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*l* giovane scritt**e Stefano Zuliani ci porta in un mondo del futuro (purtroppo sempre più credibile) dove l’innalzamento del livello dei mari, a causa della catastrofe climatica che ha provocato lo scioglimento dei ghiacci, ha sommerso le coste e le pianure. I sopravvissuti vanno avanti in condizioni di scarsità, dispersi su isole che un tempo erano rilievi. La protagonista Zoe ricorda ancora i tempi andati, ma sa che non torneranno, e che deve adattarsi a questa isola. L’intero arcipelago dipende per i rifornimenti dagli abitanti dell’isola dei Martha Ford, i quali possiedono anche la tecnologia genetica essenziale per le coltivazioni alimentari, che permettono la sopravvivenza di tutti gli sfollati.

Sull’isola dei Politi in cui vive Zoe non crescono altro che limoni, e le derrate alimentari distribuite dai Ford non sono adatte a ottenere sementi. La dipendenza dalla loro benevolenza è strettissima, ma qualcuno sull’isola dei Politi decide che sarebbe ora di permettere a tutti di gestire il proprio fabbisogno alimentare. L’unico modo è affrontare direttamente la gente di Martha Ford, che sembra avere in mano il destino di tutti i superstiti nell’Arcipelago dei Limoni.

Siamo lontani eppure vicinissimi al noto film “Waterworld” (Kevin Reynolds, 1995) ma qui non ci sono uomini che si stanno mutando in pesci per adattamento né pirati motorizzati del mare né scene d’azione roboanti. C’è invece la descrizione di una vita lenta ma inesorabile. Così come la morte è inesorabile, in questa visione del mondo lo è anche la vita, nel bene e nel male. Gli abitanti dell’isola devono procedere lentamente verso il riscatto della loro sopravvivenza, ma c’è sempre chi tenta di stabilire un controllo o di riempire quel vuoto di potere che ogni società, anche la più virtuosa, chiede crudelmente ai propri abitanti.

Le parole di Zuliani scorrono morbide, soffici, in una narrazione al tempo presente, quasi come se fosse un diario o come se quello che succede nel racconto fosse nient’altro che una cronaca del nostro tempo. L’autore riesce bene a evocare strati di sentimenti che trapassano i protagonisti e anche nel difficile compito di accendere nella mente del lettore atmosfere a metà tra il malinconico, il triste e il sublime bucolico, senza risultare eccessivamente romantico.

A volte, forse, il lirismo descrittivo potrebbe ricordare i racconti di Fitzgerald, ma nel concreto la sensazione che se ne ricava è quella di essere attraversati dalla sospensione del tempo in un mondo dove la Natura con la sua lentezza millenaria è ritornata importante e l’umanità ha dovuto abbassare la testa. È un racconto consigliato a chi vuole perdersi nel dondolio di una culla solarpunk appesa all’ignoto agreste e a una flebile speranza.

Matteo Scarfò

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