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recensione di Riccardo Muzi
Trama:

Nel 2002 l’antropizzazione raggiunge la massima estensione sulla Terra non lasciando più spazio a piante e fiori. Prima della sua definitiva scomparsa, la vegetazione viene trasferita in gigantesche cupole geodetiche installate su di alcune astronavi. Nella Valley Forge, uno dei natanti spaziali adibiti al salvifico trasporto, Freeman Lowell ha il compito di assistere la micronatura sopravvissuta. Quando arriva l’ordine di eliminare le cupole per riconvertire le astronavi nel commercio interplanetario, Freeman non riuscirà a liberarsi di ciò che per lui è diventata l’unica ragione di vita.    

Commento:

Bosco verticale, orizzontale o forse obliquo? Quando avremo finito con tutte le collocazioni più insolite, passeremo al bosco nello spazio? In realtà, anzi nella finzione, o meglio, nella realtà della finzione, all’interno delle cupole spaziali della Valley Forge è presente un vero e proprio ecosistema in scala ridotta, altro che alberelli e piante rampicanti sui balconi di un grattacielo da upper class. Ma lasciamo il poco digeribile presente e torniamo al futuro del 2022, facendo anche un piccolo salto nel passato: Silent running (titolo originale) fu partorito nel 1972, dopo l’Odissea di Kubrick, con la quale, in Italia, si tentò un forzato collegamento, suggerito esclusivamente da nostrane questioni di marketing. L’unico trait d’union fra i due film è Douglas Trumbull che lavorò agli effetti speciali di 2001 e qualche anno dopo vestì i panni del regista per Silent Running. Il vero sequel del capolavoro di Kubrick fu realizzato da Peter Hyams (Capricorn One – Atmosfera Zero) nel 1984 con il titolo “2010: l’anno del contatto”. Ma cosa racchiudono effettivamente le cupole lanciate fra stelle? La speranza. Una parola singola che fatica però a stare all’interno di qualsiasi contenitore. Una missiva in bottiglia nell’infinito mare nero del cosmo, in cui i custodi delle meraviglie terrestri ammettono la loro incapacità e si affidano all’universo come luogo ultimo per preservale. La merce è preziosa, il viaggio è lungo e il destinatario ignoto. Così, per la difesa di rari e preziosi brandelli di vegetazione vengono “assoldati” un uomo libero (Freeman Lowell) e tre droni (Qui, Quo, Qua o Paperina, Paperino e Paperone; a seconda della versione del doppiaggio). Sembrerebbe quasi che Silent running possa essere fortemente indiziato come primo film solarpunk. Gli ingredienti base ci sono tutti: umani e tecnologie al servizio di Madre Natura, seppur in formato ridotto. Indubbiamente il film di Trumbull è un recettore di influssi provenienti da un contesto storico politico in cui spirava, con sempre maggior vigore, il vento della contestazione. Significativa la scelta di Bruce Dern come protagonista, attore di riferimento dell’ “alternativa” Nuova Hollywood, come non è per nulla casuale la presenza di Joan Baez, interprete di due brani della colonna sonora. La storia della “Corsa silenziosa” ruota attorno ad un atto di ribellione, i droni sull’astronave risultano molto più empatici del restante equipaggio umano e, in un passaggio della pellicola, si critica apertamente il cibo spazzatura già predominante negli States. Si avverte una fortissima eco della cultura Hippy, dei nascenti movimenti ecologisti, del primo Earth day (1970). “The day the last flower died on earth this incredible mission began” così recita una delle tagline del film: il riferimento culturale è esplicito.

Nonostante il considerevole bagaglio contenutistico, Trumbull si “accontenta” di un decimo dei soldi investiti per 2001: odissea nello spazio. La Universal si affida a lui, esordiente alla regia, nell’ambito di un progetto, ideato per replicare il successo ottenuto con Easy Rider, che vede giovani autori alle prese con produzioni semi-indipendenti. Il plot però, nonostante fra gli sceneggiatori compaia Michael Cimino, anche lui all’esordio, pare non sia del tutto originale: alla major americana fu sottoposto il soggetto di Ark, un cortometraggio su di un uomo che si prende cura di una piccola oasi/serra mentre la Terra è diventata un luogo malsano; un anno dopo esce Silent running. Qualcuno direbbe: un caso? Non credo.

Insomma, prendendo ad esempio il cinema europeo e quello italiano, che in quel periodo andavano a gonfie vele malgrado non avessero il vento del dollaro dalla loro parte, il cinema stars & stripes, pur tirando la cinghia, investe su idee nuove e nuovi autori. I limiti de La seconda odissea dovuti ad un’operazione low budget, forse passarono quasi inosservati agli occhi del grande pubblico degli anni 70 anzi, la messinscena, affascinante per l’epoca, avrà avuto anche il suo riscontro positivo da parte degli appassionati del genere. Purtroppo, una visione odierna potrebbe risultare alquanto impietosa. Ma, la forza di “2022” non risiede nel suo appeal visivo, anche se il regista, nel tempo, è diventato uno dei massimi esperti in materia di effetti speciali, bensì nel messaggio che custodisce al suo interno: la salvezza della Terra può risiedere nelle nostre mani solo se verranno guidate, per la nobile occasione, dalla tecnologia più evoluta e immaginifica che riusciremo a produrre. Il viaggio della Valley forge è una metafora, la sua meta non è lo spazio ma l’umanità, ultima vera frontiera.

Crediti:

Titolo originale: Silent Running (USA 1972); Durata: 89 minuti; regia : Douglas Trumbull; sceneggiatura Deric Washburn, Michael Cimino, Steven Bochco; Cast: Bruce Dern, Cliff Potts, Ron Rifkin, Jesse Vint.

Riccardo Muzi
Fonti:

Film TVQuinlan IMDB Internet Movie database – “Ark”, su IMDB – voce “Ecologismo” su Anarcopedia – “Ark” su Vimeo

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