Jens Liljestrand, La foresta brucia sotto i nostri passi, tr. Monica Corbetta, Mondadori, pp. 500 euro 22,00 stampa, euro 11,99 eBook
In tutte le letterature mondiali, anche quelle “minori”, che contano su un pubblico linguisticamente ridotto, si sta sviluppando un importante filone di fiction climatica nella cui evoluzione, sotto la spinta del deterioramento della situazione del pianeta, si individuano due caratteristiche:
- (1) il progressivo emanciparsi dagli stereotipi, dalle forme narrative e dalle pratiche editoriali di quel sottogenere della fantascienza che è il post-apocalittico, rimasto presente con alterna fortuna durante tutto il novecento, anche se oggi molti lettori lo confondono con il distopico;
- (2) l’affermarsi di questi romanzi come nuova frontiera della letteratura di impegno sociale, perché gli autori che ancora credono nella funzione civile della cultura non possono voltarsi da un’altra parte, stante l’attuale situazione del pianeta; nella crisi climatica globale ci giochiamo tutto: democrazia, diritti, uguaglianza.
Tenendo presenti queste considerazioni, è ancora più assordante il silenzio della letteratura italiana, che dopo Qualcosa, là fuori (2016) di Bruno Arpaia non è più stata in grado di esprimersi sull’argomento con un titolo a grande distribuzione — e questo romanzo è più vicino al post-apocalittico che alla fiction climatica. Non so darmi spiegazioni di questa carenza; non vale come scusa colonizzazione culturale americana, dal momento che negli USA si levano da tempo lucide voci critiche contro il danno irreparabile del capitalismo fossile.
Jens Lijestrand, autore di madrelingua svedese, ha venduto in venticinque paesi questo suo Även om allt tar slut (2021, il titolo originale andrebbe tradotto come “Anche se tutto finisce”), che è un ottimo esempio di quanto scritto più sopra: l’ambientazione è ai nostri giorni, appena al termine della pandemia di COVID-19, senza alcuna concessione al massimalismo narrativo della science fiction, e il conflitto tra personaggi mette in scena opinioni divergenti sul comportamento da tenere di fronte all’innalzamento della temperatura globale del pianeta.
Aggiungo che il tenore della storia è assolutamente drammatico, malgrado in parecchi punti traspaia un apprezzabilissimo humour nero, e che malgrado la soluzione positiva della vicenda “privata” di alcuni protagonisti, rimane irrisolto nel problema di fondo — e questo perché non esiste soluzione, siamo già andati troppo oltre: non nella possibilità di invertire il processo, accantonare i combustibili fossili etc, bensì nell’inerzia del capitalismo, che per sua natura andrà avanti a divorare il pianeta finché rimane economicamente redditizio.
La Svezia ha una superficie di 1,5 volte l’Italia, ma solo dieci milioni di abitanti; oltre metà del territorio è coperta da foreste. Liljestrand mette in scena il peggiore tra gli scenari “climate change” possibili nei nostri giorni: un incendio di proporzioni talmente vaste da risultare con soltanto incontrollabile, ma così catastrofico da spingere le popolazioni di intere aree a trasferirsi verso sud, in cerca di salvezza da morte certa. Il sistema statale svedese, tra i più ordinati al mondo, va in pezzi: le strade verso Stoccolma si riempiono di veicoli in coda, i trasporti su rotaia si bloccano, un rovinoso black out prova dell’energia elettrica la capitale e le zone circostanti, la gente scende in strada a protestare contro l’inerzia di chi non ha fatto nulla per impedire il disastro. La famiglia van der Esch si ritrova dispersa, a causa delle circostanze; la storia si intreccia con quella di Melissa, amante di Didrik e influencer sui social media; immigrata croata di seconda generazione (il vero nome è Milica), cresciuta in una famiglia in estrema povertà, pur consapevole del rischio climatico, rifiuta di cambiare il proprio stile di vita:
“Parlate di condivisione e solidarietà e altre cose belle come se… faccio una pausa, quasi stessi cercando le parole, invece so benissimo cosa devo dire, …come se intorno a noi non ci fosse in corso una guerra. Una guerra tra noi che cerchiamo di goderci il più possibile della vita e quelli che vogliono portarci via tutto ciò che abbiamo.”
(p. 248)
Melissa dà voce all’inerzia di chi preferisce consumare le ultime risorse prima dell’inevitabile disastro, piuttosto che cambiare immediatamente abitudini e livello di comfort. Liljestrand rende perfettamente la logica del punto di vista di Melissa, che non é negazionista bensì… rinunciataria? edonista? e in quanto tale, forse anche più pericoloso. Nel corso di un’intervista su social, la influencer esprime con sincerità il suo pensiero sugli attivisti climatici:
“L’unica ragione che li muove è l’odio. Perché noi sbagliamo a mangiare, sbagliamo a viaggiare, sbagliamo a pensare, sbagliamo ad amare, sbagliamo a sognare. Il movimento per il clima è diventato un culto della morte, generatore di una violenza che vuole farci tornare nelle caverne.”(p 253)
(p. 253)
Terzo protagonista del romanzo è l’adolescente André Hell; irresoluto, pigro, solitario, prende l’iniziativa soltanto quando Stoccolma esplode, gli attivisti climatici inscenano una protesta che in casi estremi diventa violenta devastazione, al grido di “Abituati, cazzo!” distruggono impianti petroliferi, automobili e altri simboli della civiltà dei consumi. André guida un piccolo gruppo di attivisti del clima in una scorreria nell’arcipelago di Stoccolma contro i proprietari d’imbarcazioni a motore inquinanti, fuggiti dalla capitale per sottrarsi alla contestazione — e al tempo stesso mette in scena una vendetta personale contro il padre, tipico rappresentante di quella mentalità insensibile alla sostenibilità che ha condotto il pianeta alla catastrofe.
La volontà dei protagonisti si infrange contro l’inerzia delle cose, qualsiasi loro azione non ottiene il risultato che si propone, perché il caso interviene sempre a frustrarle. L’unico personaggio/punto-di-vista che ottiene qualcosa è il quarto, Vilja, la figlia adolescente di Didrik. In un certo senso, rappresenta la “coscienza pulita” della nuova generazione che non ha potuto contribuire alla devastazione fossile, e che forse, forse, può ancora tentare qualcosa per invertire l’inevitabile.
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