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Giovanni Armanini ha intervistato Romina Braggion, della redazione di Solarpunk Italia, per il periodico Commentario di Oxygenio. Questa che riportiamo è la trascrizione dell’intervista preparatoria al lavoro di stesura dell’articolo.


Potrebbe capitarvi, in rete o nella vita reale, di incrociare le variegate espressioni, artistiche e non solo, del cosiddetto Solarpunk. Una molteplicità di forme d’espressione, dalla letteratura alle arti visive, a cui è difficile rimanere indifferenti.

Il Solarpunk – per darne una prima sommaria idea – si pone in opposizione al cyberpunk, ribaltandone i principi di base, la visione nichilistica e post apocalittica. Attraverso arte e cultura promuove una visione ottimista e progressista del futuro, con attenzione verso energie rinnovabili e tecnologie sostenibili.

Copre numerosi ambiti tra cui arte, narrativa e architettura. Promuove un attivismo che mira alla realizzazione concreta di un futuro tecnologico ed ecosostenibile attraverso la lotta al cambiamento climatico e la critica al capitalismo classico. 

Abbiamo contattato il collettivo italiano – che ha la propria casa in solarpunk.it – per raccontare l’identità di un gruppo eterogeneo fondato da Giulia Abbate (editor e coach di scrittura), Romina Braggion (editor), Franco Ricciardiello (scrittore, Premio Urania 1998) e Silvia Treves (curatrice editoriale di riviste e antologie), che nel tempo si è arricchito di numerosi collaboratori.

Romina Braggion ci ha aiutato a capirne di più.


Il primo dubbio che viene è questo: possiamo parlare di Solarpunk come di un movimento? 

Possiamo farlo nel momento in cui definiamo il Solarpunk come la voce artistica di una serie di attivismi riguardanti ambiente e società. Noi siamo nati come collettivo il 15 gennaio 2021. Siamo partiti con idee chiare e man mano le idee diventano sempre più complesse, non confuse, ma più articolate grazie al sommarsi di spunti e visioni. Come per tutti i movimenti, più si avanza e più sorgono dubbi, ma questo è inevitabile in una logica di molteplicità e apertura.

La storia del Solarpunk ha radici profonde, ce le puoi raccontare?

Il Solarpunk globale nasce nel 2010 in America Latina. Nel tempo ha coinvolto tutti coloro che sentono di poter contribuire alla causa della riparazione dei danni ambientali e sociali a livello planetario, ma con basi simili: decentralizza, decolonializza, abbraccia tutte le alterità possibili. Cerca di vedere e analizzare la società per come è in questo momento, immaginando e praticando una sorta di riparazione ai danni che sono stati inferti all’ambiente e non solo.

Da dove viene il nome?

Punk è ribellione. E anche per noi la ribellione è un elemento fondativo. Dentro il punk ci sono il Cyberpunk, quello di Blade Runner per capirci, e ci siamo noi, su un piano diverso.
Il termine solar intende un uso delle risorse naturali orientato alle rinnovabili. Il cyberpunk è oscuro, piovoso e distruttivo, il solarpunk ha immagini che in linea di massima hanno un’estetica solare, aperta e illuminata. Non siamo un movimento che vede tutto roseo, ma la ribellione non dev’essere per forza violenta.
La nostra non è un’utopia. Siamo distanti dall’utopia classica che è statica, siamo in continuo cambiamento, adattamento, aggiustamento. Pensiamo realisticamente che in maniera attiva e consapevole si possa riparare il futuro a vantaggio della maggior parte degli individui su questo pianeta. Il Solarpunk osserva il presente e immagina qualcosa che riesca a superare i danni fatti, in un mondo migliore per tutti.

Come avete riportato, sul piano del metodo, questa visione nella realtà italiana?

Ogni nazione ha le sue peculiarità per motivi geografici e di tradizione. Una molteplicità di visioni accomunate da basi simili. In Italia ci connotiamo come collettivo che si dedica soprattutto alla narrativa letteraria e artistica. Abbiamo esperti di cinema, arti figurative, letteratura.
Siamo la voce artistica di movimenti di attivismo globale. Solarpunk Italia naviga nella fantascienza immaginando qualcosa di costruttivo per il futuro, un approccio non distopico.
Ci siamo ritrovati a frequentarci tra persone che avevano la stessa visione. Franco Ricciardiello è stato colui che ha lanciato il dado coinvolgendo sempre più persone. 

Come sono le esperienze che pur essendo Solarpunk sono più distanti da voi? 

Possiamo considerare il Solarpunk come una voce interna di un attivismo generale. Non c’è nulla che sentiamo distante. C’è chi si concentra sulla collettività per marcare alterità rispetto all’individualismo dominante, in un processo che potremmo definire di decolonizzazione del sapere.
Vero, ogni nazione ha sensibilità proprie e una sua particolarità culturale, ma alla fine siamo parte di un unico insieme. 

Sul piano personale, da dove nasce la tua ispirazione a esserne parte attiva? 

Credo sia una naturale conseguenza di ciò che sono. La mia famiglia mi ha insegnato il rispetto, ma anche la ribellione attiva. Sono realista, ma non mi fermo mai al problema, provo a risolverlo.
Quattro anni fa ho scritto un racconto e ho scoperto di aver scritto un racconto Solarpunk. Mi definisco Solarpunk per caso, e quasi inconsapevole, soprattutto all’inizio del mio percorso. 

Qual è l’identità di una persona che si riconosce nel vostro movimento?

Dibattiamo molto su questo, anche all’interno del nostro collettivo, e non sempre siamo totalmente d’accordo.
La base è l’estremo rispetto dell’altro. In questo senso direi che la fiducia è fondamentale: è il perimetro dentro una molteplicità di visioni.
Abbiamo la convinzione di non poter incidere nel mondo pensando di sciupare, sprecare o distruggere quello che è intorno a noi. Abbiamo amalgamato le visioni anche scontrandoci, sul piano dialettico, ma ognuno di noi è convinto che non potremo rinnegare in toto e andare fuori dal seminato di quel che siamo. È un collante dentro il quale conduciamo le nostre battaglie. 

C’è chi è attento al consumo di carne, acqua, energia. Cerchiamo tutti di decrescere i nostri bisogni a volte troppo amplificati, in tutti i sensi.
Io ad esempio ho la fissa del linguaggio, delle parole giuste da usare. Cerco sempre di trovare i vocaboli che possano illustrare meglio tutte le alterità che il solarpunk cerca di abbracciare. Per esempio, dico abbracciare, non includere, perché l’inclusione comporta qualcuno che include, in una posizione di potere, e qualcuno che viene incluso.. 

Poi, siamo consapevoli che nell’attivismo c’è quello che io chiamo fuffagreen, anche conosciuta come greenwashing. Se si vogliono fare passi verso il miglioramento le persone sono ben accette, ma diffidiamo di chi vuole posizionarsi come solarpunk semplicemente dando una passata di pittura verde a qualcosa che poi è per sua natura legato alla tradizione capitalista.

Hai qualche consiglio di lettura o di ascolto o di visioni per chi volesse approfondire la vostra conoscenza?

Un’esperienza molto concreta è quella del Commando Jugendstil, che copre i muri vuoti delle città con poster che producono energia elettrica.
Unisce guerrilla marketing e art nouveau offrendo ai cittadini la possibilità di produrre energia in modo gratuito e rinnovabile, dando nuovo significato agli spazi urbani. Così rivoluziona il modo in cui la società è vista, partendo dal punto di vista dei cittadini stessi.
Il nostro sito – solarpunk.it – è un buon punto di riferimento, con i nostri articoli e la newsletter; lì ci sono i semi attraverso i quali proponiamo nuove riflessioni per immaginare qualcosa di alternativo e per partire da una visione onesta e trasparente di quella che è l’ispirazione di un movimento.
Poi sicuramente meritano di essere lette sia le proposte della collana Atlantis e sia i suggerimenti di lettura che offriamo.

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