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AA.VV. Bâtir aussi, ed. Les ateliers de l’Antémonde, 2019

Nel 2011, la Primavera araba ha dato il via ad altre rivolte. Un movimento globalizzato si sta diffondendo: è l’Haraka. La produzione industriale, gli Stati e tutte le gerarchie stanno vacillando, dinamiche popolari si scontrano per rispondere alle esigenze di sopravvivenza e per progettare un futuro abitabile.
Nel 2021, comunità libere fioriscono sulle rovine del sistema. Come convivere con l’eredità del’Antémonde (mondo anteriore)? Come trattare gli oggetti e le conoscenze di un’epoca che ha lasciato tenaci tracce? Gli haraki progettano la loro vita quotidiana in base alle risorse e ai sogni. Dalle dinamo ai riti funebri, dalle lavatrici alle assemblee, questi racconti di anticipazione politica non raccontano di un’utopia calata dall’altro, ma di routine collettive che si confrontano con la materia, con ciò che resiste nella testa delle persone, costruendo un mondo che ambisce a essere libero dalle dominazioni.

Dalla quarta di copertina

La storia si svolge in Francia nel 2011 – l’inizio dell’Haraka, gli eventi rivoluzionari che hanno avuto luogo con le primavere arabe – e continua nel 2021, in un mondo radicalmente cambiato, dove comuni autonome fioriscono sulle rovine del sistema precedente. Diversi racconti, diverse ambientazioni, diversi personaggi, diverse epoche, diversi punti di vista. Una storia che riflette sulla comunità, sugli spazi ripensati, sull’indipendenza, sul rinnovamento di un sistema a misura d’uomo. Una storia che alimenta la rivolta, l’immaginazione, l’impegno politico e sociale.

Nel 2012 avevo quindici anni ed ero bloccato dai miei genitori. La mia vita era su una piccola nuvola. Coccolata da mamma e papà, una famiglia protestante ben integrata; studentessa della Scuola Internazionale, sognavo un bel matrimonio e una carriera da diplomatica. Avevo un bagno, una stanzetta mia e una visione molto ingenua del mondo… Non vedevo la rivoluzione in arrivo. Non capivo nulla di questi scioperi e blocchi e facevo zapping quando passavano in televisione. In ogni caso, non avevo legami con nessuno dei contestatori e non ero particolarmente interessata. È stato solo dopo l’estate del 2012, con la cancellazione dell’inizio dell’anno scolastico in tutta la Svizzera francese, che ho capito che la vita normale era finita. Mi sono improvvisamente resa conto che stava accadendo qualcosa di storico nel mondo e nella mia vita, un cambiamento che non poteva essere invertito. È stata una scoperta improvvisa, violenta e sconcertante.


A chi già conosce l’ambiente dell’attivismo, questo libro sembrerà abbastanza familiare. Un sacco di dialoghi tra persone che non sono necessariamente della stessa opinione per alimentare il dibattito e costruire diverse strade possibili, per pensare all’inclusione più ampia possibile, per tenere conto delle diverse esigenze, per fare la parte tra ciò che è possibile e ciò che non lo è, per mettere in comune le qualità e i punti di forza di ciascuno, per ripartire quando c’è una deriva… Insomma, una storia che si immerge direttamente nel cuore dell’azione, come se fossimo lì. Non vuole moralizzare o farvi sentire in colpa, ma aiutarvi ad andare avanti.

Il libro è dedicato “A Ursula K. Le Guin, che ha aperto la strada alle utopie ambigue”

Ateliers de l’Antémonde è stato fondato da attivisti del femminismo e dell’anticapitalismo che usano l’immaginario e la scrittura come strumento per rivoluzionare le mentalità, immaginare un futuro che eviti il catastrofismo e la negazione delle tecnologie e proponga invece soluzioni concrete per uscire dall’impasse in cui ci stiamo dirigendo a causa della grande industria. È un laboratorio per la creazione di immaginari entusiasti e critici del complesso tecno-industriale. Una narrativa alternativa che sia il più possibile vicina alla realtà (e agli esseri umani) e che sostenga la comunità, l’impegno militante e la ripresa del controllo della vita quotidiana. Gli autori, appassionati di tinkering[1], sono alla ricerca di strumenti per sovvertire lo stato delle cose, per sviluppare prospettive rivoluzionarie e antiautoritarie. Sperimentano a più mani la fantascienza per uscire da un presente bloccato, attingendo alle loro pratiche di lotta e di vita collettiva. Insieme, cercano di tirare i fili del presente per disegnare una rete di futuri possibili, persino desiderabili.

Il libro Bâtir aussi (in italiano si può tradurre come “Costruire, anche”) è scritto con una scrittura inclusiva.

Atelier de l’Antémonde si presenta così:

Siamo ostili alla sacralità della Natura, particolarmente diffusa nei movimenti critici verso il capitalismo industriale. Questo fenomeno promuove nozioni di autenticità, di armonia uomo/natura, di una binarietà tra processi cosiddetti “naturali” (necessariamente buoni) e “artificiali” (e quindi corrotti). Questo approccio implica l’esistenza di una natura umana originaria, alienata dalla tecnologia e dal capitalismo, che potremmo recuperare rompendo le nostre catene… Al contrario, riteniamo che non esista una forma pura o autentica di essere umano, ma che siamo il frutto di una continua costruzione sociale, che intreccia i vincoli dei nostri ambienti, le nostre storie e le nostre lotte, sempre condizionati dai nostri immaginari soggettivi e collettivi. Rifiutiamo l’idea di una divisione Natura/Cultura che detta ciò che è normale o anormale basandosi su un argomento di autorità che vieta qualsiasi sovversione dell’ordine stabilito, il famoso “la natura vuole così”.

Franco Ricciardiello

Note

[1] il tinkering è una forma di apprendimento informale in cui si impara facendo. L’alunno è incoraggiato a sperimentare, stimolando in lui l’attitudine alla risoluzione dei problemi.

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