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Silvia Treves

testo aggiornato con dati di dataroom Gabanelli M., Offeddu L., Tortora F. in Corriere della Sera 29/01/2024, p. 23


La COP (Conferenza delle Parti) è un grande evento annuale a tema ambientale, organizzato dalle Nazioni Unite fin dal 1995. Vi partecipano i 197 Paesi firmatari della Convenzione quadro dell’ONU sui cambiamenti climatici più la Ue, con l’obiettivo grandioso e generico di salvare il pianeta. Non sempre questi Paesi sono disponibili a lavorare in sintonia: per esempio, dopo la Cop3, quella del protocollo di Kyoto, gli Usa, nel 1990 responsabili del 22,6% delle emissioni di CO2, ritirarono l’adesione all’accordo che prevedeva obblighi solo per i Paesi sviluppati, cioè i maggiori inquinatori.

1. I partecipanti

Alla Cop28 di Dubai hanno partecipato 83.884 persone: leader politici mondiali, ministri, funzionari governativi, tecnici, giornalisti, attivisti e rappresentanti di Ong e di Popoli Indigeni. Ma anche lobbisti dei combustibili fossili: a Dubai erano 2456, il quadruplo rispetto a quelli della Cop27.

Gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno nominato Presidente dell’evento il loro attuale ministro dell’industria, Sultan Al Jaber, amministratore delegato di Adnoc, la grande azienda petrolifera statale degli Emirati.

Gli EAU sono un petrostato, cioè un Paese la cui economia è basata sull’estrazione e la vendita di combustibili fossili. Il conflitto di interessi tra Emirati, scopi della Cop28 e il Presidente ha molto preoccupato attivisti e politici vicini all’ambientalismo; il «Guardian» l’ha riassunto definendo Al Jaber “l’uomo del petrolio a cui viene chiesto di salvare il pianeta”.

Il conflitto è esploso pochi giorni prima dell’inizio della Cop28, quando Sultan Al Jaber ha dichiarato:

Nessuna scienza dimostra che un’uscita dai combustibili fossili è necessaria per limitare il riscaldamento globale a 1,5° C sopra i livelli preindustriali. Dire addio al petrolio vorrebbe dire tornare al tempo delle caverne”.

Affermazioni degne di un negazionista climatico, che Al Jaber ha poi tentato di attenuare:

“Rispetto la scienza in tutto ciò che faccio e le mie affermazioni sono state travisate e riportate fuori dal contesto in cui sono state pronunciate”.

Secondo Al Gore “era solo questione di tempo prima che venisse smascherato il suo assurdo travestimento per nascondere il più sfacciato conflitto di interessi nella storia dei negoziati sul clima”.

2. Gli strumenti

“il Global Stocktake (GST) – letteralmente Bilancio Globale – è il meccanismo di valutazione dei progressi ottenuti a livello globale nella risposta alla crisi climatica […] Gli obiettivi del GST sono suddivisi in tre categorie:

  • mitigazione;
  • adattamento;
  • mezzi di attuazione e sostegno – ovvero, la finanza per il clima.[1]

La mitigazione agisce sulle cause della catastrofe climatica (per esempio la quantità dei gas serra in atmosfera) aumentando l’uso delle fonti rinnovabili e diminuendo quello delle fonti fossili, o aumentandone lo stoccaggio salvaguardando le aree forestali sane e ricche di biodiversità.

L’adattamento, invece, incide sulle conseguenze della crisi climatica, come l’innalzamento del livello del mare – contrastato erigendo barriere per difendere le coste – o come gli eventi estremi sempre più frequenti: incendi, alluvioni, tempeste.

Le due azioni dovrebbero andare di pari passo, ma puntare tutto sull’adattamento è come rassegnarsi ad avere già perduto.

La finanza per il clima, infine, riguarda le azioni di sostegno ai Paesi maggiormente colpiti dalla crisi climatica.

Ora più che mai, dobbiamo puntare a eliminare le fonti fossili. Eppure, da quando è in atto una politica globale per contrastare il riscaldamento del pianeta, le emissioni di gas serra sono aumentate a un ritmo mai registrato in precedenza:

“tra il 1990 – anno base del Protocollo di Kyoto – e il 2019 è stata emessa più CO2-equivalente di quanta ne sia stata emessa tra il 1750 e il 1990”.[2]

Infatti, “i combustibili fossili continuano a fornire oltre l’80% dell’energia globale”.[3]

3. Hanno vinto le aziende del fossile

Per gli ottimisti, a Dubai sono stati fatti dei passi avanti: dopo trent’anni di silenzio, i combustibili fossili sono stati nominati e perfino citati nel documento finale. A prezzo, però, di un significativo compromesso: nonostante quasi 130 Paesi su 198 ne richiedessero il phase-out (eliminazione graduale), le resistenze dei produttori di petrolio non l’hanno permesso. I lobbisti hanno fatto un ottimo lavoro.

Il documento finale, infatti, si limita a invitare, senza fissare tempi, modalità e regole, e questo termine così blando ha sostituito l’altro – eliminazione graduale ma definitiva delle fonti fossili – usato ufficiosamente durante i lavori. Tutti i Paesi potranno scegliere il modo in cui ridurle, dovendo solo rispettare la data 2050 per arrivare a zero emissioni. Ma come fare, visto che l’accordo non è vincolante e non ne limiterà la ricerca, l’estrazione e l’utilizzo?[4]

Commenti in proposito

La Iea [Agenzia Internazionale dell’Energia] ha chiesto fermamente al settore di prendere almeno tre iniziative cruciali:

1. ridurre le emissioni che derivano dalle operazioni di estrazione, lavorazione e trasporto di gas e petrolio;
2. investire molto di più nel settore delle energie pulite;
3. smettere di nascondersi dietro false promesse di sostenibilità come le tecnologie di cattura e sequestro della CO2 su larga scala.[5]

Secondo Luca Mercalli, nel documento finale sono assenti cronoprogrammi e impegni stringenti e non vengono formalizzati tassi e tempistiche della transizione fuori dal fossile.

Il geologo del CNR e divulgatore scientifico Mario Tozzi ha osservato che sono necessari “provvedimenti strutturali, obbligatori e tempestivi, e non più negoziabili”, come vietare nuove trivellazioni da subito o eliminare i sussidi pubblici alle compagnie produttrici di petrodollari.

Per Bill Hare, amministratore delegato di Climate Analytics, il GST è

“una grande vittoria per i paesi produttori di petrolio e gas e per gli esportatori di combustibili fossili”.[6]

Lo dimostra il comportamento quantomeno contraddittorio di diversi Paesi partecipanti: negli Usa, già il principale produttore di petrolio al mondo, l’amministrazione Biden ha approvato un nuovo progetto di petrolio e gas in Alaska e sta effettuando vendite di leasing offshore nel Golfo del Messico. Il Regno Unito ha concesso la licenza per nuove operazioni di trivellazione nel Mare del Nord. L’UE ha preso d’assalto l’Africa per firmare accordi per assicurarsi il gas dal continente.

Non sono i soli, anche l’Italia si è fatta sentire: il 6 ottobre aveva firmato un contratto con Adnoc da 17 miliardi di dollari, […] per lo sfruttamento di due giacimenti offshore di gas (Hail e Ghasha). “1° dicembre 2023. l’Italia dona 100 milioni per i danni causati da quel contratto” scrive il giornalista ambientale Ferdinando Cotugno.[7]

4. Nucleare sì o no?

Alla Cop28 si è parlato anche di energia nucleare come alternativa alle fonti fossili: 22 nazioni partecipanti, inclusi gli EAU, si sono impegnate a triplicarne la produzione entro il 2050.

Eppure, solo parte della tecnologia dei reattori “sicuri” di IV generazione è stata introdotta in reattori sperimentali. Le ipotetiche date di commercializzazione vanno dal 2030 al 2035-40. In proposito, Luca Mercalli ha affermato che il nucleare è:

“troppo lento e costoso, un progetto pachidermico che non riuscirà ad abbattere le emissioni nei tempi a noi necessari”; consente di riaprire grandi cantieri molto convenienti per pochi soggetti, mentre le energie rinnovabili sono “molto più democratiche e diffuse sul territorio”.

5. Chi ha perso?

Paesi in via di sviluppo e piccole isole

Nel testo finale della Cop27 (Egitto, 2022) fu inserito un fondo denominato “perdite e danni” (loss & damage, l&d), volto a risarcire i Paesi più colpiti dalla crisi climatica e che meno hanno causato il riscaldamento globale. Fu il riconoscimento significativo di tre fatti ora indiscutibili: 1. il cambiamento climatico ha già provocato danni; 2. i danni vanno risarciti; 3. risarcirli spetta ai Paesi più inquinatori. Proprio su quest’ultima frase si regge il principio di giustizia climatica, dovuto ai dati seguenti:

Nord America, Europa e Asia sono responsabili di circa un terzo ciascuno (più del 90% del totale) delle emissioni storicamente rilasciate in atmosfera, mentre l’intero continente africano, per esempio, ne ha prodotte solo il 3%.

Molte nazioni in via di sviluppo, in Africa e altrove, hanno sottolineato l’ipocrisia dei paesi occidentali che continuano ad espandere la loro estrazione di petrolio e gas mentre chiedono agli altri di non imboccare quella strada.8

Hanno ragione da vendere, come abbiamo visto nel paragrafo 3.

Del fondo l&d (che non va confuso con le grandi cifre necessarie per l’adattamento) si è riparlato il primo giorno della Cop28. I vari Paesi industrializzati hanno stanziato una cifra complessiva di oltre 700 mln $, di cui soltanto 17,5 mln offerti dagli Usa.

Purtroppo, il costo annuale effettivo di l&d legati al clima nei Paesi in via di sviluppo va dai 100 ai 580 miliardi di $. Il range è ampio perché le valutazioni divergono ma, calcolando un valore medio fin troppo ottimista, le perdite e i danni reali sono quasi 500 volte maggiori delle “donazioni”.[8]

Fino a quando continueremo con le fonti fossili, i 39 piccoli Stati insulari subiranno i costi maggiori. A Dubai, i delegati appartenenti alla loro Alleanza (Aosis) hanno affermato che, senza una immediata eliminazione graduale dei combustibili fossili, il testo finale sarebbe stato “un certificato di morte”.

Produttori alimentari

La Cop28 ha anche intavolato il tema del cibo. Era ora.

Infatti, il modo in cui il cibo viene prodotto, consegnato e smaltito (o sprecato) rappresenta un terzo delle emissioni di gas serra, l’80% della produzione alimentare è sostenuta da combustibili fossili e l’agricoltura è la principale causa di perdita di biodiversità.

L’esperto di sistemi alimentari Florian Kroll ha affermato che la dichiarazione della Cop28 sull’agricoltura sostenibile ha fallito, particolarmente rispetto all’Africa:

“Non vi è alcun impegno a decarbonizzare i sistemi alimentari, a disinvestire dalle industrie dei combustibili fossili o a passare alle energie rinnovabili. Non vengono menzionate le misure per frenare i monopoli […] La maggior parte delle emissioni africane di gas serra legate alla fornitura di cibo sono causate dalla deforestazione e dalle emissioni delle aziende agricole.”

Tra i problemi principali, Kroll indica:

“le potenti lobby dell’industria dei combustibili fossili, dei fertilizzanti e delle sementi, la mancanza di accesso alla terra e alle risorse da parte della gente comune, la diffusa disuguaglianza, la povertà e la disoccupazione”; e l’Organizzazione Mondiale del Commercio che “è al centro dell’attuale regime alimentare neoliberista”.

La Cop29 si terrà in Azerbaigian, terzo petrostato dopo Egitto ed Emirati. Il suo Pil dipende per il 50% dall’esportazione di fonti fossili. Il Presidente sarà Mukhtar Babayev, ministro dell’Ambiente, ex dirigente di Socar, società statale produttrice di petrolio e gas. L’Azerbaigian prevede entro il 2033 l’aumento di un terzo della produzione di gas.

Silvia Treves

Note

[1] https://eccoclimate.org/it/global-stocktake/?

[2] Emanuele Leonardi, in  https://jacobinitalia.it/lera-della-convergenza-tra-lavoro-e-clima/?

[3] https://www.eenews.net/articles/climate-summit-makes-historic-progress-but-the-world-still-cant-quit-oil/?

[4] https://ilbolive.unipd.it/it/news/cop28-inizia-transizione-molte-concessioni-alloil?

[5] https://ilbolive.unipd.it/it/news/cop28-momento-verita-lindustria-combustibili

[6] https://www.valigiablu.it/cop28-clima-progressi-cosa-fare/?

[7] https://ilbolive.unipd.it/it/news/cop28-approvato-fondo-loss-damage-troppo-fretta

[8] https://www.renewablematter.eu/articoli/article/cop28-ha-istituito-fondo-loss-and-damage

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