AA.VV., Multispecies cities: solarpunk urbanfutures. A cura di Christoph Rupprecht, Deborah Cleland, Norie Tamura, Rajat Chaudhuri, Sarena Ulibarri, 332 pagg., 15,95 USD, World Weaver Press 2021
Franco Ricciardiello
World Weaver Press, il piccolo editore statunitense più impegnato sul fronte solarpunk, che in passato ci ha regalato raccolte come Solarpunk Summers e l’edizione in lingua inglese di Storie di ecologia fantastica in un mondo sostenibile, torna con una raccolta di ventiquattro racconti su un tema intelligente: le città multispecie, sottotitolo futuri urbani solarpunk.
Nella chiamata alle armi per invitare gli scrittori a collaborare, si leggeva:
“Per ottenere un futuro migliore, dobbiamo prima immaginarlo. Ma in questo momento cruciale per il nostro pianeta, è importante immaginare un futuro che includa le molte altre specie con cui condividiamo il nostro mondo. Le città tendono ad essere antropocentriche, progettate per il comfort e la comodità degli umani, spesso con scarso riguardo per le piante, gli animali e gli insetti. Anche la fantascienza tende all’antropocentrismo, interessata sia ai grandi successi che ai fallimenti dell’umanità. Per questa antologia, vogliamo vedere storie che indagano il rapporto dell’umanità con il resto del mondo naturale. Cerchiamo storie che riconoscano gli esseri umani come parte di un ecosistema più ampio, personaggi che si sforzano di trovare l’equilibrio (piuttosto che il dominio) sulle creature che li circondano, ambientazioni che rappresentino un equilibrio ottimistico tra natura e tecnologia.”
L’appello si chiudeva con un esplicito invito a scegliere l’ambientazione nella regione Asia-Pacifico, o almeno a includere qualche legame tematico con quella parte del mondo.
Va detto subito che gli autori hanno solo parzialmente centrato il tema: i racconti sono molto belli e decisamente solarpunk, ma non molti indagano effettivamente la natura della città, come se risultasse ostico immaginare l’evoluzione dell’ambiente urbano. C’è il futuro, c’è il solarpunk e la questione energetica, ci sono animali e la flora, ma non molte città.
Al di là di questo, è una raccolta da leggere (nella speranza che qualche editore voglia tradurla in italiano) non solo perché bella, ma anche per comprendere cosa rappresenta la nuova fantascienza solarpunk.
“Listen: a memoir” (ascolta: un ricordo, che sembra citare Speak, Memory, l’autobiografia di Vladimir Nabokov) dell’indiana Priya Charukkai Chabria è una fantasia che racconta in un mondo futuro in cui è inconcepibile una gerarchia tra specie viventi, con l’umanità al posto più alto.
“By the light of the stars” (alla luce delle stelle) della canadese N.R.M Roshak, ambientato alle Hawaii, racconta di una strana forma di negazionismo scientifico che rasenta il solipsismo.
“Old man’s sea”(il mare del vecchio uomo, titolo che gioca forse con The old man and the sea di Hemingway) dell’americana Meyari McFarland, presenta un gruppo di giovani che vivono sul mare in un futuro in cui il livello delle acque è molto cresciuto; i ragazzi riescono a sfuggire ai militari che danno loro la caccia grazie all’aiuto di un’orca in grado di comunicare con gli umani, utilizzata in precedenza a fini bellici e dotata di protesi cibernetiche.
Molto interessante è “Deer, Tiger and Witch” (cervo, tigre e strega) di Kate V. Bui, statunitense d’origine vietnamita, che racconta un Vietnam futuro devastato dall’inquinamento globale, e di una ministra dell’Ambiente che gira da un villaggio all’altro per insegnare tecniche di depurazione dei terreni e fertilizzazione del suolo; giunta in un villaggio remoto dove la identificano con la “strega gialla”, a causa del suo vestito tradizionale, dovrà riuscire a conciliare l’esigenza alimentare della gente con la caccia indiscriminata ai cervi di montagna; sarà aiutata da una ragazzina più intelligente della media.
“Vladivostok” della statunitense Avital Balwit è la storia di due ragazzi che dagli USA si recano nell’estremo oriente russo per filmare le tigri che so tornate a vivere in città dalla Corea: il loro intento è trasferirle in 3D nel gioco di realtà virtuale Metropolis, ampiamente diffuso in tutto il mondo. Il racconto, giocato sulla dicotomia reale/virtuale, offre passaggi veramente suggestivi e anche commoventi.
“The exuberant vitality of hatchling habitats” (l’esuberante vitalità degli habitat dischiusi) della scrittrice D.A. Xialolin Spires è la storia di due studentesse che presentano a una mostra d’arte un lavoro di scultura che suscita l’interesse di un individuo originale: il risultato sarà un metodo innovativo di rivitalizzare le colonie oceaniche di corallo.
“Untamed” (indomita) di Timothy Yam è ambientato a Singapore, paese dell’autore; una giovane teppista viene condannata, a causa di un piccolo furto a un lavoro sociale: accudire il grande orto verde sul tetto di un condominio, sotto la tutela-sorveglianza di un vecchio giardiniere cinese. Il lavoro manuale e una nuova responsabilità influiscono pesantemente sul suo atteggiamento verso la vita.
“It is the year 2115” (è l’anno 2115) di Joyche Chng, scrittrice da Singapore “ma cittadina globale”, è la storia di un black out sull’isola di Temasek, che provoca il ritirasi della cupola che protegge la città dall’ambiente esterno, in un’epoca posteriore all’Apocalisse climatico.
“A rabbit egg for Flora” (un uovo di coniglio per Flora) di Caroline M. Yoachim è un breve schizzo con una bambina che si augura di trovare in giardino, tra le “uova” periodicamente distribuite da droni, un uovo di coniglio: si tratta di un programma di ripopolamento animale tramite naniti che “costruiscono” animali sviluppandosi dall’interno di un contenitore.
“Iron fox in the marble city” (volpe di ferro nella città di marmo) del rumeno Vlad-Andrei Cucu, ambientato a Tokyo, racconta il ritorno a casa di un soldato cyborg che dopo aver combattuto in Madagascar deve cercare di “riciclarsi” e ambientarsi nella vita di una città profondamente trasformata in direzione della sostenibilità e della convivenza pacifica.
“Mariposa awakening” (il risveglio di Mariposa) del filippino Joseph F. Nacino presenta un’originale soluzione per impedire che l’innalzamento del livello dei mari inondi la metropoli di Manila: una barriera di mangrovie sulle cui radici cresce un fungo semi-intelligente.
Il breve “A life with Cibi” (una vita con i Cibi) della giapponese Tanaka Natsumi tocca un argomento un po’ scabroso: la distribuzione erga omnes di cibo gratuito avviene tramite i Cibi, esseri viventi creati con l’ingegneria genetica che se ne vanno in giro per le città, e che sono fonti ambulanti di alimentazione. Chiunque può ritagliarne una porzione del corpo, che ricresce automaticamente, anzi il Cibus muore se non viene regolarmente “mutilato”.
“Children of asphalt” (bambini di asfalto) della statunitense Phoebe Wagner racconta del particolare rapporto tra una città del futuro e gli animali che vivono nei paraggi, e talvolta vi si intrufolano. Invece della parola animals l’autrice usa kin, “parentele”, forse inteso nel senso che gli ha dato Donna Haraway.
“Down the river” (lungo il fiume) di Eliza Victoria è ambientato in una zona di sostenibilità ambientale lungo il fiume Kaliwanagan, nelle Filippine, paese d’origine dell’autrice.
“Becoming Martians” (diventare marziani) del giapponese Fujii Taiyo è il lungo messaggio con cui un anziano trasferitosi sul pianeta rosso comunica al figlio che la terraformazione è fallita, e che ha deciso di sottoporsi a una serie di interventi genetici per riuscire a vivere senza respiratori nell’atmosfera rarefatta.
“Abso” della statunitense Sarah E. Stevens ha per protagonista un cane-robot che vive su Marte, in una cupola insieme a un uomo che non ama mischiarsi con i suoi simili; malgrado la sua origine artificiale, sarà in grado di sollecitare con il suo comportamento la nostalgia di una donna per gli animali.
C’è un cane anche in “In two minds”(in due menti) dell’inglese Joel R. Hunt, ambientato in Giappone, dove un uomo con particolari facoltà, in grado di connettersi telepaticamente alla mente degli animali, viene utilizzato dalla polizia per distinguere se un cane omicida ha agito di istinto proprio oppure se è stato “teleguidato” da un terzo soggetto con medesimi poteri paranormali.
L’indiana Rimi B. Chatterjee con “Arfabad” scrive il racconto dallo stile più suggestivo: in un futuro in cui la maggior parte dei maschi della specie umana si sono estinti per un errore di programmazione genetica, i pochi sopravvissuti hanno instaurato un feroce totalitarismo; il racconto sembra una specie di introduzione all’universo dell’Antisenso, nel quale l’autrice ha intenzione di ambientare una esalogia della quale ha già scritto il primo volume.
In “The Mammoth steps” (passi giganteschi) dell’americano Andrew Dana Hudson è in corso una de-estinzione dei mammuth; il protagonista è un giovane che viaggia insieme a un mammuth semi-intelligente dall’Asia nord-orientale fino alla Thailandia, dove trova una colonia di elefanti che hanno deciso di rinegoziare la collaborazione con gli esseri umani.
Amin Chehelnabi, nato in Australia da una famiglia iraniana, è autore di “Wandjina”, in cui con il peggiorarsi della crisi climatica gli animali sono stati banditi dalle città australiane, per destinare le risorse solo agli esseri umani; i protagonisti si impegnano clandestinamente per salvare animali selvatici dall’inclemenza del clima desertico.
“The streams are paved with fish traps”(I torrenti sono disseminati di reti per pesci) della neozelandese Octavia Cade presenta una singolare città nel cui sistema di distribuzione delle acque prolifera una ricca popolazione ittica, dai pesci alle anguille: se ne rendono conto i protagonisti, che sono i manutentori del sistema.
“Crew”(equipaggio) del tedesco E.-H. Niessler racconta di una missione sottomarina della quale fa parte, oltre a esseri umani, un polpo gigante in grado di comunicare con un limitato vocabolario.
“The songs that Humanity lost reluctantly to dolphins” (le canzoni che l’umanità riluttante ha ceduto ai delfini) dell’autrice fantasy indiana Shweta Taneja è una bella storia in cui i neonati e i bambini molto piccoli sono attratti inesorabilmente dal mare, al punto di annegare, perché sentono nella mente le canzoni cantate dai delfini: l’unico modo per gli animali di impedire all’umanità di distruggere il mondo è distruggere l’umanità.
Infine “The birdsong fossil”(il fossile del canto degli uccelli) dell’australiana D.K. Mok, già presente in una precedente antologia di World Weaver Press, Solarpunk Summers, è il racconto più lungo della raccolta: protagonisti solo alcuni giovani scienziati che si preoccupano di salvaguardare le ultime specie animali dall’estinzione, e che si vedono tagliare i fondi dal governo; scoppia una terribile guerra, al termine della quale, in un paese tecnologicamente in ginocchio, gli scienziati continuano la loro opera a favore delle specie non umane.
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