Jessie Greengrass, The High House, pp. 280, £ 14,99, Swift publ., London 2021
Mentre ancora in Italia la fiction climatica non stuzzica le scrittrici e gli scrittori, che sembrano avere ormai smarrito la strada dell’impegno civile, in molti paesi esteri si sviluppa un interesse sempre più consapevole per il destino della civiltà su questo pianeta, nell’immediato futuro, sotto l’azione dei cambiamenti climatici.
Da noi per ora solo alcuni autori di mercati di nicchia, come la fantascienza, si sono occupati, o meglio pre-occupati, dell’innalzamento della temperatura globale; tra gli autori di portata nazionale, una lodevole eccezione è però Bruno Arpaia, che con Qualcosa, là fuori (2016) ha cominciato a interrogarsi sul futuro; va detto tuttavia che il suo romanzo appare debitore di stereotipi del filone post-catastrofico, che lo avvicinano quindi al nuovo distopico piuttosto che a una riflessione del genere “Che Fare”?
È normale che il confine tra climate fiction e nuovo distopico sia permeabile — dopo tutto, entrambi i sottogeneri sono di solito ambientati in un mondo peggiore del nostro; tuttavia, la distopia che si scrive nei nostri giorni si è ridotta a uno scenario drammatico per storie “forti”, e gli scrittori che si definiscono impegnati si mantengono a distanza.
Jessie Greengrass, nata nel 1982, inglese che vive a Berwick-upon-Tweed, ha esordito nel 2015 con la raccolta di racconti Il declino dell’alpaca impenne secondo un testimone, pubblicata in Italia nel settembre 2022 da Bompiani, nella traduzione di Tommaso Pincio. Questo The High House, ancora inedito nel nostro paese, si inserisce in pieno nel flusso della climate fiction — però a differenza di molte altre opere del genere, non racconta un pianeta inaridito dalla siccità, dove intere popolazioni sono costrette alla migrazione verso zone temperate (per esempio, La storia dell’acqua di Maja Lunde, o lo stesso Arpaia), bensì l’altra faccia del cambiamento climatico: l’estendersi di un clima di tipo monsonico fino alle zone temperate, fino all’Europa centro-settentrionale, mentre presumibilmente aree come il Mediterraneo sono inaridite.
Eravamo protetti dalle nostre case, dai nostri studi e dai nostri centri commerciali nelle vie dello shopping. Avevamo l’abitudine della fortuna e del potere e non riuscivamo a capire che non erano un nostro diritto. Vedevamo che la situazione era brutta, altrove, ma sicuramente le cose sarebbero andate a posto, come sempre. Eravamo paralizzati, incapaci di fare progetti per un futuro in cui tutto fosse andato bene, e neppure uno in cui sarebbe successo il contrario.
(p. 38)[1]
La storia ha quattro protagonisti: l’adolescente Caro (Caroline), il cui padre ha sposato Francesca, famosa attivista per la decarbonizzazione; il suo fratellino Pauly, figlio dello stesso padre e di Francesca; Sally, giovane universitaria che ha rinunciato a proseguire gli studi per tornare a accudire il nonno; quest’ultimo infine, conosciuto solo come Grandy (una sorta di vezzeggiativo per “nonno”).
Francesca, resasi conto che le condizioni climatiche non possono che peggiorare ulteriormente, perché siamo andati troppo “oltre”, decide di proteggere in una specie di “arca” (va detto che nel romanzo sono assenti riferimenti biblici) il figlio Pauly, sotto la cura della sorella maggiore Caro. Questo perché, pur consapevole dell’inarrestabilità degli eventi, Francesca continua a accorrere ovunque nel mondo si lotti contro la furia del clima.
Assistetti a un terremoto, e poi allo scoppio del colera, un’alluvione, una siccità: ogni volta le questioni erano le stesse. Ogni volta la gente dava soldi, per un po’, e poi accadeva qualcos’altro, e l’ultima cosa veniva dimenticata da tutti tranne coloro che, presumibilmente, ancora la vivevano.
(p. 80)[2]
Negli anni, Francesca predispone in segreto un rifugio sicuro nella “casa alta”, una sua proprietà immobiliare in un villaggio costiero che un tempo era abitato da pescatori, oggi invece sfruttato dal turismo. Francesca trova un alleato nel consapevole Grandy, anziano guardiano invernale del paese, che si trasferisce nella casa alta insieme alla nipote Sally.
Francesca accumula nell’abitazione, sopraelevata rispetto al nucleo del villaggio e nascosta alla vista dietro un rialzo del terreno, una grande quantità di provviste alimentari, generi sanitari, vestiario e altro, tutto ciò che dovrebbe permettere a Pauly di sopravvivere forse indefinitamente alla catastrofe, accudito dall’anziano e dalle due giovani. L’energia è fornita da un generatore a forza idrica, garantito per cento anni, i terreni circostanti sono coltivati a ortaggi,
Il romanzo è la storia di questo tentativo di sopravvivenza, quando il maltempo colpisce davvero: tutta l’acqua che entra in circolo dalle fasce climatiche inaridite trova sfogo nelle ex zone temperate, provocando piogge continue e spaventose, inarrestabili inondazioni.
Franco Ricciardiello
Le traduzioni dall’inglese sono dell’autore
Note
[1] We were protected by our houses and our educations and our high-street shopping centres. We had the habit of luck and power, and couldn’t understand that they were not our right. We saw that the situation was bad, elsewhere, but surely things would work out, because didn’t they always, for us? We were paralysed, unable to plan either for a future in which all was well, or one in which it wans’t.
[2] I watched an earthquake, and then it was an outbreak of cholera, a flood, a drought: each time the questions were the same. Each time, people gave money, for a while, and then there was something else, and the last thing was forgotten by all except those who, presumably, still lived inside of it.
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