Maja Lunde, La storia dell’acqua (Blå, 2017), traduzione di Giovanna Paterniti, Marsilio 2018, Universale Economica Feltrinelli 2020, pp. 350 € 11,00, ebook € 7,99
Non è facile definire confini netti per la climate fiction. È un sottogenere della fantascienza? Secondo la voce di Wikipedia Italia sì — per la pagina dell’edizione in lingua inglese invece “non è necessariamente di natura speculativa, le opere possono essere realistiche o ambientate nel futuro prossimo”.
A prima vista, si può pensare che la climate fiction sia un’evoluzione degli scenari post-apocalittici da sempre presenti nella fantascienza. Pur escludendo le ambientazioni post-atomiche (talvolta definite dopo-bomba), dobbiamo riconoscere che una certa sensibilità per i mutamenti climatici è da sempre sedimentata nella coscienza di molti autori e autrici.
Questa attenzione del pubblico è naturalmente aumentata negli ultimi anni, a mano a mano che si moltiplicano le evidenze dell’irreversibilità di un aumento della temperatura globale, effetto più evidente e devastante dell’impatto antropico sul pianeta.
È per questa ragione che c’è da stupirsi del ritardo della science fiction rispetto alla letteratura non di genere, dal momento che è fuori dal genere che si producono prove consapevoli e interessanti, anche a grande diffusione, con un certo ruolo nella sensibilizzazione del pubblico dei lettori.
Abbiamo già recensito Qualcosa, là fuori di Bruno Arpaia, autore non certo riconducibile a un genere specifico. Il suo romanzo su un’Europa meridionale devastata da una siccità prolungata e resa inabitabile dall’impossibilità dell’agricoltura, è uscito nel 2016. L’anno precedente, la scrittrice e sceneggiatrice norvegese Maja Lunde, già autrice di libri per ragazzi, aveva pubblicato La storia delle api (Bienes historie), romanzo di grande successo tradotto in oltre trenta lingue. Due anni più tardi, durante la scrittura di questo La storia dell’acqua (ma solo in italiano si cerca di richiamare nel titolo il precedente romanzo, perché altre lingue, per esempio il francese, Blue, optano per una traduzione aderente all’originale), Lunde decide di inserire i due romanzi in una quadrilogia di opere sul clima, sul rapporto del genere umano con la natura. Proseguirà nel 2019 con Przewalskis häst (Gli ultimi della steppa, apparso la Marsilio nel 2020), mentre il quarto volume è ancora in lavorazione.
Mi sono resa conto che non avevo neanche lontanamente finito di scrivere di uomo e natura, né avevo smesso di immaginare un futuro in cui le conseguenze del modo in cui trattiamo la nostra meravigliosa terra sono diventate sempre più gravi di quelle che vediamo oggi. E da questi pensieri, si è evoluta l’idea di scrivere quattro libri vagamente collegati, ognuno un romanzo a sé stante che enfatizza temi specifici legati al clima: insetti, acqua, animali, semi, ogni cosa che cresce sulla Terra.
Ogni romanzo ha trame parallele che si svolgono sia nel nostro tempo che da qualche parte nel nostro futuro non troppo lontano, oltre a guardare indietro al nostro passato. Tutti e quattro esplorano gli esseri umani nel rapporto con la natura, e le conseguenze delle scelte che facciamo, non solo per quanto riguarda l’ecologia e il clima, ma anche le persone. Perché è attraverso l’esplorazione delle nostre relazioni più strette – all’interno delle famiglie, tra amanti, tra genitori e figli – che si vedono meglio i riflessi del quadro più ampio.
Maja Lunde, 2017, dal suo sito ufficiale
La storia dell’acqua ha molti punti in comune con Qualcosa, là fuori: non solo l’ambientazione in un’Europa meridionale talmente colpita dai cambiamenti climatici che qualsiasi organizzazione sociale si è dissolta, ma anche la scelta di un racconto su trame parallele, in due tempi distinti, e un’ambientazione che si sposta tra sud e nord Europa, con movimenti di massa di popolazioni spinte a migrare dal disastro.
La prima delle due trame di La storia dell’acqua si svolge nel 2017, quando la protagonista Signe, a quasi settanta anni di età, fa ritorno con la sua barca a vela, battezzata Blå, alla cittadina dove è nata, sulla corsa della Norvegia meridionale. Un profondo fiordo, un fiume, il ghiacciaio Blåfonna caratterizzano questo paesaggio nel quale finora la trasformazione ambientale si è limitata alla superficie.
Signe è rimasta lontana dal suo Paese per decenni, in giro per il mondo, dopo essere stata coinvolta personalmente in una lacerante contrapposizione causata dallo sfruttamento commerciale delle risorse naturali del fiordo. Questa battaglia è passata anche attraverso la famiglia di Signe, con la madre, proprietaria di un grande albergo che rischia il declino, favorevole a una centrale idroelettrica, e il padre leader della protesta ecologica.
Anche la vita sentimentale di Signe è andata in pezzi, come strascico della contestazione ambientale: una storia d’amore giocata intorno ai simboli del ghiaccio e dell’acqua; e come definitivo sigillo di questa separazione uomo/donna, natura/umanità, consapevolezza ecologica/interesse economico, la donna ritorna “a casa” per un’azione di nuovo simbolica, ora che il ghiacciaio Blåfonna viene scavato per ricavare blocchi da vendere a ricchi arabi a prezzi elevati.
La seconda linea narrativa è ambientata in un futuro drammaticamente prossimo, il 2041, nella Francia meridionale. Il protagonista David, ex tecnico di un impianto di dissalazione dell’acqua marina, è fuggito dalla costa mediterranea, nei pressi del confine spagnolo, insieme alla figlia, la piccola Lou. La moglie e un altro figlio neonato sono andati dispersi nell’evacuazione all’ultimo minuto, perduti nel caos di un devastante incendio. Convinto di poterli ritrovare in un campo profughi presso Bordeaux, David chiede ospitalità insieme a migliaia di altri profughi che emigrano fino dalla Spagna verso nord, verso le zone rimaste a clima temperato.
La storia di Maja Lunde differisce sensibilmente dalle scelte tipiche degli scrittori di science fiction, specialmente anglosassoni, che vedono nella dissoluzione della civiltà (o meglio, dell’organizzazione capitalista della società) il pretesto di un’ambientazione in cui piccoli gruppi si contendono le poche risorse disponibili: un’anarchia (o meglio, quell’idea di anarchia che potrebbe avere un liberista) nella quale solo la forza è legge, ricca di risvolti narrativi ma, alla prova dei fatti, sociologicamente inconsistente.
Al di là di dissidi individuali, i profughi convivono nel campo francese senza particolari attriti, senza che qualche gruppo si imponga sugli altri, al contrario di quelle parodie di feudalesimo futuro che la fantascienza vede come unico futuro post-apocalittico. Maja Lunde sa che in situazioni di stress e pericolo esterno, i membri delle comunità umane tendono a estendere la solidarietà, non a ridurla, e che questa è una delle ragioni biologiche che hanno permesso l’evoluzione della società. La maggioranza dell’umanità preferisce la legge alla forza.
In questo senso, La storia dell’acqua non è un libro pessimista; in entrambe le trame, pur senza un impossibile lieto fine, c’è una conclusione narrativa nel segno dell’ottimismo, che salda anche dal punto di vista narrativo la storia del passato con quella del futuro.
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