Sarena Ulibarri, da Strange Horizons, marzo 2020
traduzione di Franco Ricciardiello
All’inizio degli anni ’90, i miei genitori si trasferirono in un ranch nel Wyoming per prepararsi alla fine del mondo. I “Catastrofici cambiamenti”[1] stavano arrivando, mi disse mia madre, citando le profezie di sconvolgimenti geologici e climatici dai libri di Edgar Cayce e Lori Toye. Il mondo stava per cambiare radicalmente, e l’unico modo per sopravvivere quando il sistema intorno a noi andava in pezzi era allontanarsi dalla città e tornare alla terra, reimparare a coltivare il nostro cibo.
Non è come se fossimo entrati in una setta o avessimo fondato una comune, anche se forse avremmo dovuto. Le cose sarebbero potute andare diversamente durante quegli anni in campagna se fossimo stati circondati da persone che condividevano una visione comune del futuro.
Trasferendoci nel Wyoming, mia madre immaginava un futuro di grandi sconvolgimenti e cercava di creare un modo migliore per vivere in quel tipo di mondo. Conoscendo questa parte della mia storia, non dovrebbe sorprendere il fatto che mi sia sentita attratta dal solarpunk, una fantascienza di nicchia che immagina come potremmo creare un mondo migliore nonostante i cambiamenti climatici. Piuttosto che un puro movimento di ritorno alla terra, il solarpunk immagina un equilibrio tra natura e tecnologia, un futuro in cui la tecnologia potrebbe effettivamente aiutare a salvare il mondo, o ciò che ne resta. Ad esempio, trasportare animali in via di estinzione su dirigibili, come in New York 2140 di Kim Stanley Robinson, o proteggere intere città da condizioni meteorologiche estreme con cupole high-tech come in Implanted di Lauren C. Teffeau, o ricostruire terreni danneggiati con ecobot, come in Wilders di Brenda Cooper. Il solarpunk è un genere letterario, ma è anche una comunità di persone con una visione condivisa del futuro, molte delle quali stanno apportando cambiamenti nel modo in cui vivono, e pensano di lavorare per quel futuro.
I miei ricordi d’infanzia del nostro ranch del Wyoming sono per lo più positivi, spesso incentrati sugli animali che abbiamo allevato e l’orto. Naturalmente, non mi sono resa conto fino a molto tempo dopo che il vero motivo per cui le mie lezioni di ballo dopo la scuola erano a 70 miglia di distanza era perché mia madre potesse consegnare le scartoffie per il suo terzo lavoro part-time. Non mi rendevo conto che quando mio padre era via per un paio di settimane alla volta, in realtà stava lavorando a Denver e mandava denaro “a casa”. Neppure che la loro relazione fosse difficile anche prima del trasloco.
Solo un paio d’anni dopo aver comprato il ranch, hanno divorziato. Vendettero gli animali e lasciarono l’orto, cessarono di lavorare per quella particolare visione del futuro. Catastrofici cambiamenti potrebbero ancora essere in arrivo, ma avremmo dovuto affrontarli come chiunque altro.
Ora ho quasi la stessa età dei miei genitori allora, e sembra che il mondo stia finendo. Non lo è, ovviamente, ma scrivo questo nel bel mezzo della pandemia di Covid-19. Mio marito e io ci siamo fatti prendere dal panico: disinfettante per le mani, carta igienica e prodotti in scatola ,proprio come tutti gli altri. La gente ha spazzato via interi scaffali per il timore di rimanere per settimane bloccati in casa. Le guardie di sicurezza limitano il numero di persone ammesse a entrare nei negozi di alimentari e si razionano articoli molto richiesti, come salviettine disinfettanti e medicine per il raffreddore. Le scuole vengono chiuse, gli eventi cancellati, i lavoratori rimandati a casa. I luoghi normalmente affollati e animati sono abbandonati. Nonostante il piacevole clima primaverile, questo assomiglia molto a quello che la fantascienza ci ha mostrato essere l’inizio di un’apocalisse.
Come molte altre città, la mia è ora sotto coprifuoco, il che significa che le persone possono lasciare casa solo per assistenza sanitaria, emergenze e rifornimenti. Anche prima che la restrizione diventasse ufficiale, ho cercato di rimanere a casa il più possibile, per evitare di diventare un vettore di malattia nella mia comunità. Andare in pubblico in questo momento è stressante, cercare di evitare di toccare porte o superfici, come un contorto gioco a “il pavimento scotta”. Ho il privilegio di poter restare a casa, di poter comprare una cucina piena di generi alimentari. Ma mi sono resa conto, fissando tutti i cibi in scatola e surgelati nella nostra cucina, che in questa strana sequenza temporale in cui mi sono trovata, ottenere prodotti freschi sarà molto più difficile e molto meno frequente. All’improvviso, le persone che possiedono orti sul retro o sul balcone mi sembrano piuttosto intelligenti.
Quindi una delle cose che ho comprato in preda al panico è stato un piccolo impianto da orto in interni. Ha luci a LED temporizzate e promette di avvisarmi quando avrà bisogno di acqua e fertilizzante. Questo supporto tecnologico mi attira perché non ricordo come coltivare nulla. Avevamo un orto di mezzo acro nel Wyoming, ma erano decenni fa e quasi mille miglia di distanza. Sono così fuori dal contatto con la natura che riesco a malapena a mantenere in vita una pianta d’appartamento, tanto meno qualcosa che potrei essere in grado di mangiare.
Eppure il giardinaggio è una delle prime abilità che di solito hanno miei protagonisti, soprattutto quando immagino un mondo colpito dal cambiamento climatico. Di solito immagino il futuro in cui l’agricoltura su intensiva su larga scala ha fallito e le coltivazioni si sono spostata nelle città, verso fattorie verticali al coperto o orti comunitari, dove i prodotti (o persino il bestiame) vengono coltivati in modo più locale e sostenibile perché un sistema alimentare decentralizzato potrebbe diminuire sia l’impatto di carbonio che i costi. Immagino ranch che si affidino ad app, bot e droni perché la tecnologia ha già un impatto sul modo in cui il cibo viene coltivato, raccolto e distribuito, e sicuramente interverranno ulteriori cambiamenti man mano che le condizioni si fanno estreme.
Ho comprato questo piccolo giardino high-tech per paura, immaginando un futuro prossimo in cui potrei non essere in grado di uscire di casa per ottenere verdure fresche, o quando la catena di approvvigionamento sarà così stressata che semplicemente non saranno disponibili. L’ho comprato perché ricordavo il giardino di mia madre nel Wyoming, ma non ho terra da coltivare. E l’ho comprato anche perché il solarpunk mi ha ricordato che si può coltivare in proprio il cibo, che possiamo coltivare qualcosa piuttosto che comprarlo, che la tecnologia può aiutarci a reindirizzare la traiettoria del mondo. Questo è il mio orto urbano al coperto in miniatura, e mi fa sentire come se potessi avere un certo controllo sul mio futuro quando tutto il resto sembra così lontano dal mio controllo.
Molto prima di concepire la coltivazione di orti nelle pianure post-apocalittiche del Wyoming, mia madre immaginava un diverso tipo di futuro: quello in cui regnavano l’amore e la pace. Al college era una figlia dei fiori – non una hippie, come dice a ragione – parte di un gruppo di spiriti liberi che si opponevano al conformismo in cui erano stati allevati, chiedendo un mondo senza guerra e odio. Il movimento è iniziato a San Francisco, ma mia madre viveva in Oklahoma, a mezzo continente dall’epicentro.
Nel 2018 ho portato mia madre a visitare San Francisco per la prima volta. La WorldCon[2] era a San José quell’anno e avevo chiesto il suo aiuto per gestire il banco vendite per la mia piccola casa editrice[3], promettendole che avremmo giocato un po’ ai turisti prima che iniziasse la convention. Abbiamo mangiato in un ristorante proprio all’angolo tra Haight street e Ashbury street, cercando le case dove vissero Janis Joplin e i Grateful Dead, passeggiando per il parco dove è nacque la Summer of Love. Le piaceva vedere quei posti, ma provava anche un profondo cordoglio quando finalmente si ritrovò a “Hippie Hill”[4], da sola e in ritardo di cinquantun anni. Era in lutto per il suo passato e la sua giovinezza, e per il futuro che questo movimento avrebbe voluto creare, e che per varie ragioni non è stato.
Quando le persone sentono parlare per la prima volta del movimento solarpunk, una reazione comune è qualcosa del tipo “Sembra un mucchio di stronzate hippie”. Di solito siamo pronti a difenderci, a cercare di prendere le distanze, a spiegare come questo movimento sia diverso. Ma lo è davvero? Molti dei valori e dell’estetica del solarpunk derivano direttamente dai valori e dall’estetica della controcultura degli anni ’60. I solarpunk danno valore alla cultura dei maker rispetto al materialismo capitalista, partecipano a proteste e marce, respingono la tradizionale narrativa secondo cui guerra e distruzione sono inevitabili. Le storie solarpunk sono spesso ambientate in comuni rurali o in comunità aperte a diverse espressioni di genere e di struttura familiare. Gli hippy – scusa, mamma, i figli dei fiori – mettevano fiori nelle canne delle armi per protestare contro la violenza; i solarpunk lanciano bombe-seme per protestare contro la distruzione ambientale. Le persone negli anni ’60 vivevano sotto l’incombente inevitabilità della guerra nucleare, allo stesso modo in cui viviamo ora sotto l’incombente inevitabilità del cambiamento climatico. Anche l’uso dell’Art Nouveau come pietra di paragone estetica abbellisce sia le copertine delle fanzine solarpunk che i poster rock psichedelici degli anni ’60.
Non viviamo nel futuro che mia madre immaginava negli anni ’60, non più di quanto viviamo nel futuro che immaginava negli anni ’90. Ma quel movimento di cui faceva parte ha fatto la differenza. Non il cambiamento rivoluzionario che volevano, ma un cambiamento che continua a influenzare la cultura americana mezzo secolo dopo. Quindi, sì, forse il solarpunk è la prossima evoluzione, l’espressione più recente di ciò che è iniziato allora. Quando il mondo sembra condannato, immaginare un futuro migliore è un atto radicale, e sia gli hippy che i solarpunk hanno l’audacia di farlo. Potremmo non ottenere la piena rivoluzione verde che vogliamo, ma anche un leggero cambiamento di traiettoria sarebbe una vittoria.
Durante i primi giorni dopo l’annuncio dei casi di Covid-19 in New Mexico (dove vivo adesso), le persone intorno a me continuavano a dire cose come: “Sembra proprio fantascienza”. E questo è. Abbiamo visto questo tipo di scenari nei film e nelle storie perché la fantascienza è bravissima a proiettare ciò che potrebbe andare storto. Ma ciò che non sempre mostra è il modo in cui le persone possono essere gentili durante le crisi, i modi in cui possiamo crescere e cambiare insieme quando le circostanze cercano di separarci. Abbiamo tutti paura, ma ci sono vari modi per affrontarla. Ho imparato che non sono l’unica che affronta questa crisi piantando un orto.
Con il lockdown dell’umanità, stiamo assistendo a notevoli riduzioni dell’inquinamento atmosferico e idrico. Cerchiamo di essere chiari: questi aspetti positivi ambientali non stanno accadendo perché le persone muoiono, ma perché c’è un ingranaggio bloccato nella macchina capitalista. È ancora in funzione, ovviamente, ma non a pieno regime. Ci sono volute solo poche settimane per vedere l’impatto ambientale della riduzione dei viaggi e della produzione in serie, strategie di mitigazione che gli scienziati del clima consigliano da anni. Il futuro sembra compresso in questo momento. Tutto sta cambiando così velocemente che è difficile guardare alla prossima settimana, tanto meno al prossimo anno, al prossimo decennio, al prossimo secolo. Ma una volta che questa pandemia sarà finita, dovremo ancora affrontare la crisi del cambiamento climatico in corso. E proprio come questa malattia, il cambiamento climatico non colpirà tutti allo stesso modo. Alcuni moriranno, altri si riprenderanno; molti dovranno fare cambiamenti scomodi nelle loro vite.
I Catastrofici Cambiamenti devono ancora arrivare. Sono già in corso, ma non nel modo drasticamente apocalittico suggerito dai libri di mia madre. C’è uno strano conforto nell’idea dell’apocalisse. È più facile pensare che la lavagna verrà cancellata da un disastro improvviso piuttosto che studiare la graduale diffusione di una pandemia o il costante avanzamento del livello del mare in aumento. Allora cosa faremo quando ci renderemo conto che il mondo non è finito? Che tipo di futuro costruiremo dai disastri che viviamo? Non so come sarà il mondo quando raggiungerò l’età di mia madre. Tutto quello che so per certo è che, finalmente, ho piantato dei semi e forse presto inizieranno a crescere.
Traduzione di Franco Ricciardiello
Sarena Ulibarri è diplomata nel 2014 al Clarion Workshop per aspiranti scrittori di fantacienza e fantasy. Ha pubblicato racconti in diverse antologie di science fiction, tra cui Biketopia; un suo racconto è tradotto anche in italiano in Solarpunk. Come ho imparato ad amare il futuro ed. Future Fiction). Attualmente, oltre che curatrice di antologie, è direttrice editoriale di World Weaver Press, una piccola casa editrice del New Mexico specializzata anche in letteratura solarpunk.
Illustrazione in evidenza di Asher Ben Alpay, Dumaguete Filippine)
Note
[1] “Earth changes” è una locuzione del sensitivo statunitense Edgar Cayce (1877-1945) che preconizzò catastrofici cambiamenti per il nostro pianeta, come la scomparsa di Giappone e Nord Europa, esondazioni e altro in conseguenza di cambiamenti climatici [NdT].
[2] Convention mondiale della fantascienza [NdT].
[3] La World Weaver Press [NdT].
[4] Parco conosciuto con questo nomignolo perché è nata qui la Summer of Love [NdT].
Cos’è il solarpunk: leggi il manifesto
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