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L’estetica Solarpunk è in debito con l’Art Nouveau, non c’è dubbio

«Mi rattrista quando le persone liquidano l’Art Nouveau come  cosa “per ricchi”, come se possa essere realmente Solarpunk solo l’ostinato o il riciclato. Le persone si comportano come se le cose belle fossero solo per i ricchi, che è proprio ciò che i ricchi vogliono che si creda. L’Art Nouveau è perfetto per il movimento Solarpunk, e non solo per i motivi a ispirazione vegetale. È ben più profondo. L’Art Nouveau era un movimento intrinsecamente anticapitalista. L’Art Nouveau trova le sue radici nel movimento Arts and Crafts del tardo XIX secolo in Inghilterra, quando la rivoluzione industriale era in pieno svolgimento. Gli artigiani rifiutavano i valori su cui si basava il capitalismo vittoriano, come la produzione di massa, il profitto a scapito della qualità e la disumanizzazione sofferta dagli operai nelle fabbriche. Invece, il loro obiettivo era enfatizzare il lato umano delle cose, l’attenzione ai minimi dettagli di cui le fabbriche capitaliste non si preoccuperebbero mai. L’Art Nouveau crebbe in tutta Europa come reazione all’industrializzazione. Non era pensato per l’utilizzo privato: si voleva creare bellezza negli spazi pubblici, motivo per cui le stazioni ferroviarie sono ancora spesso caratterizzate dall’architettura Art Nouveau. La metropolitana di Parigi è un esempio perfetto. I ricchi parteggiavano per l’industrializzazione del mondo, il movimento Art Nouveau cercava di produrre cose belle per tutti. […] Ora è considerato un ricordo del passato. Il capitalismo ci ha indotti a credere che le cose vecchie e belle siano anche costose, e che possano essere apprezzate solo dai ricchi. NON credeteci. La bellezza non è per ricchi o per pochi eletti. La bellezza è per tutti. In sintesi, questo è il motivo per cui l’estetica Art Nouveau è perfetta per il Solarpunk. Entrambi i movimenti sono anticapitalisti, hanno un innato apprezzamento per la natura e mirano a rendere il mondo un posto migliore per tutti piuttosto che solo per pochi eletti.»

Toxicodendron, da Mastodon

“Il futuro è luminoso” di Jessica Woulfe, Vancouver (Canada)

«Il solarpunk è una tendenza (per lo più) estetico-culturale e (talvolta) etico-politica che tenta di negare l’idea dominante nella coscienza popolare: che il futuro debba essere cupo, o perlomeno cupo per le masse e le forme di vita non-umane. Ha come fondamento etico la necessità di riparare la millenaria frattura tra la società umana e il mondo naturale, trasformando la nostra relazione con il pianeta con il superamento di quelle strutture sociali che portano all’ecocidio sistemico.»

What is Solarpunk?, su Solarpunk Anarchist 

“Viaviamo in una foresta” di Liew Liu Liang John (Singapore)

 «Abbiamo un disperato bisogno di narrazioni che superino l’apocalisse come punto finale della civiltà, non solo perché ci sono persone e società che stanno già vivendo la visione dell’apocalisse climatica del mondo occidentale, ma anche perché può solo ispirare un’attesa impotente del post-apocalisse, che giunga improvviso per separare il passato dal futuro.»

Alyssa Hill, Literary Hub

“Viaggiatori solarpunk” di Fabian Cobos, Monterrey (Messico)

«La letteratura che scriviamo, le storie che raccontiamo a noi stessi devono riconoscere che, sebbene vi sia un consenso scientifico sul fatto che l’atmosfera si sta riscaldando a causa delle emissioni di combustibili fossili, molti aspetti del cambiamento climatico rimangono incerti. Scrivere racconti non apocalittici sui cambiamenti climatici può renderci consapevoli, intellettualmente ed emotivamente, della nostra incapacità di agire in fretta. Alcune cose andranno perse; molte già lo sono.»

Ecologise.in 

“dove le strade s’incrociano” di Yuumei (Yan Wenqing), Cina

«Il solarpunk recepisce dunque quelle spinte di pensiero che postulano la necessità di un ritorno all’utopia come strategia per immaginare, visualizzare e progettare un futuro capace di rompere con le cornici di senso che definiscono il tono dell’epoca in cui viviamo.»

Flavio Pintarelli, Domus

“Compagni” di Djamila Knopf, Lipsia (Germania)

Ecco come va a finire se andiamo avanti così. Ma se NON andiamo avanti così?” La risposta, apparentemente, arriva dal solarpunk, che suggerisce strade alternative, anche qui, comunque, prendendo spunto da indizi e segnali (ancora minoritari) dall’attualità. Il metodo non è più quello del monito, ma del suggerimento. Detto questo, è inevitabile sospettare che in generale, questo metodo, possa scadere nella didascalità, nella dissertazione saggistica, nella visione aproblematica new age. Chi conosce bene il funzionamento della letteratura, dall’800 a oggi, sa che per essere persuasiva non deve spiegare le proprie argomentazioni, ma semplicemente mostrarle (il classico “show, don’t tell”, in fondo), per cui il rischio concreto è che il solarpunk scoppi come una bolla, nonostante abbia delle potenzialità che vanno decisamente oltre al subgenere.

Kremo in Nazione  Oscura Caotica

«Il solarpunk riconosce che la fantascienza non è solo letteratura d’intrattenimento, ma anche una forma di attivismo. Immagina un ambiente costruito adattato in modo creativo all’energia solare, tra le altre cose, utilizzando tecnologie diverse. L’obiettivo è promuovere l’autosufficienza e vivere entro limiti naturali.»

A Solarpunk Manifesto

“Un futuro desiderabile” di Karolina Wisniewska, Polonia

«Non ottimismo, speranza: il solarpunk si configura chiaramente come una nuova utopia, su due livelli. La speranza è tra le righe, in un futuro che alla distruzione capitalista wasp oppone una reazione – riconfigurazione, rinascita, rimodulazione… Per una società migliore che crede nella costruzione di una nuova, diffusa felicità, e nel farsene carico per chi verrà dopo. E la speranza è anche fuori le righe, nella pratica stessa del solarpunk: chi vuole che l’utopia ritorni cerca narrazioni che segnino nuove strade anche letterarie. Il solarpunk vuole che esista un futuro migliore, e allo stesso tempo vuole esistere»

Giulia Abbate e Romina Braggion su Zest

“Vivere nel paradigma” di James Fletcher, Giappone

«Qualunque cosa sia il solarpunk, è profondamente politico. La politica è la pratica di determinare le modalità attraverso le quali distribuiamo le risorse e il modo in cui ci relazioniamo gli uni agli altri. In altre parole, chi fa le cose, chi ottiene le cose e come ci si aspetta che trattiamo sia le persone che le cose. Quasi ogni testo dal contenuto solarpunk che ho letto suggerisce che il futuro solarpunk è il risultato di scelte sfumate, non di progressi tecnologici selvaggi. Il nome stesso solarpunk implica che le scoperte scientifiche da sole non risolveranno i nostri problemi ambientali, sociali ed economici. Dopotutto, postula un mondo di energia solare in abbondanza e poi sostiene che avremo ancora bisogno di “punk”. Nessun intervento di una tecnologia magica. Dovremo farlo nel modo più doloroso: con la politica

Andrew Dana Hudson, “Sulle dimensioni politiche del solarpunk“, tradotto in italiano in “Solarpunk. Come ho imparato ad amare il futuro” a cura di Fabio Fernandes e Francesco Verso, ed. Future Fiction 2020

“Lumina Rue” di Owen C. (Stati Uniti), da Deviantart

«Se esistesse una mappa cartesiana della science-fiction, il movimento solarpunk si troverebbe probabilmente all’estremo opposto del distopico. […] La stessa natura solarpunk è invece improntata all’ottimismo: già nel nostro presente esistono le tecnologie potenziali, la volontà teorica e la necessità storica di costruire un futuro differente. È evidente che l’ago della bussola si sposta dalla distopia verso il polo dell’utopia.»

Franco Ricciardiello, introduzione a “Assalto al Sole. La prima antologia solarpunk di autori italiani” Delos Digital 2020

Traduzioni dall’inglese di Franco Ricciardiello

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