Una storia “condominiale” che rivela con gradualità elementi di grande interesse.
“Lasciate fare a Elvis” è un racconto lungo scritto da Laura Silvestri per la collana Atlantis, diretta da Franco Ricciardiello per Delos Digital e incentrata sul solarpunk e sulla fantascienza utopica, ecologista e costruttiva.
La storia è narrata in prima persona singolare, il punto di vista è quello di Alvise, portiere in un condominio del quartiere romano e popolare della Magliana. In romanesco, il suo nome è modificato in Elvis; e in romanesco Elvis ragiona, parla e si relaziona con i condomini.
Siamo in un romanesco letterario, che ripulisce le articolazioni più dialettali per mantenere la parlata, e dà a chi legge una versione immediatamente comprensibile, che mantiene però il proprio spirito. Questo compito è reso facile dal fatto che la romanità impera nella comicità: dunque è probabile che lettori e lettrici di qualsiasi provenienza nazionale ne conoscano le inflessioni ironiche, sarcastiche, corrosive, iconoclaste. Più difficile è rendere un altro aspetto della romanità, ovvero quel fondo di amarezza e malinconia depositato sotto l’effervescenza del lazzo. Nel tipo romano esiste una spensieratezza che è tanto vera quanto falsa, e che spesso è giocoforza esibire come maschera, per proteggersi dagli arbitri del potere e dai rovesci della miseria che nella nostra città, sede di una chiesa mondiale e di poteri imperiali e nazionali, è stata e ancora può essere spaventosa.
Laura Silvestri riesce a mio avviso in questo doppio movimento: ci dà una voce narrante godibile e pungente, che a volte, però, lascia trapelare una certa tenerezza nei confronti dei tremendi condomini, e la tristezza rassegnata verso una situazione generale che emerge man mano dalle righe, e che, ritengo, svelare in una recensione toglierebbe gusto alla scoperta graduale.
Già con “Materia grigia”, racconto di Silvestri da me curato uscito per “Futuro Presente”, l’ambientazione romana aveva permesso all’autrice di lavorare su punto di vista e linguaggio, con incursioni nel romanesco. La voce di Elvis porta questo percorso un passo avanti, facilitata forse dal particolare contesto: da romana, alle volte ho l’impressione che il romanesco sia una quarta dimensione fisica della città, e che non si possa pensare Roma senza pensarla in romanesco, come se le due cose, ambientazione e lingua, siano parti di uno stesso corpo che include anche il timbro ironico e il sapore amaro.
Elvis si muove cicalando (ovvero chiacchierando, anche tra sé e sé o a voce alta) tra i piani e gli appartamenti, mettendo in pratica un lavoro di cura che non si limita alla pulizia e alle riparazioni, ma va a toccare anche la comunità nella sua vita quotidiana. L’uomo si fa gradualmente carico del ruolo di mediatore e connettore, affrontando situazioni via via più complicate, fin quasi a diventare soverchianti: situazioni quasi impossibili da fronteggiare in solitaria, ma rese forse sostenibili nel momento in cui le si affronta coordinandosi in gruppo.
Nessunə si salva da solə, e questo motto che oggi va per la maggiore è stato una sorta di destino per ogni cultura popolare. Di fronte alle privazioni esistenziali, alla durezza della vita in un mondo poco antropizzato, alle prepotenze delle classi dominanti, la cultura popolare ha sempre saputo contrapporre la forza dei legami familiari, di vicinato, di contiguità e di classe (penso ai “villani” medievali, ben capaci di rivendicare i loro diritti e sollevarsi). Oggi, quei legami ci paiono legacci, catene di un passato bigotto e chiuso, da lasciare da parte per affrancarci dagli obblighi “ereditati” e vivere da cittadinə del mondo: questo è il lascito di una visione illuminista che concentrandosi sul peso e sul prezzo di tali obblighi non poteva prevedere la feroce solitudine nella quale ci troviamo oggi, e ha derubricato l’intera tradizione popolare a pittoresco folclore da studiare con distacco, in una concezione del mondo che intendeva il “progresso” come inevitabile e riguardante l’umanità intera.
Nella cornice di una ricerca iniziata in questo blog e incentrata sui saperi nativi, trovo che “Lasciate fare a Elvis” possa essere un tassello anche di questo percorso. In molte parti del mondo il “sapere nativo” è ben identificabile, grazie alla contrapposizione tra popolazioni native e colonizzazione successiva. Ma, da italiana, mi sono a un certo punto trovata a chiedermi: dovrò sempre parlare di yanomami amazzonici? Quale potrebbe essere la mia cultura nativa, qual è, se esiste, il corrispondente sapere indigeno al quale io possa riferirmi come artista e come attivista, per cercare le radici di quell’albero che settant’anni di neoliberismo selvaggio e seicento anni di capitalocene hanno tentato di ridurre a stuzzicadenti?
Ecco qui: lo sguardo e il racconto di una cultura popolare e dialettale, che sia insieme vecchio e nuovo, mi pare una strada da non sottovalutare.
Il racconto di Laura Silvestri ha questa attitudine contemporanea (è un racconto di fantascienza, val bene ricordarlo) anche nel ricordarci che il legame con chi ci è vicino ha sempre due facce: è faticoso, a volte irritante e sgradevole, e questo è l’aspetto che tuttə noi tendiamo ora a considerare importante; ma si può anche trasformare in una ricchezza, in una risorsa per vivere in modo più umano e lieto e affrontare le avversità. E molta di questa trasformazione dipende da noi.
Deploro soltanto una cosa: che “Lasciate fare a Elvis” sia apparso nella collana Atlantis, e non nell’antologia “Oltre la soglia” da me curata, che raccoglie storie incentrate proprio sulla relazione di vicinato. La prossimità è lì ripensata in chiave fantastica ma valutata sulla base del nostro presente, delle nuove sfide che ci attendono, e della concezione di bene comune come terza via sostenibile tra la trappola del pubblico e la sregolatezza del privato. “Lasciate fare a Elvis” esprime proprio questo spirito, dandoci una lettura divertente e un punto di vista vitale e costruttivo, che non nega le criticità e i pericoli del mondo, ma si distingue dalle lagne distopiche alle quali l’industria dell’intrattenimento tenta di assuefarci… e lassate fa’ a Elvis, essù.
Complimenti insomma a Silvestri per questa prova autoriale, dove storia, stile, messaggi, personaggi, ambientazione sono in armonia e dove si lascia chi legge con sentimenti di gioia e speranza: una prova, insomma, meravigliosamente solarpunk.
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