Di Romina Braggion
Repost dal blog Diario di ErreBi
Continuo una riflessione iniziata con Giulia Abbate e Giuliana Misserville, a Feminism, Fiera dell’editoria delle donne a proposito di “Memorie di una ragazza interrotta“.
Una recente recensione permette di entrare nello spirito del racconto. In “Memorie di una ragazza interrotta”, violenza e memoria storica, ho specificato un paio di aspetti che Giuliana aveva notato durante la diretta. Perciò oggi proseguo con un’altra domanda di Giuliana: spiegare la mia visione della comunità femminile futura che è controllata, quasi sovradeterminata, e collegata da una sorta di Grande Fratello.
In breve, (molto in breve non ho intenzione di fare un trattato sul tema, qui potete approfondire) la sovradeterminazione applicata in ambito femminista, sebbene la sovradeterminazione sia propria dell’essere umano in generale, è quella sorta di supponenza e di prevaricazione intellettuale di persone che si sentono in diritto di decidere in nome e per conto di tutte le altre. Non pensate all’ambito legislativo, quanto piuttosto all’ambito sociale e alla comunicazione umana.
Aggiungo il significato fornito da Treccani:
sovradeterminazióne s. f. [comp. di sovra- e determinazione, sul modello del ted. Überdeterminierung, coniato da S. Freud]. – In psicanalisi, la condizione di ciò che è determinato da una pluralità di fattori, come alcuni fenomeni dell’inconscio, in partic. i sogni (ma anche i lapsus, gli atti mancati, ecc.) nei quali, a causa della condensazione, un’immagine manifesta si compone di più contenuti latenti che l’interpretazione corretta deve cercare di ricostruire. Il termine è usato anche con sign. più ampio (per es. nell’ambito delle scienze sociali), in relazione a formazioni, condizioni, processi nei quali si ravvisa l’azione convergente di più cause determinanti.
Dizionario enciclopedico Treccani
(altro inciso, fuori tema, ma la citazione al sempre presente Freud lo impone: parrebbe che la psicoanalisi sia regno esclusivamente maschile; così non è)
I racconti, novelle, romanzi hanno la propensione di suscitare sensazioni e percezioni molto differenti tra le varie persone che li leggono, talvolta contrapposte. Un’opera narrativa si forma nel tempo trascorso dalla creazione alla pubblicazione, poi si trasforma a ogni lettura, prendendo strade a volte imprevedibili per chi l’ha scritta.
Riflettendo sulla domanda di Misserville mi sono accorta di non avere affatto tenuto conto, o di non avere percepito, le sfumature che invece lei ha colto. Quindi, prendo spunto proprio da “il termine è usato anche con significato più ampio (per es. nell’ambito delle scienze sociali), in relazione a formazioni, condizioni, processi nei quali si ravvisa l’azione convergente di più cause determinanti” per articolare la mia visione.
Le cause determinanti che mi hanno portata a creare il “meccanismo” (lo chiamerò così per evitare spoiler) sono frutto della constatazione dell’estrema difficoltà che incontrano gli umani nell’intendersi tra loro. Dal momento che – è impossibile non comunicare – cit. primo assioma della comunicazione umana, da “La pragmatica della comunicazione umana” Paul Watzlawick, è altrettanto vero che il processo comunicativo subisce rallentamenti, fraintendimenti, modifiche tra l’emittente e il ricevente. La questione è enfatizzata, tra le varie cause, dall’impoverimento lessicale in crescita e dalla reticenza a voler adeguare il proprio lessico alla mutazione della società.
Inoltre varie teorie mettono in relazione il linguaggio con il pensiero, con la sua formazione e organizzazione, sebbene anche queste, essendo appunto teorie e non dogmi, siano oggetto di tentativi di confutazione.
La società del piano temporale futuro è basata sui principi sofistici secondo cui – l’uomo è misura di tutte le cose – cit. Protagora, filosofo greco relativista. L’affermazione, a oggi, è interpretata secondo tre linee più accreditate: uomo = A uomo/B comunità/C umanità; cose = A oggetti percepiti attraverso i sensi/B valori, norme civili o ideali/C società di appartenenza. Di conseguenza l’essere umano inserito in una realtà temporale e spaziale precisa, definisce e subisce allo stesso tempo l’essenza sociale di appartenenza. Ho interpretato questa teoria come indice di ampia libertà concettuale e, di conseguenza, l’ho incarnata nella società futura delle sophiste.
Perciò, proprio per enfatizzare lo spirito comunitario a cui tengo molto nelle narrazioni, ho avuto la necessita di un “meccanismo” che permettesse di travalicare ogni difficoltà comunicativa dovuta a differenze di età, esperienza, nazione, istruzione e appianasse qualsiasi tipo di distanza, in primis quella fisica senza creare le evidenti storture dei social odierni.
Ecco svelato un altro aspetto solarpunk dell’opera: il “meccanismo” supera la problematicità della comunicazione, mette in intima comunione ogni abitante del pianeta (attraverso una particolare elaborazione del pensiero e a seconda della necessità) e mostra le emozioni più recondite. Finalmente il dubbio e la negatività sono presi in carico da tutte le persone, discussi, depotenziati, eventualmente trasformati in nuovi spunti di progresso e le difficoltà comunicative risolte. Solo al momento dell‘assemblea globalmente condivisa il germe della violenza viene svelato e riconosciuto e gli si toglie l’ossigeno per bloccarne la trasformazione in incendio. Peraltro, il riconoscimento della violenza è il tema fondante di “Memorie”.
Indubbiamente Misserville e io abbiamo creato due visioni abbastanza lontane tra loro ma i punti di vista non sono certezze granitiche; il Grande Fratello da lei citato certo si intravede, tuttavia ribaltato come un’immagine speculare: il “controllo” si avvia dall’interno della singola persona e si dirige all’esterno della globalità umana e non viceversa come nel caso di 1984. La comunità e la comunione, nel momento in cui viene usato “il meccanismo”, prevalgono sull’individualità. L’ultima semi-doppia-citazione a Gaber e Haraway mi sembra d’obbligo: – La libertà è partecipazione e com-prensione. –
O no?
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