Sonam Joshi, da The Times of India, 12 giugno 2022, traduzione di Silvia Treves

È prevista per oggi, 21 luglio, la data d’uscita dell’edizione italiana di “Il Ministero per il Futuro” di Kim Stanley Robinson, per l’editore Fanucci nella traduzione di Francesco Vitelli; abbiamo scritto diffusamente di questo romanzo cruciale, ricco di idee anche per la politica e per la scienza, alla sua uscita in edizione originale. Ci limitiamo qui a tradurre un’intervista con l’autore apparsa su The Times of India per mano della giornalista Sonam Joshi

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Di recente, molti scienziati hanno paragonato le ondate di calore nel nord dell’India al romanzo di climate fiction dello scrittore americano Kim Stanley Robinson Il Ministero per il Futuro (2020), che ambienta in India un’ondata di calore a bulbo umido che uccide 20 milioni di persone. Robinson, uno dei più celebri autori viventi di climate fiction e di fantascienza, ha parlato con TOI di questo genere letterario in India.

D: Recentemente, molte persone hanno trovato inquietanti somiglianze tra le ondate di calore nel nord dell’India e il capitolo iniziale de Il ministero per il futuro. Come l’ha concepito?

KSR: Intorno al 2017 ho letto che esiste un limite massimo di sopravvivenza per gli esseri umani quando si verifica una combinazione di calore e umidità. Questa combinazione, una volta raggiunto l’indice di temperatura a bulbo umido 35, sarebbe fatale a meno di non disporre di aria condizionata. Ci sono molti luoghi nel mondo dove questa combinazione è frequente e sta diventando sempre più calda e umida. Una delle più alte temperature a bulbo umido è stata registrata fuori Chicago, ma l’India, la regione del Golfo Persico e alcune parti dei tropici sono particolarmente sensibili.

Quindi, a causa dell’anidride carbonica che stiamo bruciando nell’atmosfera, queste temperature stanno aumentando e diventando più frequenti. Nel frattempo, negli Stati Uniti c’era gente che sosteneva che noi potremmo “adattarci al cambiamento climatico” e che anche un aumento medio di 3,5° sarebbe un valore a cui potremmo adattarci, perché siamo così adattabili. Ma questo non era vero.

Da quando ho scritto il mio romanzo Gli anni del riso e del sale, mi sono interessato all’India, che è la più grande democrazia del mondo e ospita una persona su otto. Dato che è uno dei luoghi minacciati dall’aumento delle temperature a bulbo umido, ho deciso di iniziare là il mio romanzo. In verità, temevo, e temo ancora, che qualcosa di simile possa accadere nel prossimo futuro.

È stata una decisione inquietante, devo ammetterlo, e ho scelto il punto di vista di un americano per connotare in qualche modo il mio status di outsider e osservatore. Ho fatto in modo che il romanzo tornasse a parlare dell’India, per mostrare come essa potrebbe guidare il mondo nel rispondere a questo pericolo.

Kim Stanley Robinson

D: Perché ha reso l’India una parte così importante della narrazione?

KSR: Ho sentito l’obbligo di rimanere in India, dopo aver deciso di ambientarvi la prima terribile scena, perché si trova in una posizione così pericolosa. Non potevo mostrare il disastro e poi andarmene. Gran parte del romanzo si svolge a Zurigo, in Svizzera, la sede del mio immaginario Ministero per il Futuro, ma l’amministratore delegato del Ministero è un indiano (di madre nepalese), e lui, la ministra e la storia stessa continuano a tornare in India, per vedere che cosa stia succedendo. Questo mi ha permesso di dimostrare che gli sviluppi positivi in India, nelle pratiche agricole e nella governance, sono di prim’ordine e potrebbero guidare il resto del mondo in modo positivo.

Per coincidenza, sono stato in India [per la prima volta!] in aprile, e per lo più a Dharamshala; quindi, ero al di sopra del caldo, grazie all’altitudine. Ma sono andato a Nuova Delhi per tornare a casa e ho trascorso un giorno lì durante l’ondata di caldo. Faceva molto caldo, certo, ma non era così umido. Ma un calore così intenso della durata di un mese o più, con molti che vivono senza aria condizionata, sono sicuro che per molti sia stato brutale.

D: È probabile che nei prossimi anni vedremo altri casi in cui la realtà supererà la climate fiction?

KSR: Sì, credo di sì. Certo, c’è molta climate fiction che esagera completamente la velocità e l’orrore delle catastrofi climatiche, per ottenere un effetto drammatico. Nel mondo reale, la catastrofe rientrerà nei limiti della fisica, ma anche questo non è un limite molto ampio; gli effetti saranno molto gravi. A volte sono immediati e drammatici, come nel caso di uragani, tifoni o inondazioni. Altre volte ci vuole un anno o addirittura cinque anni di siccità, mentre le cose continuano a peggiorare a piccoli gradi, finché l’acqua finisce, le piante muoiono e poi anche le persone. Ma è un tipo di evento difficile da descrivere nella narrazione.

D: Come riesce a gestire l’ansia ecologica e il dolore connesso mentre scrive di cambiamenti climatici?

KSR: Cerco di ricordare che il cambiamento climatico è ora la grande narrazione della storia mondiale, cosa non vera dieci anni fa. Inoltre, gli scienziati di tutto il mondo stanno facendo un grande lavoro per sviluppare modi di affrontare il problema. Gran parte del lavoro veramente cruciale non sta nei titoli dei giornali o nelle nostre vite quotidiane, ma è comunque la storia della civiltà del nostro tempo. A volte non è un gran punto di appoggio, come una sporgenza su una scogliera, ma sembra abbastanza reale da essere un vero conforto.

D: Che ruolo può svolgere la narrativa nell’aiutare le persone a comprendere meglio la crisi climatica?

KSR:  Sì, abbiamo sicuramente bisogno di più storie che descrivano persone che affrontano il problema globale e trovano soluzioni. Sono storie nuove, che sono rare, e possono essere molto preziose per aiutare le persone a immaginare come il mondo possa diventare un pianeta in cui le persone sono in buon equilibrio con la biosfera. Il mondo è la nostra unica e sola casa, quindi dobbiamo prendercene cura, altrimenti niente andrà bene.

D: Nel 2021 è stato invitato alla COP-26. Com’è stata quell’esperienza?

KSR: Per me, la COP-26 è stata un’esperienza travolgente. Ho visto che là si sta facendo molto buon lavoro e alcuni segnali di speranza nel modo in cui il capitale privato sta cercando investimenti verdi, e anche nello stesso accordo di Parigi, che più di una volta richiede esplicitamente “equità climatica”, il che significa che le nazioni ricche e sviluppate che hanno bruciato più carbonio (e sono state spesso le potenze coloniali), sono tenute a pagare di più per aiutare le nazioni in via di sviluppo che saranno colpite per prime e più duramente dai cambiamenti climatici. Ogni nazione ha accettato questa descrizione del problema e la sua equa soluzione. L’equità è fondamentale. Ma ho anche visto le nazioni ricche non riuscire a mantenere le loro promesse nel modo più ovvio: non stavano pagando i soldi promessi all’interno del sistema restaurativo, ecc. Questo potrebbe diventare un problema orribile se continua. Ovunque sulla Terra, le persone devono votare per  politici disposti a vedere che siamo tutti sullo stesso pianeta.

traduzione di Silvia Treves
Sonam Joshi
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