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Impasse narrativa e necessità di alternative per resistere

di ARIEL KROON da The Goose vol. 18 no. 1 article 2, traduzione dall’inglese di Silvia Treves
sun-solarpunk

1. Introduzione: il politico è personale[1]


Nell’era dell’Antropocene, l’azione politica contro il cambiamento climatico è stata ampiamente presentata come un insieme di scelte personali (che vanno sempre a scapito della comodità; la mia e quella di altri), ed è difficile sapere cosa, semmai, costituisca una linea di condotta giusta ed equa, o farà una differenza tangibile. La filosofa femminista Chris Cuomo sottolinea il fatto cruciale ma non noto che

Consumi domestici e trasporti personali rappresentano una fetta significativa ma minoritaria delle emissioni totali di gas serra In tutto il mondo… le riduzioni della sfera personale… sono insufficienti per un’adeguata mitigazione

(Cuomo p. 701)

Cuomo ricorda ai lettori che l’uso dei combustibili fossili è “intrecciato” alla vita quotidiana nelle società di tutto il mondo, ed effettuare il cambiamento potrà essere un processo difficile ed estenuante (702). Persino se i singoli consumatori sono già in possesso del denaro e del tempo necessari per cercare e acquistare sistematicamente prodotti locali, biologici e commercializzati in modo etico, installare sistemi di energia rinnovabile, guidare un veicolo elettrico, e tutto il resto, ciò non conterebbe per ridurre le emissioni in modo significativo. Eppure, come sottolinea Cuomo, le persone interessate sono state esortate dalla maggior parte delle organizzazioni ambientaliste a cambiare le loro abitudini personali in modo tale da alterare la sfera privata: cambiare le lampadine degli edifici, comprare veicoli elettrici, fare acquisti locali e consumare eticamente. Non si mette in discussione il fatto che il consumo avvenga a una velocità sbalorditiva e insostenibile: la narrativa della crescita rimane in gran parte indiscussa (Cuomo p. 700).

Allo stesso tempo, tuttavia, pressioni politiche collettive o manifestazioni contro le politiche dannose per l’ambiente non vengono incoraggiate attivamente dai gruppi ambientalisti come azioni di maggior impatto a disposizione dei singoli (Cuomo p. 700). Organizzazioni come Greenpeace, Extinction Rebellion e i Tiny House Warriors autorizzano i membri delle proprie comunità a combattere le forze del cambiamento climatico e del capitalismo neoliberista attraverso l’azione diretta. Eppure, gli individui che partecipano all’azione collettiva sono socialmente e politicamente condannati come una pericolosa minaccia al continuo flusso delle economie locali e globali.

Gli individui si trovano presi in mezzo: agire contro il cambiamento climatico, ma non essere così attivi da spezzare lo status quo, che è ciò che ha spinto gli individui a desiderare l’azione in primo luogo. Cambia te stesso e, in qualche modo, la società alla fine cambierà. Questa è la caratteristica narrativa dell’Antropocene: il politico è diventato personale e, ancor più, un imperativo personale. Il quadro concettuale dell’Antropocene incanala un’incredibile complessità di questioni che si intersecano in un ritornello individualistico: privati del potere e distratti da notizie con un ciclo di 24 ore, gli individui coscienziosi possono facilmente essere indotti a credere che il destino del mondo sia solo sulle loro spalle. La mobilitazione collettiva politica per combattere i problemi ambientali – ad esempio la cooperazione internazionale di paesi, aziende, produttori e consumatori come richiesto dal Protocollo di Montréal negli anni Ottanta per invertire l’allargamento del buco nello strato di ozono del pianeta (Sidder) – sembra un’azione lontana e quasi inimmaginabile ai giorni nostri. Ciò che “io” posso fare da solo sembra poca cosa rispetto alla moltitudine di forze negative che stanno lacerando il tessuto del mondo; come Martin Lukacs scrive per The Guardian, “mentre ci impegniamo a rendere più verdi le nostre vite personali, le multinazionali dei combustibili fossili rendono questi sforzi irrilevanti”. Lukacs presenta questo come il risultato di una “guerra ideologica” nella quale una mentalità neoliberalista ha, nel corso della seconda metà del XX secolo, smantellato i muri che impedivano l’esercizio del potere aziendale, nello stesso momento in cui rendeva l’azione democratica collettiva dei cittadini “impensabile” (Neoliberalism). Il concetto di Antropocene costituisce una significativa impasse psicologica che richiede l’esplorazione di narrazioni alternative al fine di realizzare una resistenza significativa.

Come Amitav Ghosh sostiene in modo così convincente, l’Antropocene rappresenta una sfida alla “comprensione del nostro buon senso e alla cultura contemporanea in generale”; questa è una crisi della narrazione, in quanto non sembrano esistere alternative praticabili, tanto sono forti le influenze riduzioniste dei discorsi antropocenici. Questo articolo tenta un parziale svelamento della narrazione antropocenica, al fine di creare un’opportunità per considerare le molteplici narrazioni alternative – tangibili e realizzabili – di futuro sostenibile e giusto, proprio come viene presentato dal genere solarpunk.

Il solarpunk è uno sviluppo relativamente recente della fantascienza che immagina un futuro prossimo in cui gli individui abbiano il potere di agire non solo contro la crisi climatica, ma contro le forze oppressive del colonialismo, del capitalismo neoliberista, dell’eteropatriarcato e della corruzione dello status quo politico e socioeconomico che la consente. Il solarpunk è un movimento della società civile, attivista, filosofico, artistico e speculativo che impone una nuova narrativa del futuro che unisce realismo e speranza di articolare possibilità.

La letteratura di genere può fornire la perturbazione narrativa e i rimedi ricognitivi necessari a riparare e superare l’impasse concettuale dell’Antropocene per immaginare un futuro sostenibile, in particolare se essa è composta nella modalità descritta da Istvan Csicsery-Ronay come “finzione scientifica”.

Csicsery-Ronay attinge all’analisi di Darko Suvin del 1970 sulla fantascienza come letteratura di estraniamento cognitivo per sostenere che la fantascienza produce una dislocazione spazio-temporale utilizzando uno o più novum – novità o innovazione da cui scaturiscono tutti i cambiamenti nel mondo narrativo.

Suvin richiedeva che il novum conducesse i lettori a una validazione della novità attraverso “una cognizione metodicamente scientifica”; affermazione considerata sospetta da donne, persone di colore e lettori provenienti da un contesto non occidentale. Nel 1971, la scrittrice e critica femminista Joanna Russ pubblicò Images of Women in Science Fiction, dove in sostanza sottolineava che per le donne (occidentali), la fantascienza raramente era “cognitivamente valida”, concentrandosi invece su nova tecnologici ed eludendo le questioni di genere interamente a favore della ripetizione di “immagini” femminili stereotipate invece di rappresentare adeguatamente le realtà delle vite delle donne (Lefanu 14). I teorici postcoloniali e queer hanno aggiunto a questa critica le dimensioni della razza e della sessualità e hanno sottolineato che la pretesa di straniamento cognitivo “suggerisce che tutto nella fantascienza segua o dovrebbe essere concettualizzato attraverso la lente del paradigma razionalista scientifico occidentale” (Langer 9).

Il solarpunk può essere rintracciato in questa tradizione di investigazione critica sullo status quo del futuro ancor prima che si avveri, non proponendo come novum del futuro semplicemente uno scambio dell’economia basata sui combustibili fossili del presente con un’economia basata su tecnologie energetiche “più verdi” (come il solare o l’eolico) ma esplorando ulteriormente le ramificazioni di cambiamento sociale significativo per tutta la vita planetaria al fine di immaginare pienamente futuri più realistici e giusti.

Il solarpunk è di origine non occidentale (la prima antologia di storie solarpunk è stata
pubblicata in Brasile nel 2012) e si impegna per includere la teoria e il pensiero femminista, queer e BIPOC [Neri, Indigeni e Persone di Colore, NdT] ma, come ha notato Rob Cameron, deve ancora darsi molto da fare per rompere prima o poi con la definizione di fantascienza del suo genitore di “genere”, e con la perpetuazione delle norme e della mentalità patriarcali occidentali, per trovare “una solida connessione con i gruppi sottorappresentati che invece dovrebbe includere” (In Search…. Parte 2). C’è urgente necessità, sottolinea Cameron, che il solarpunk si stacchi da aspirazioni utopiche occidentali se vuole veramente impegnarsi contro il razzismo (In Search… Parte 2), poiché l’impulso utopico occidentale storicamente e attualmente genera distopia in tempo reale per gruppi emarginati e oppressi in tutto il mondo.

Illustrazione di Dominik Gümbel, Dresda (Germania)

2. Contro-narrazioni: realtà Solarpunk

È sempre più evidente che molte società stanno vivendo i risultati della loro incapacità immaginativa, dato che la terra distopica prevista da tante narrazioni di fantascienza (film e letteratura) incombe come una ineluttabilità così radicata nella nostra visione del futuro che non riusciamo a rimanere scioccati dal suo arrivo.[2] Siamo stati lasciati ad affermare cupamente, insieme alla teorica Hasana Sharp, che semplicemente non possediamo i concetti e gli strumenti per il compito di pensare e agire di fronte a “problemi veramente globali, planetari, con profonde radici storiche, biologiche e chimiche”. Potremmo persino invocare la vecchia battuta che è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo. In questa rassegnazione c’è la tentazione di cedere alla sopraffazione, dato che non riusciamo a vedere i fini né i mezzi per arrivarci.

Arriviamo al solarpunk, una categoria di narrazioni che contiene il potenziale per combattere l’opprimente disperazione instillata dall’Antropocene, manifestandosi attraverso una serie di media diversi, tra cui arte, attivismo politico, organizzazione comunitaria e letteratura: esso è “sia giustizia sociale sia tecnologia di sopravvivenza” (Cameron, In Search… Part 2).

Il solarpunk combina un’estetica art-nouveau con l’implementazione fantascientifica di tecnologie verdi (soprattutto solare, ma anche energia eolica, mareale e geotermica) come prima componente di base (cit. missolivialouise). La seconda, quella della rivoluzione sociopolitica ed economica, è il riconoscimento da parte del solarpunk dei molteplici fronti su cui è necessario contrastare le problematiche della contemporaneità per creare un futuro positivo per tutti gli esseri, il che lo qualifica come un immaginario alternativo, percorribile per potenziare gli umani in mezzo al cosiddetto Antropocene.[3]

Forse è per questa ragione che la letteratura esplicitamente pubblicata come solarpunk è fino ad oggi apparsa sotto forma di antologie di racconti come Sunvault: Stories of  Solarpunk and Eco-Speculation (2017) e Glass and Gardens: Solarpunk Summers (2018). Non esiste un’unica visione del futuro, ma può essere ricostruito da molti differenti punti di vista.

Il solarpunk è uno sviluppo relativamente recente della fantascienza che immagina un futuro prossimo in cui gli individui abbiano il potere di agire non solo contro la crisi climatica, ma contro le forze oppressive del colonialismo, del capitalismo neoliberista, dell’eteropatriarcato e della corruzione dello status quo politico e socioeconomico che la consente

The Boston Hearth Project di T.X. Watson è un esempio di storia che mobilita molti dei temi chiave del solarpunk, come la comunità, l’azione extra-legale guidata da empatia, valuta singoli esseri umani e infrastrutture della resistenza, e descrive un gruppo di umani che navigano con attenzione in un piccolo angolo del mondo antropocenico.

La storia consiste nel racconto del personaggio principale, Andie, di un fatto avvenuto a Boston nel 2022: l’irruzione e l’occupazione dell’Hale Centre, un edificio intelligente [4]nel centro città, da parte di attivisti sostenitori dei senzatetto cittadini. Il collettivo agisce attraverso una combinazione di tecnologia di realtà aumentata (AR) e l’interruzione del sistema informatico dell’edificio – che evoca l’ethos hacker cyberpunk – appropriandosi di tecnologie e infrastrutture costruite per servire “l’Uomo” (alias società o interessi governativi). Eppure, il racconto di Watson è ostinatamente solarpunk nella sua politica: lo scopo dell’acquisizione dell’edificio è riassunto succintamente da Andie:

Il tasso di decessi invernali dei senzatetto a Boston è aumentato ogni anno poiché il cambiamento climatico ha reso i modelli meteorologici sempre più irregolari. La città non era mai stata attrezzata per proteggere i senzatetto durante i vortici polari, e stava diventando peggio, non meglio. Non c’era stata alcuna nuova costruzione di strutture per senzatetto, e due chiusure, negli ultimi cinque anni.

La responsabilità dell’inazione politica rispetto alla situazione dei membri più poveri della società è la motivazione trainante del racconto; le descrizioni di Watson di pannelli solari trasparenti, droni silenziosi a tecnologia avanzata, reti wireless ad hoc, gigantesche vasche di alghe usate come “filtri per l’acqua e depuratori di ossigeno” per interni ed edifici intelligenti autosostenibili sono tutti certamente necessarie per raccontare l’ambientazione, ma non sono di per sé ciò che dà alla protagonista e ai collaboratori il loro slancio.

Alla base della narrazione di “The Boston Hearth Project” ci sono la cura e la comunità. È l’affetto che guida lo sviluppo narrativo e con riferimento ad esso si svolgono le azioni dei personaggi.
Andie non lavora da sola: The Boston Hearth Project è uno sforzo comunitario che si basa sui talenti di più volontari per hackerare e ricablare l’attrezzatura di gioco AR, affiggere manifesti, gestire i social media, affrontare la violenza della polizia ed entrare fisicamente nell’Hale Centre per disabilitare l’intranet. È importante sottolineare che lo stesso Hale Center partecipa attivamente all’occupazione: Andie scrive che “l’edificio era la nostra arma oltre che il nostro ostaggio”; gli attivisti usano la regolazione della temperatura e la chiusura automatica delle porte dell’edificio per intrappolare e disarmare la polizia in tenuta da sommossa: dopo ore a temperature elevate, i poliziotti sono costretti ad abbandonare armi e armature e vengono mandati via incolumi. L’atmosfera controllata del Centro Hale, resa possibile dalle proprietà ossigenanti delle alghe e dall’energia autogenerativa del sole, fornisce ai volontari il luogo ideale dove attendere l’assedio delle indignate forze dell’ordine costituito.
Lo sforzo collettivo è compiuto senza aspettarsi di essere pagati per le vite salvate, un lavoro che cambia il mondo. Andie e gli altri attivisti rispondono alla pressante situazione dei senzatetto e all’impotenza strutturale nel mezzo del catastrofico cambiamento climatico, della collusione spietata delle forze governative e corporative per il guadagno fiscale, della forte disparità trai ricchi e poveri, e dell’apparente indifferenza e persino ostilità dell’establishment verso gli svantaggiati.

Il solarpunk, nel suo sviluppo, è attento non solo ai temi della tecnologia sostenibile e dell’organizzazione economica, ma anche alla diversità e alla giustizia, che “discende naturalmente” (Arseneault) dalla sua premessa di solidarietà con la Terra e le sue creature. Come un anonimo blogger ha scritto in un post del 2008 generalmente considerato il primo caso di argomentazione del solarpunk:

le idee solarpunk e le tecnologie solarpunk hanno necessità di non rimanere immaginarie, e io indulgo nella speranza di vivere un giorno in un mondo solarpunk (Anonimo).

Claudie Arseneault descrive il solarpunk come l’immaginazione di un futuro prossimo in cui l’umanità ha realizzato i suoi sforzi per creare un mondo migliore, dove “la comunità e la solidarietà finalmente prevalgono sulla produttività”. Si può vedere come il solarpunk tragga ispirazione e spesso corra parallelo agli sviluppi esistenti ed entusiasmanti di movimenti come l’Afrofuturismo, le rappresentazioni queer ed LGBTQIA++ nella fantascienza, i futurismi indigeni e la speculazione femminista nella sua continua autorealizzazione. Adam Flynn, in “Solarpunk: Notes Towards a Manifesto“, sottolinea che la generazione under-30:

è cresciuta con le previsioni di un giorno del giudizio che colpirà prima dell’età prevista per la nosrta pensione, con la lenta ma inesorabile militarizzazione dei dipartimenti di polizia metropolitana, con il fallimento dell’ordine politico esistente nell’affrontare l’esistenziale-ma-non-ancora-urgente minaccia del cambiamento climatico… Siamo solarpunk perché le uniche altre opzioni sono negazione o disperazione.

Mentre gli effetti negativi come l’ansia da cambiamento climatico vengono finalmente riconosciuti dai professionisti della salute (“Climate Psychology Alliance—Home”; “Psicologia e cambiamento climatico globale”; Greenspan; Masemann et al.), il solarpunk presta attenzione alla neurodiversità, alla resilienza affettiva e alle diverse abilità dei suoi membri, con suggerimenti su come combattere l’ansia e la depressione, e anche consigli su come costruire una comunità nonostante si viva con l’ansia (Solarpunk Citizen; txwatson).

Il solarpunk è un movimento intenzionalmente affermativo, che incarna la chiamata della filosofa femminista Rosi Braidotti a mobilitare la teoria oltre la negatività; non è sufficiente essere contro. L’affermazione, al contrario, non è ottimismo, ma piuttosto il processo di trasformazione del dolore in prassi (Braidotti, “Affirmation & Endurance”).

Uno dei punti di forza del solarpunk risiede nella sua capacità di apprezzare, supportare, e adottare una varietà di modi alternativi di vivere al di fuori dei confini del capitale e lontano da una visione fascista del mondo alimentata dalla paura. La realizzazione che gli esseri umani non sono, alla base, intrinsecamente distruttivi nella loro interazione con la natura più che umana apre le porte all’opportunità di imparare dalle iniziative che in tutto il mondo praticano l’agricoltura rigenerativa e una ecologia di ripristino, così come gli insegnamenti delle comunità indigene che enfatizzano una pedagogia basata sulla terra.

Il suffisso –punk entra in gioco in azioni come la difesa dei senzatetto, la solidarietà con la lotta dei popoli indigeni per proteggere le loro terre, la resistenza contro la legislazione dannosa per l’ambiente, la mobilitazione contro lo sfruttamento dei lavoratori, la sensibilizzazione riguardante i diritti degli animali, le proteste contro i politici fascisti, il rifiuto del sessismo strutturale e del razzismo e altro ancora.[5]

L’insistenza del discorso antropocenico sul fatto che il politico sia personale viene invertita di fatto nei blog su uno stile di vita ispirato al solarpunk, con la loro enfasi nel fare pressione sui governi affinché adottino tecnologie verdi, legiferino contro le politiche dannose per l’ambiente e consentano ai cittadini di costruire intenzionalmente una comunità, indipendentemente dall’approvazione del governo (“Solarpunk World Building“; “Solarpunk & Tea”; “The Solarpunk Network“; “Solarpunk (57 Books)”; Solarpunk Anarchist–Home).

“Uccidi i padroni” di Anato Finnstark /Francia)

3. Contro l’individualismo negativo isolato

Il movimento solarpunk è un rifiuto esplicito della negatività, come The Boston Hearth Project dimostra. È composto da più persone che sperimentano oppressione all’interno di una società strutturata dall’accumulazione di capitale a scapito della vita umana e più che umana. Anche artisti e attivisti solarpunk usano tale riconoscimento dell’oppressione condivisa e dello scarso potere non per chiudersi in se stessi ed escludere gli altri, ma come terreno di cooperazione per garantire la reciproca prosperità nonostante le circostanze negative.

Nell’estate del 2018, Braidotti ha sottolineato che è imperativo pensare in maniera moltiplicata in questo frangente della storia: riconoscere che sì, noi siamo parte del sostegno al sistema capitalista, al continuo insudiciamento della Terra, allo sfruttamento delle persone di colore e delle classi inferiori, e alla morte della vita non umana, ma è possibile far parte di qualcosa e contemporaneamente opporvisi. Braidotti ha sostenuto che, pur essendo immanenti alle condizioni che stiamo combattendo, possiamo diventare soggetti politici differenti, resistenti attivi invece che consumatori passivi. Lavorando per incorporare una varietà di prospettive, le conoscenze contestuali integrate e contestualizzate possono incoraggiare gli individui a immaginare un cambiamento positivo (Braidotti “The Posthuman Convergence and Posthuman Ethics”).
Una risposta praticabile ai problemi dell’Antropocene è quella solarpunk che afferma che, anche se non tutti gli individui hanno contribuito allo stato del pianeta, tutti gli umani hanno la capacità di rispondere ai tempi e tutti gli umani sono in grado di prendersi cura della loro casa planetaria condivisa. Una risposta praticabile riconosce la verità della teoria della trans-corporeità di Stacy Alaimo: il modo in cui «tutte le creature, in quanto esseri incarnati, sono intrecciate con il mondo dinamico materiale, che le attraversa, le trasforma e da esse viene trasformato”. La transcorporeità è immanenza radicale alla materia del mondo; anche all’inquinamento e al capitalismo, che pure sono parte di ciò che ci costituisce come soggetti in questa epoca. Cuomo sottolinea che un individuo può causare inconsapevolmente gravi danni contribuendo ad azioni come acquistare bottiglie d’acqua, gettare rifiuti o viaggiare inutilmente in auto.

Una risposta attiva ai problemi dell’Antropocene può essere invertire questa logica di accumulazione negativa e investire invece in azioni comunitarie positive, come protestare contro la legislazione sul lavoro iniquo, usare bottiglie e tazze riutilizzabili, o servirsi dei trasporti pubblici, e contribuire così a benefici generali in tutela dei diritti dei lavoratori, riduzione dei rifiuti e delle emissioni di carbonio. È necessario, per combattere il discorso antropocenico dell’isolamento e della colpa, poter pensare e agire su molti livelli per affrontare più danni: in altre parole, praticare una forma mobile di intersezionalità. Come afferma Lukacs, ci viene richiesto di rompere risolutamente l'”incantesimo” del neoliberismo: dobbiamo “smetterla di pensare come individui” e diventare custodi trans-corporei.

“Luna” di Charly Amani (Belgio)

4. Conclusione

Immaginare un percorso d’azione e uno stile di vita al di fuori dei limiti del discorso antropocenico è di vitale importanza per sviluppare la capacità di attuare una resistenza significativa alle forze del capitalismo neoliberista e della cultura del consumo che sta guidando il degrado del pianeta e l’estinzione della vita più che umana. Come molti a questo punto hanno notato, un’esplorazione del genere solarpunk può aiutare a sviluppare la capacità cognitiva di immaginare futuri positivi (Alberro; Williams; Luce; Hamilton, Cameron). Espandere la nostra immaginazione del futuro per includere la capacità di immaginarci mentre contribuiamo allo sviluppo di un ambiente che sostiene ed è sostenibile può garantire ai cittadini resistenti la capacità di creare comunità nelle quali le azioni di ogni individuo contano per le azioni molto più ampie ed efficaci di un gruppo significativo.

È importante, quindi, che il solarpunk ottenga la maggior parte delle proprie ideologia, teoria e metodi da più fonti, in particolare da movimenti come femminismo, Afrofuturismo, futurismi indigeni e da testi politici e speculativi non occidentali e LGBTQIA++, al fine di evitare la  perpetuazione degli attuali sistemi oppressivi.

Il potere collettivo può quindi essere utilizzato efficacemente per fare pressione su governi locali, provinciali e federali in nome del clima, investire in tecnologie sostenibili, stroncare il razzismo sistemico, chiedere giustizia per i popoli indigeni, creare modi di vita alternativi. Inoltre, una comunità di individui che conservano le proprie preoccupazioni è molto meglio attrezzata per lavorare su più fronti, combattendo gli effetti dell’Antropocene laddove si manifestano in strutture di razzismo, sessismo, omofobia e supremazia umana. È fondamentale spostare il quadro d’insieme dell’Antropocene. La prominente visione del mondo antropocenico ha per effetto isolamento e depotenziamento profondo, basandosi su una versione di indipendenza auto-mortificante e auto-ostracizzante. Serve invece un’espansione immaginativa positiva e in grado di riconoscere la rete relazionale del soggetto in un dato momento, insistendo sul fatto che nessuno è mai privo di relazioni con l’ambiente circostante, e di conseguenza nessuno è mai solo.


Infine, vorrei chiarire che non propongo il solo solarpunk come alternativa alla disperazione antropocenica, poiché alternative alla limitante narrativa antropocenica dell’isolamento si possono trovare in differenti casi di solidarietà comunitaria e azioni di gruppo, non importa quanto piccole. Il solarpunk dimostra questa capacità di pensare attraverso molteplici problemi di delegittimazione, e spesso punta verso progetti generatori di futuro che già esistono, in particolare le attività di Black Lives Matter, Idle No More, Extinction Rebellion e le manifestazioni cittadine antifasciste in tutto il Nord America, così come i movimenti locali per la giustizia climatica.

Le migliori storie sul futuro possono essere trovate nell’azione di gruppi che si organizzano per i diritti degli immigrati e degli indigeni, protestando contro la disparità di reddito e l’enorme debito, e i movimenti contro il razzismo, misoginia e omofobia nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle città e nei governi di tutto il mondo.

Non esiste una bacchetta magica per i danni dell’Antropocene: un singolo colpo non porterà cancellerà un sopruso. Solo il riconoscimento di come le oppressioni sistemiche nell’Antropocene siano mobili e intrecciate fra loro, insieme al riconoscimento della natura trans-corporea e interconnessa di tutta la vita, può aiutare i responsabili del cambiamento a scegliere un atteggiamento di cura e alla fine scorgere una via verso un futuro giusto.

Traduzione di Silvia Treves

ARIEL KROON è dottoranda in inglese e studi cinematografici presso l’Università di Alberta, nel territorio del Treaty Six[6]. Studia la narrativa post-apocalittica pubblicata in Canada nel periodo 1948-1989 valutando i testi come basi di un immaginario alternativo influenzato dalle lotte degli autori negli ambiti dell’identità di genere, del dominio coloniale, della coscienza ambientale, e della minaccia di un’apocalisse nucleare. Ha pubblicato lavori accademici nel Journal of Canadian Literature e le sue poesie sono apparse su Glass Buffalo e in diverse raccolte.

In una vita precedente, era editor di arte e letteratura dell’ormai defunto sito Web Paper Droids, che pubblicava articoli sulla cultura geek di- e per- le donne.

Ha lavorato con Just Powers per documentare la transizione energetica a Edmonton, Alberta. Combatte l’ansia da Antropocene attraverso il compostaggio.


Note:

[1] L’autrice desidera riconoscere che la ricerca e la stesura di questo articolo sono state effettuate in amiskwacîwâskahikan [Nome tradizionale di Edmonton], sul territorio del Trattato Sei, un luogo di ritrovo tradizionale per diversi popoli indigeni tra cui Cree, Blackfoot, Metis, Nakota Sioux, Iroquois, Dene , Ojibway / Saulteaux / Anishinaabe, Inuit e molti altri le cui storie, lingue e culture continuano a influenzare questa terra e i suoi popoli. L’autrice desidera anche ringraziare il Social Sciences and Humanities Research Council of Canada per il loro sostegno nel fornire i fondi con i quali  è stata in grado di pagare l’affitto e mangiare per tutta la durata della ricerca e della stesura di questo documento. [NdA]

[2] Vedi Blade Runner di Ridley Scott, Blade Runner 2049, Altered Carbon di Netflix, il romanzo Neuromante di William Gibson del 1984 e il genere letterario del cyberpunk per varie rappresentazioni dello stesso futuro del tardo capitalismo fuori controllo, del degrado ambientale e della crescente sorveglianza informatica. [NdA]

[3] Antenati generici includono la climate fiction (cli-fi) che esiste da oltre 50 anni; Deserto d’acqua [1962] di J. G. Ballard è generalmente considerato uno dei primi romanzi cli-fi e il cyberpunk (un fenomeno della metà degli anni Ottanta esemplificato da Neuromante di William Gibson [1984]). I romanzi cli-fi mettono in primo piano i cambiamenti ambientali come novum della fantascienza. Il solarpunk è consapevole di come la classe, la politica e la tecnologia strutturino il contesto dei suoi personaggi e sostiene il cambiamento del sistema e la ribellione contro lo status quo; tuttavia, il solarpunk enfatizza l’intersezione di oppressioni come il razzismo e il sessismo, assenti dal cyberpunk tradizionale, ed è tanto appassionatamente fiducioso quanto il cyberpunk è cinico riguardo al futuro. Come osserva lo studioso Rhys Williams, il solarpunk non è legato al genere, muovendosi fluidamente tra i significanti della fantascienza e del fantasy nella sua estetica (Williams, “Solarpunk“). [NdA]

[4] Cioè, un edificio di molti sistemi interconnessi, paragonabile a una intranet, in cui tutte le funzioni dell’edificio sono monitorate e mantenute da un’unica “super rete” integrata.[NdA]

[5] Come ha notato Flynn nel 2014, “E sì, c’è un -punk lì, e non solo perché è diventato un suffisso alla moda. C’è una qualità oppositiva nel solarpunk, ma è un’opposizione che inizia con l’infrastruttura come forma di resistenza… Il solarpunk attinge all’ideale dell’agricoltore contadino di Jefferson, all’ideale swadeshi di Ghandi [sic] e alla successiva Marcia del sale, e a innumerevoli altre tradizioni di dissenso innovativo [enfasi nell’originale]. Più tardi, nel 2015, Arseneault completa ciò per affermare “Alcune persone protestano che non c’è nulla di punk in un futuro hippie-green. Ma ecco il punto: il punk rifiuta di accettare le false verità universali che ci spingono costantemente in gola e si erge contro di loro” [enfasi nell’originale]. La natura oppositiva del -punk viene mobilitata come strumento nel solarpunk per criticare gli attuali sistemi di oppressione e aprire così nuove possibilità di un futuro sostenibile e comunitario, rispondendo all’appello di Imre Szeman e Dominic Boyer a “definire altri modi di essere, comportarsi e appartenere” per resistere al petrocapitalismo (cit. in Williams, “Solarpunk “). Come chiarisce la Guida di riferimento del solarpunk, non è sufficiente limitarsi a criticare e definirlo un giorno: “il solarpunk può essere utopico, semplicemente ottimista o coinvolto nelle lotte lungo la strada verso un mondo migliore, ma mai distopico. Poiché il nostro mondo ribolle di calamità, abbiamo bisogno di soluzioni, non di avvertimenti”.

[6] Un modo alternativo di definire parte delle odierne province di Alberta e Saskatchewan (Canada) a partire dai territori strappati dalla corona inglese a nativi americani: il sesto trattato (treaty six appunto) risale agli anni 1876-1889. [NdC]


Indice delle opere citate:

Alaimo, Stacy. “Trans-corporeality.” The Posthuman Glossary, edited by Rosi Braidotti and Maria Hlavajova, Bloomsbury, 2018, p. 435-438.

Alberro, Heather. “Utopia Isn’t Just Idealistic Fantasy—It Inspires People to Change the World.” The Conversation

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Arsenault, Claudie. “Solarpunk, the LGBT Community, and the Importance of Imagining Positive Futures.” Vitality, 29 June 2015,

Braidotti, Rosi. “Affirmation & Endurance.” Posthuman Ethics, Pain and Endurance (How to Live an Anti-Fascist Life and Endure the Pain), Utrecht University, Utrecht, NL, 20-24 Aug. 2018.

—. “The Posthuman Convergence and Posthuman Ethics.” Posthuman Ethics, Pain and Endurance (How to Live an Anti-Fascist Life and Endure the Pain), Utrecht University, Utrecht, NL, 20-24 Aug. 2018.

Cameron, Rob. “In Search of Afro-Solarpunk, Part 1: Elements of Afrofuturism.” Tor.com, 29 Oct 2019

—. “In Search of Afro-Solarpunk, Part 2: Social Justice is Survival Technology.” Tor.com, 30
Oct 2019

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Csicsery-Ronay, Istvan. The Seven Beauties of Science Fiction. Middletown: Wesleyan University Press, 2008. Print.

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Flynn, Adam. “Solarpunk: Notes toward a Manifesto.” Project Hieroglyph, 4 Sept. 2014

Greenspan, Miriam. “Global Healing in a Brokenhearted World.” Healing Through the Dark Emotions: The Wisdom of Grief, Fear, and Despair. Shambhala Publications, Inc., 2003.

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Langer, Jessica. Postcolonialism and Science Fiction. Palgrave Macmillan, 2011.

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“Solarpunk & Tea.” Solarpunk & Tea

Solarpunk Anarchist

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Solarpunk World Building” Solarpunk Look Book

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