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Riccardo Muzi

“La Terra ha 4,5 miliardi di anni. La sua storia è scritta nelle rocce. Dal 2009, un gruppo di scienziati sta cercando di determinare, se l’Olocene, l’epoca geologica in cui siamo dal 12 mila anni, sia terminata. 10 anni di ricerche hanno evidenziato che abbiamo lasciato l’Olocene, per entrare nell’epoca dell’Antropocene. Perché il pianeta terra e i suoi sistemi sono ora influenzati più dagli umani che dall’insieme di tutti gli altri processi naturali.”

Per dimostrare questa tesi, la coppia di registi (moglie e marito) Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier e il fotografo Edward Burtynsky, sono partiti per un viaggio intorno al mondo, durato quattro anni, alla ricerca delle immagini giuste, quelle che non hanno bisogno di alcun commento didascalico.

Immortalare le ferite inferte alla Natura e al Pianeta per non dimenticarle più; per tentare di imprimerle per sempre nella nostra memoria visiva e sedimentarle nella nostra coscienza: è il nobile progetto del documentario canadese. I capitoli di quest’opera cinematografica hanno titoli inquietanti: estrazione, terraformazione, tecnofossili, antroturbazione, limiti, cambiamento climatico, estinzione. Si parte dalla riserva di Ol Pejeta, in Kenia, in cui il bracconaggio sta annientando l’esistenza dei rinoceronti e degli elefanti. Migliaia di zanne, sottratte alla criminalità vengono date alle fiamme come rituale per scongiurare il ripetersi dello scempio in atto nei confronti della fauna africana. Si passa alla città del nichel: Norilsk in Siberia, uno dei posti più inquinati al mondo in cui l’industria dell’estrazione mineraria scandisce la vita di tutti i giorni. Si tocca anche l’Italia. Nelle cave di marmo di Carrara, macchinari sempre più potenti e avanzati strappano la dura e preziosa pelle bianca della nostra Terra. Si va in Germania, precisamente a Immerath, dove la miniera di lignite soppianta le costruzioni della stessa cittadina. E, il racconto dello sfruttamento intensivo delle risorse terrestri prosegue in Russia, con le miniere di potassio negli Urali; in Cile, nel deserto di Atacama, in cui si espandono i giacimenti di litio, l’elemento indispensabile per le batterie di computer e cellulari. Chiude il colpo la sconvolgente discarica a cielo aperto a Dandora vicino Nairobi in Kenya: montagne di rifiuti scalate da uomini e sorvolate da uccelli.

“Antropocene – L’epoca umana” è un documentario dall’indubbio impatto visivo che pone, però, dei problemi di natura divulgativa e solleva dei dubbi sull’effettivo contributo alla crescita di una sensibilità ambientale. Girato magistralmente e con rari interventi della voce narrante, ampio spazio è lasciato intenzionalmente alla suggestione delle immagini mozzafiato. Ma la rappresentazione patinata di una ferita forse non può raccontare pienamente il dolore che ne deriva e, probabilmente, attira l’attenzione solo sull’effetto facendoci perdere il contatto con la causa. O, forse, dovremmo essere noi spettatori a fare la differenza: di fronte a certe immagini, ne siamo semplicemente affascinati o ci danno una scossa per una profonda riflessione sul reale rischio che stiamo correndo?

Crediti: Titolo originale: Anthropocene: The Human Epoch; paese di produzione: Canada; anno: 2018; durata: 87 minuti; regia: Jennifer Baichwal, Nicolas de Pencier, Edward Burtynsky.

Disponibile su RaiPlay

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