve la scuola, dopotutto” . Se la scuola della sua gioventù promuoveva l’individualismo, nel racconto la scuola ha il compito di subordinare l’interesse individuale a quello della collettività.

Nel racconto “Solstizio”, anche Franco Ricciardiello collega il luogo fisico dell’apprendimento alla comunità: “È una scelta precisa, – spiegò mamma, – c’è stata una discussione che ha coinvolto tutta la comunità. Abbiamo stabilito che trasmettere conoscenza non è solo passare informazioni attraverso la rete. È essenziale trovarsi in mezzo agli altri, tirare fuori quello che si ha dentro. Non è solo ricevere. Da tempo immemorabile sappiamo che il cervello lavora meglio con stimoli fisici diretti a tutti i sensi, non solo all’udito e alla vista. E poi non trascuriamo il fatto che la conoscenza personale favorisce il concetto di comunità, e in ultimo non vogliamo che si perda il contatto con la dimensione fisica della città” .

Scuola come sviluppo dell’individuo

Come visto in precedenza, alla base della pedagogia libertaria, oltre allo sviluppo del senso di comunità, viene prestata attenzione anche all’individuo e alle sue potenzialità.

Anche nella letteratura Solarpunk sembra esserci questa peculiarità, come a voler proteggere il ruolo che ognuno ha all’interno di un’organizzazione più grande, votata inizialmente alla sopravvivenza del genere umano e che rischia di degenerare, come già Ursula K. Le Guin, in “I reietti dell’altro pianeta”, ha immaginato.

Per Davide Del Popolo Riolo quindi a scuola “Non c’è una vera autorità, gli insegnanti esercitano appena una sorveglianza discreta, e più sono bravi e meno si vedono, così si dice. Gli allievi si raggruppano secondo le loro inclinazioni e sviluppano liberamente i loro talenti, in modo autonomo, in modo da accrescere la propria autostima, il senso di responsabilità e l’indipendenza personale.”
“Donnola Gentile, conosci benissimo i principi su cui è fondato il nostro sistema educativo: massima libertà” .

Desta interesse la domanda di Riolo durante il nostro incontro: “Che si fa quando un individuo non è interessato al sistema ed esce dal gruppo?”, domanda che si pose già Ursula K. Le Guin in “I reietti dell’altro pianeta”, nonostante stesse descrivendo una società anarchica. Nel romanzo, l’autrice approfondisce e fa una descrizione molto dettagliata di quale sistema educativo potrebbe essere portato avanti in comunità libertarie. Tuttavia, ci mette in guardia dalle degenerazioni di ogni modello di comportamento che non venga mai messo continuamente in discussione. Se quindi alla base dell’apprendimento e della scuola di Anarres vi è l’obiettivo di creare una comunità, coltivando la solidarietà tra bambini e bambine a discapito dell’egoismo, attenzione va fatta a che ciò non ostacoli e non soffochi l’espressione del singolo individuo creando quindi un’oppressione della maggioranza: “Questo genere di cosa è in realtà direttamente contrario a ciò che cerchiamo di ottenere in un gruppo di ‘Parlare e Ascoltare’. La parola è una funzione con andata e ritorno. Shevek non è ancora pronto a capirlo, invece gli altri di voi lo sono già, e così la sua presenza è un elemento di disgregazione per il gruppo. Lo capisci anche tu, vero, Shevek? Ti consiglio di trovare un altro gruppo che lavori al tuo livello”.

La pedagogia libertaria, sin dagli esordi all’inizio dell’Ottocento, ha portato avanti l’idea di una formazione teorica che fosse accompagnata da una pratica, e quindi in scuole come la Escuela Moderna di Francisco Ferrer nel ‘900 vi si sarebbe trovato un insegnamento tanto teorico quando laboratoriale, così da poter dare ai figli e alle figlie degli operai strumenti di lettura del loro presente.
In “Solar Storm”, Lukha B. Kremo, immagina che mente e corpo debbano essere entrambi allenati e che ciò rientri all’interno di una disciplina olistica che porta al Kadosh. Si studiano “Letteratura, Matematiche, Quantofisica, Arti, Ecoambiente e molte altre. La meditazione e gli esercizi fisici sono soltanto la porta di accesso al Kadosh, un’idea filosofica, religiosa, sociale, perfino politica, che pervade Neathin e le altre città europee; una visione neoplatonica e orientale della vita che arriva a malleare la Costituzione e le Leggi stesse” . Qualora uno studente non fosse portato allo studio teorico vi sono “anche tante discipline fisiche, come il massaggio, l’aliante […] il parkour” .

Tuttavia, anche in una società ecologica, comunitaria, non tutto ciò che luccica è oro e bisogna prestare attenzione che i laboratori pratici non siano fini a sé stessi e che abbiano un collegamento forte con la realtà. Il pericolo è che accada come al protagonista del racconto di Kremo, George, che “aveva frequentato i corsi di sopravvivenza – ma – esaurito l’entusiasmo della novità, gli era salita una strana sensazione d’insoddisfazione. Gli era sembrata una sorta di gita al parco, con tende prefabbricate e kit preconfenzionati per accendere il fuoco, a raccogliere frutta e bacche e riconoscere sempre gli stessi uccelli e roditori. Vedere grandiosi paesaggi naturali, la Foresta Nera, fiumi e cascate, tutto meraviglioso, ma molto contemplativo. Le lezioni sui predatori feroci rimanevano letture accademiche di situazioni che non si sarebbero mai verificate” .

Rapporto telelezioni e presenza

Nel lontano 1951 un grande scrittore quale Asimov anticipò di 70 anni quello che sarebbe iniziato prima della pandemia Covid-19 ma che durante questa sarebbe divenuta la normalità: le lezioni a distanza e non in classe.

Nel racconto “Chissà come si divertivano” del 1951, Asimov immaginò che l’apprendimento del 2157 sarebbe avvenuto nelle proprie abitazioni e attraverso robot, in contrasto a quello dei ragazzi del passato che “ridevano e vociavano nel cortile, sedevano insieme in classe, tornavano a casa insieme alla fine della giornata. Imparavano le stesse cose, così potevano darsi una mano a fare i compiti e parlare di quello che avevano da studiare. E i maestri erano persone…”

Nella letteratura italiana Solarpunk questa contrapposizione persiste e la ritroviamo nel racconto di Ricciardiello, “Solstizio”: “Lo avevano iscritto alla stessa scuola di Amaranta, che prevedeva una presenza giornaliera in classe. Lui non c’era abituato: a Torino la didattica era a distanza, e ci si recava a scuola solo una volta la settimana.”

L’immaginario dell’autore deriva da esperienze vicine a lui e alle sue riflessioni. “Solstizio” nasce nei primi mesi del lockdown in Italia e quindi si nutre delle emozioni, dei fatti di quel periodo. Non dovrebbe quindi stupire di trovare nel suo racconto un collegamento alla ormai divenuta famosa Didattica A Distanza. Per l’autore, nonostante si possa vedere la potenzialità della rete nel fare conoscere persone diverse e creare gruppi, è solo al di fuori di essa che avviene il vero incontro e una corretta comunicazione.

Anche in “Solar Storm” di Lukha B. Kremo sono previste ore di studio a “distanza”, seppur accompagnate da momenti pratici da svolgersi in luoghi fisici. Leggeremo quindi che George, il protagonista del racconto, si lamenterà di stare “chiuso in stanza tutto il pomeriggio a sentire gente che parla di Matematica, Psicoeconomia, tecniche Kadosh […]”, dal momento che “le telelezioni da casa sono riservate alla teoria. Quelle per cui è necessario incontrarsi di persona si fanno a scuola, serve fare comunità… “

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