Categories:

Sacha Rosel è l’autrice di “Pandora, Ricordanza”, numero 30 della collana di ebook solarpunk Atlantis

“Pandora, Ricordanza”. Il primo ministro Devius della provincia autonoma di Sibilla farà approvare una legge che pone limiti alla libertà di parola delle donne, per “sedare l’isteria femminista”. La giovane Pandora, disgustata da un futuro di sottomissione e accondiscendenza al desiderio maschile, fugge da una scuola che la indottrina e da una società che la controlla tramite l’onnipresenza di schermi televisivi e occhi-spia, fugge verso Città Libera. Ha appreso l’esistenza di questa comunità mistica di sole donne, che vivono in armonia, quasi in simbiosi con la foresta, dall’Occhio del Futuro, che da tempo le mostra visioni del passato e dell’avvenire. Nella Foresta delle Idee, la misteriosa Yi Lin è in grado di riportare alla vita con un soffio le antenate, coloro che costruirono nello stesso luogo una civiltà femminile di cui rimangono tombe e statue di dee, e sulle cui vestigia le fuoriuscite da Sibilla intendono costruire una comunità affrancata dall’oppressione che soffoca le donne. Ma Devius non può tollerare che si costruisca un’alternativa al suo potere.

Sacha Rosel

Sacha, non sei conosciuta ai lettori di Delos Digital; vuoi dirci qualcosa di te?

Ho una laurea in Lingue e Letterature Straniere Europee e una laurea magistrale in Lingue e Civiltà dell’Asia Orientale, e in entrambi casi mi sono concentrata su tematiche letterarie di ispirazione femminista. Scrivo sia in italiano che in inglese, prediligendo il fantastico, il fantasy, la fantascienza, la poesia ed esperimenti in bilico fra tutte queste cose. Ho partecipato a numerose antologie collettive di stampo horror, fantastico e noir, fra le quali Eros e Thanatos per Giallo Mondadori, e ho pubblicato una raccolta di poesie chiamata Carne e Colore, un romanzo horror di ispirazione cinese chiamato Fiori nell’ombra e un dark fantasy chiamato My heart is The Tempest, ispirato a La Tempesta di Shakespeare. Ho anche tradotto diversi romanzi dall’inglese all’italiano, fra i quali Il virus dell’odio di David Moody, uscito per Urania qualche anno fa, e la trilogia di Warcraft – La guerra degli antichi per Mondadori. Scrivo anche recensioni di libri, film e serie televisive per Thriller Magazine, Libro Guerriero e Leggere Donna. Ho anche un sito personale in inglese, lunadonna.net e ho da poco iniziato il mio Substack in inglese. Da quasi vent’anni infine seguo anche il Far East Film Festival per Thriller Magazine.

Anche se il tuo racconto non è stato scritto con un obiettivo solarpunk, ha almeno tre elementi in comune con le opere che pubblichiamo in questa collana: un punto di vista femminista e anti-autoritario, il tentativo di raccontare un’utopia, infine una visione non convenzionale della science fiction, che definirei con la formula: “beata la letteratura che non ha bisogno di eroi”. Sei d’accordo?

Senza dubbio. Quello che mi ha sempre attirato della fantascienza è il fatto di concedere innumerevoli possibilità espressive a chi scrive: puoi letteralmente creare degli interi universi, e lasciare libero sfogo al furore virale che ciascunə personaggə e ciascuna quest sprigiona in ogni pagina. Scrivere per me non è tanto scegliere di narrare una semplice storia, ma esplorare tutti i contorni di una ricerca che porta le persone a scontrarsi con la propria parte oscura mentre cercano di lottare contro l’ordine costituito per trovarsi un proprio spazio nei suoi interstizi e magari un giorno ripartire da zero, in un mondo dove il potere possa diventare una sorta di magia, un fuoco sacro portatore di uguaglianza e di rispetto delle differenze nell’uguaglianza. Eroi ed eroine veri e propri, così come uno scontro fra bene e male, non mi hanno mai attirato neanche come lettrice. Credo che però andando a scavare, ogni storia abbia alla base un alternarsi di forze,  se non un’opposizione vera e propria, perché c’è sempre una lotta in corso fra diversi modi di concepire la realtà per volerla cambiare, migliorare o piegare a proprio piacimento. Un romanzo ci pone sempre di fronte a visioni differenti del costruire la società, le persone che vi sostano, e il cosmo che vi danza attraverso. Il trucco sta nel modularle fra loro, e l’armonia che ne viene fuori è il romanzo che poi leggiamo.

So che “Pandora, Ricordanza” è ambientato in una narrazione più ampia, che prevede anche un romanzo…

In effetti sì: le avventure di Pandora e delle sue compagne di vita e di lotta fanno parte di una narrazione più ampia, un romanzo vero e proprio chiamato La foresta delle idee, uscito diversi anni fa e ormai fuori catalogo,che spero possa essere in futuro riscoperto da qualche casa editrice.  Si tratta di  un romanzo distopico e utopico insieme che combina elementi di fantascienza a riflessioni sulla meditazione taoista. Ambientato in un futuro apocalittico dominato da un dottore e un ministro senza scrupoli, fra esperimenti sulla materia organica e dittature televisive a cui si oppongono varie forme di resistenza fisica e spirituale, la storia alterna diversi piani temporali e di narrazione, in prima o in terza persona e in sei zone fisiche differenti: la ferrovia, territorio degli uomini ribelli scappati dagli esperimenti e dediti al cannibalismo e alla poesia; le fognature, nascondiglio di strane creature anfibie in grado di autorigenerarsi dopo essere fuggite dai laboratori di Gemini; la foresta, rifugio delle donne guerriere, alcune veggenti, altre in grado di mutare genere sessuale, tutte abili nelle arti marziali; gli studi televisivi, regno del dittatore supremo Devius che fa esibire i corpi conducendo sedute parlamentari che culminano in orge; il laboratorio degli esperimenti, gelido antro dove la materia viene piegata al volere bruto del pensiero unico; e infine la prigione, dove le donne vengono distrutte nella volontà e nel corpo. Crocevia fra le diverse zone è l’entità protagonista, Stan, diminutivo di Stanislav e di Anastasia insieme (il nome Stanislav è un omaggio a Stanislav Lem). È una creatura femminile che si finge maschile per poter vivere fra i ribelli. Oltre ad avere problemi polmonari e tossire in continuazione, è affetta da vuoti di memoria. Fuggita dal deserto e rintanatasi fra i ribelli per sopravvivere, ha un unico pensiero in testa: ritrovare la misteriosa Yi Lin per capire il senso della propria esistenza. All’ombra della sua ricerca, un’altrettanto misteriosa voce, che poi è quella di Pandora, le parla durante il sonno, emergendo direttamente dal pugnale che Stan porta sempre con sé. Sarà proprio questa voce potente e impossibile da evitare a riportare Stan verso la luce della comprensione e far coincidere il passato con il presente per poter rifondare un futuro libero da ogni tipo di dittatura. Le parti su Pandora sono il racconto che potete leggere per Delos Digital e nel romanzo si alternano alla voce di Stan, oltre che alle altre numerose voci narrate in terza persona.

Benché caratterizzato da scene spesso deliranti, incubi, e varie forme di violenza efferata, La foresta delle idee nella sua interezza è una riflessione molto positiva sul concetto taoista dell’unità originaria di tutte le cose e di tutti gli esseri viventi, in quanto forme mutevoli e flussi continui di energia. La sua carica utopica sta per me nel fatto di esplorare la possibilità di ridare alla parola una dimensione poetica in un universo dove essa è ormai svilita dalla dittatura e dalla volgarità. In particolare, il concetto di confine e insieme di trans-migrazione fra corpi e idee è uno dei punti cardine dell’opera, che si configura quale luogo di resistenza attiva allo svilimento della parola sostituita da una sua pratica costante in quanto contatto virale di deleuziana memoria. La foresta delle idee è anche una riflessione sul connubio dittatura-pornografia associata all’invasività tecnologica del ventunesimo secolo, dove il corpo urlato e la ripetizione a mio avviso pornografica di immagini, ma anche di litanie senza senso di parole svuotate di ogni significato, sono il credo assoluto dell’esistenza. L’intento è quello di riscoprire la ramificazione feconda delle parole e della connessione fra le varie entità dell’universo a fronte di una progressiva degradazione degli esseri, ridotti ad automi privi di coscienza.

Nella collana Atlantis abbiamo pubblicato racconti rigorosamente solarpunk, e altri che definirei “compagni di viaggio”, in particolare per quanto riguarda l’utopia. Ho letto in un’intervista che tu hai rilasciato a Thriller Magazine: “Penso che l’utopia sia il fine ultimo di ogni creazione artistica che voglia anche essere politica, e la distopia lo strumento, spesso doloroso, per arrivarci.” Vuoi spiegarci il tuo pensiero sull’utopia?

Al di là del genere o formato scelto per ogni progetto, la scrittura per me è sempre e comunque un modo per aprire le faglie della realtà e dipanare una possibile via di fuga dal potere e dalle sue forme di controllo, smascherarle dunque ma anche ribaltarne i meccanismi e costruire mondi dove non solo uno sguardo eccentrico sia possibile, ma si riesca anche a superare il confine stesso fra centro e margine, viaggiando direttamente lungo le venature di giada che soggiaciono alle cose. Parlando di fantascienza, se penso ai romanzi e racconti che per me rappresentano un chiarore abbagliante di sensi sempre nuovi e sempre diversi, con stimoli a modificare il reale o a metterne in dubbio le assolutistiche certezze – penso a libri diversissimi fra loro come The Female Man di Joanna Russ, The Silence of the Wiltering Skin di Tlotlo Tsamaase, Solaris di Stanislav Lem, The word for world is forest di Ursula Le Guin, On the origin of the species di Kim Bo-young, The story of your life di Ted Chang o The three body problem di Liu Cixin – riesco a intravedere l’utopia, l’indagare forme nuove di convivenza e di trasformazione. E anche in quei testi che apparentemente scavano nel cul de sac della distopia più nera fatta di paranoia e incomunicabilità fra esseri viventi, come Do androids dream of electric sheep? di Philip K. Dick,  secondo me si può scavare a fondo per ritrovare la vitalità che solo la parola e il raccontare storie riescono a darci. È questa per me l’essenza del fare letteratura e tessere l’arazzo della scrittura a tutti i livelli e oltre i confini di ogni genere: intonare il proprio canto alla trasformazione, o all’irriducibile mistero dell’esistere, direbbe Carlo Rovelli nel suo Buchi Bianchi (beh, lui lo dice usando altre parole, ma il concetto è il medesimo). L’idea stessa di poter cambiare il mondo scrivendo, o indagando il reale e il suo invisibile rovescio nelle pieghe della scrittura, è per me un’utopia. Se ragioniamo così, tutte le opere che producono uno scarto rispetto al reale, e fanno sussultare il linguaggio spingendolo verso universi ulteriori a cui non avevamo pensato, sono utopie: lo sono ad esempio (almeno per me) Night sky with exit wounds di Ocean Vuong e Other Minds di Peter Godfrey-Smith, rispettivamente una raccolta di poesie e un saggio scientifico divulgativo. In un mondo in cui la narrazione e il cantare storie sono costantemente minacciati dall’imperversare dello storytelling effimero e superficiale imposto dai social network, scrivere diventa di per sé un atto utopico, e dunque un atto politico.

Franco Ricciardiello
“Pandora, Ricordanza”, acquistalo qui a € 2,99
Condividi il post

Comments are closed