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Raul Ciannella, da Mamut / Genealogía de la ciencia ficción y lo fantástico en las artes
traduzione dallo spagnolo di Franco Ricciardiello

La fantascienza è sempre stata, in una certa misura, legata a drastici cambiamenti nel rapporto degli esseri umani con il loro ambiente, soprattutto per quanto riguarda la manipolazione, la trasformazione e il controllo della natura nei suoi diversi significati. A partire dagli anni Sessanta, il genere ha nettamente svoltato verso le questioni ambientali, abbandonando sia l’ottimismo positivista e il feticismo tecnologico dell’anticipazione narrativa, sia l’espansione sicura e inarrestabile (leggi colonizzazione, sfruttamento) dell’universo della cosiddetta età dell’oro della fantascienza.

L’improvvisa sbornia che seguì l’ubriachezza consumistica degli anni Cinquanta e Sessanta, sul lato occidentale della “cortina di ferro”, rivelò i fallimenti del sistema capitalista e scatenò correnti critiche diverse ed eterogenee che scommettevano su un ripensamento del modello socio-economico dominante. Particolare rilievo, soprattutto tra gli anni Sessanta e Settanta, hanno avuto i discorsi su ecologia e ambiente, mentre sorsero organizzazioni come il Club di Roma, fondato nel 1968, che metteva in guardia sui pericoli dell’esaurimento delle risorse naturali, dell’inquinamento, della sovrappopolazione. e, più in generale, su tutte le azioni e pratiche umane che hanno influenzato negativamente il pianeta.

Di questi anni sono saggi come Silent Spring (1962) di Rachel Carson, Population Bomb (1968) di Paul Ehrlich, Il medioevo prossimo venturo (1971) di Roberto Vacca, Limits to Growth (1972) commissionato al MIT dal Club di Roma e Exploring New Ethics For Survival (1972) di Garrett Hardin. Il 1972 è anche l’anno in cui l’intellettuale francese André Gorz ha parlato per la prima volta di décroissance (decrescita), ponendo le basi per lo sviluppo dei diversi approcci teorici che difendono questo modello socio-economico.

La fantascienza ha assorbito, riprodotto e in diversi casi anticipato queste inquietudini, proiettandole nelle trame delle sue storie e inserendole nelle quattro sfumature ideologiche che, secondo Samuel Delany[1], colorano dialetticamente l’intero genere. Da un lato, “La Nuova Gerusalemme” – la società utopica, perfetta, incontaminata e tecnologicamente avanzata – e il suo rovescio “Il mondo nuovo[2]” – la società distopica, grigia e totalitaria. Dall’altra parte, “Arcadia” – una natura idilliaca e ordinata, il locus amœnus per eccellenza – e il suo contrario, “La terra delle mosche”[3] – una natura ostile, un deserto, il germe della malattia e della miseria.

Come nel simbolo del Tao, ciascuna estremità contiene il seme dell’altra; l’apocalisse ospita la possibilità di una genesi, un nuovo inizio; la città utopica incorpora i rischi dell’alienazione e del controllo dispotico. L’utopia e la distopia formano incroci e interrelazioni tra l’urbano e il naturale, configurando sia possibilità speculative che modi (ideologici, sensibili) di guardare la realtà. E la produzione narrativa, a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, si tinge senza dubbio di toni cupi e pessimistici, aggiungendo alla paura atomica e alle tensioni della guerra fredda, una preoccupazione crescente per il futuro del pianeta e del mondo. Tuttavia, gli avvertimenti e gli ammonimenti contenuti in queste opere furono in gran parte trascurati a partire dagli anni Ottanta, quando furono imposte le linee socio-economiche Reagan-Thatcher e del Washington Consensus: privatizzazione selvaggia, economia finanziaria senza vincoli, cultura edonistica, iperconsumismo e ultracapitalismo.

Dopo la caduta del muro di Berlino, anche i paesi dell’ex blocco sovietico aderirono, con maggiore o minore successo, al partito capitalista. E anche i paesi che si definiscono comunisti, come la Cina di oggi, non solo partecipano, ma sono anche diventati pezzi chiave della struttura neoliberista. Oggi, le conseguenze di tali politiche e di tali sistemi socio-economici sono palpabili a tutti i livelli, soprattutto quello ambientale, tanto che il termine Antropocene è comunemente accettato come definizione della nostra era. Il cambiamento climatico non è più una speculazione ma un processo tangibile e i suoi effetti sono palpabili, non solo nelle sue manifestazioni più evidenti, come i disastri ambientali sempre più frequenti, ma in tutti gli ambiti della vita: economia, flussi migratori, conflitti e tensioni sociali, lotte per le risorse, ecc.

In concomitanza, il rapidissimo sviluppo delle discipline scientifiche e delle applicazioni tecnologiche – come la biotecnologia e la nanotecnologia, l’intelligenza artificiale, la produzione e la trasmissione di informazioni istantanee e ubiquitarie, la virtualizzazione dell’esistenza, la robotizzazione del lavoro – richiedono una ridefinizione immediata di ciò che significa ESSERE umani oggi, nello stesso momento in cui cambiano le coordinate della nostra posizione nel mondo. Kim Stanley Robinson aveva dichiarato nel 2009 che il mondo era già un romanzo di fantascienza, un concetto ripreso e sviluppato nel saggio Green Planets: Ecology and Science Fiction (2014) curato insieme a Gerry Canavan.

I quattro estremi descritti da Delany si avvicinano sempre di più e diventano più urgenti. La fantascienza non racconta più storie del futuro ma di un quasi paradossale “presente prossimo”. Inoltre, i confini tra narrativa e dibattito critico, nella cosiddetta realtà, sono diventati porosi e l’una s’incrocia spesso con l’altro creando miscele interessanti. Donna Haraway in Chthulucene[4] difende questi mix come un arsenale di risorse per riconfigurare le nostre proprietà nel presente. Afferma che non è più il momento di immaginare futuri apocalittici o desiderare un passato idilliaco, ma di rimanere nel presente per reimmaginare e ricodificare l’Atropocene o il Capitalocene nell’era che l’autrice chiama Chthulucene; un’epoca che ci spinge a “restare a contatto con il problema” e a cercare soluzioni che garantiscano i diversi significati della fantascienza: “FantaScienza, Fabula Speculativa, Figure di Stringa[5], Femminismo Speculativo, Fatto Scientifico”. La filosofa Rosi Braidotti si muove sulla stessa linea, proponendo in The Posthuman (Polity Press, Cambridge, 2013) la teoria critica del postumano come procedimento metodologico per abbandonare il concetto di uomo umanista (eurocentrico, antropocentrico, macho) e andare verso un nuova soggettività che tiene conto delle diverse connessioni e interrelazioni tra “molti altri” ed estende le relazioni con altre specie e con altre possibilità scientifico-tecnologiche, possibilità che la narrativa fantascientifica ha esplorato e continua ad esplorare abbondantemente.

Date queste premesse, non possiamo non considerare la fantascienza come il genere oggi più direttamente impegnato nelle sfide, nei problemi, ma anche nelle opportunità del mondo contemporaneo, che comprende l’ambiente, la società, la cultura, l’economia e la politica come pezzi di una struttura interdipendente, e che è in grado di analizzarli criticamente e proporre alternative anche all’interno di un quadro estetico. In questo senso, la fantascienza configurerebbe una sorta di ultra-realismo, un genere che, come sostengono K.S. Robinson e G. Canavan, è più simile al mondo, così come lo viviamo oggi, di qualsiasi altro “realismo storico” e che è, finalmente, a mille anni luce dal ghetto e dalla mera nostalgia antiquaria dove troppo a lungo si è crogiolata.

Traduzione dallo spagnolo di Franco Ricciardiello

Raul Ciannella è condirettore insieme a Maria Antònia Martí di Mamut , rivista dell’Università autonoma di Barcellona, dipartimento di filologia spagnola; il sottotitolo Genealogía de la ciencia ficción y lo fantástico en las artes indica il contenuto di questa rivista semestrale dedicata a fantascienza, fantasy e terrore, che pubblicò sei numeri cartacei di circa cento pagine ciascuno, tra il 2015 e il 2018. Ciannella ha scritto su Roberta Rambelli, ha vinto il Premio Short Kipple 2018 e tradotto in italiano i racconti di Cuerpos, Fantascienza contemporanea spagnola e latinoamericana (Future Fiction 2020).


Note

[1] Samuel Delany, The jewel-hinged Jaw: Notes on the language of science fiction, 1977; inedito in Italia.

[2] Distopico in riferimento a Brave New World di Aldous Huxley, reso in italiano come “Il mondo nuovo” e in spagnolo come “El mundo feliz” [NdT]

[3] In riferimento a The Lord of Flies, naturalmente, “Il signore delle mosche” di Willliam Golding [NdT]

[4] Donna Haraway, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto (Staying with the Trouble: Making Kin in the Chthulucene, 2016), Produzioni Nero 2019

[5] Nell’originale inglese di Donna Haraway “string figures”, quelle che si creano con il gioco cat’s cradle, in italiano ripiglino o gioco della matassa, che si fa con le dita delle mani e una corda.

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