Riccardo Muzi
E voi, come vivrete?
Com’è intrigante quell’attrazione per le storie che suscitano interrogativi ma non si permettono di fornire risposte. Quell’atto arrogante di stabilire come stanno effettivamente le cose non dovrebbe appartenere a nessuna forma d’arte, tanto meno al cinema. Raccontare, denunciare, suggerire, affabulare questo sì, e poi lasciare l’elaborazione allo spettatore.
La domanda iniziale “e voi, come vivrete?” è il titolo originale de “Il ragazzo e l’airone” di Miyazaki e, nel film, l’interrogativo rimane insoluto. Anzi, se ne susseguono molti, e tutti diversi fra loro, lasciando che la fascinazione del mistero si insinui nella trama e, di conseguenza, nello spettatore. D’altronde siamo fatti anche di mistero e magia. Rifiutare queste categorie, come chiavi interpretative della realtà, ci ha sempre creato dei grandi problemi per comprendere il mondo e noi stessi, con inevitabili ripercussioni sulla conduzione delle nostre vite.
Miyazaki, probabilmente più sensibile al tempo che fugge, si interroga in modo ancor più profondo sull’esistenza umana. Come spesso accade nei suoi film, lo storytelling è affidato ad un giovane: un adolescente che dopo aver perso la madre, è costretto inevitabilmente a imboccare il passaggio verso l’età adulta, in una desolazione di punti di riferimento.
Ma siamo all’interno di una grande metafora costellata da simbologie: le scoperte e il conseguente upgrade cognitivo di Mahito Maki, il protagonista del film, parlano sotto mentite spoglie della presa di coscienza di noi stessi. Quell’atto che tutti dovremmo fare, ma che in pochi praticano, complicando le proprie esistenze e quelle altrui.
Primo passo: nel corso delle nostre vite, dovremmo aguzzare la vista per identificare chi o cosa può esserci d’aiuto per intraprendere il viaggio alla scoperta della nostra vera natura. La figura guida, in questo tipo di percorso è essenziale, ma riconoscerla non è facile: a Mahito, ad esempio, capita un airone cenerino, un animale affascinante ma dalla seconda identità: il volatile ha un alter ego apparentemente molto respingente con cui, ad un certo punto, Mahito dovrà misurarsi per costringerlo a non lasciare la funzione di guida: razionalità e caos, in un continuo alternarsi, anche questo è uno stilema del cinema del maestro giapponese.
Altro presupposto essenziale: per scoprire la natura del nostro io è necessario accettare la completa immersione nella Natura, quella che comprende umani e non umani. Mahito, come molti altri personaggi degli universi inventanti da Miyazaki, comunica con gli animali e rende omaggio alle varie forme della vegetazione. La sintonia con gli altri viventi lo accompagnerà nel viaggio permettendogli di discernere ciò che all’inizio gli apparirà come inspiegabile.
Come tutti i viaggi, anche quello di Mahito è fatto di tappe e, nel suo caso, soprattutto di attraversamenti da una dimensione all’altra, verso una maggiore consapevolezza del proprio animo e dei mondi circostanti. Con “Il ragazzo e l’airone” si superano varchi che aprono su dimensioni oniriche, dove gli archetipi sono la bussola dell’esplorazione: la torre, lo zio demiurgo, la madre bambina, il predatore. L’infinito ecosistema del nostro intimo ha bisogno di emergere e di essere esplorato tra vivide allucinazioni e strabilianti sorprese.
Così, i fatti del quotidiano si colorano di significati intimi, magici. Miyazaki sembra voglia sussurrarci all’orecchio che gli avvenimenti, privati o condivisi, non sono solo cronaca da tramandare, ma elementi di strutture invisibili del nostro animo, surreali personaggi di didascaliche fiabe personali. La domanda, da cui eravamo partiti “e voi, come vivrete?” sottintende “dopo quello che vi è successo” e, per fornire una risposta attendibile, occorre capire cosa davvero si è vissuto. “Il ragazzo e l’airone” non rilascia indicazioni: non sappiamo cosa ha immagazzinato e metabolizzato Mahito alla fine del viaggio. Intuiamo solo che quel viaggio, strabiliante da spettatori e straniante da attori, “s’ha da fare”.
Riccardo Muzi
Crediti
Titolo originale: 君たちはどう生きるか (Kimi-tachi wa dō ikiru ka); paese di produzione: Giappone; anno: 2023; durata: 124 minuti; regia, soggetto e sceneggiatura: Miyazaki Hayao; produttore: Suzuki Toshio; casa di produzione: Studio Ghibli, Toho, Studio Ponoc; Musiche: Joe Hisaishi
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