di Effemme Dibbì (*)
A quasi 30 anni dalla morte – 6 aprile 1992 – di Isaac Asimov i suoi libri sono ancora ben venduti in Italia ma nel mondo della cultura (pretesa “alta”) lo scrittore-divulgatore-scienziato è quasi invisibile. La serie tv sul ciclo della «Fondazione» (dal 24 settembre su Apple Tv) avrebbe dovuto suscitare il consueto can can ma è stata un mezzo fiasco, pur avendo mantenuto qualche elemento dei romanzi originali. Peggio era andata con due brutti film tratti dalle sue opere: L’uomo bicentenario nel 1999 e Io, robot nel 2004.
Nel mondo (ristretto in Italia) di chi frequenta la fantascienza gli asimoviani restano maggioranza. La minoranza di perplessi continua a rimproverargli lo stile freddo, la ricerca della semplicità (che invece era un vanto per lui) e gli eccessi di razionalità in un mondo illogico.
Per i tanti fans e i pochi detrattori Isaac Asimov resta comunque «il buon dottore»: umanista, progressista e convinto sostenitore della scienza ma consapevole dei suoi limiti e molto preoccupato che una dittatura tecnocratica supplisse ai limiti della democrazia alleandosi alla cattiva politica e ai militari.
Asimov fu egocentrico (diresse una rivista con il suo nome) e presuntuoso. Prolifico, anzi «schiavo del lavoro». D’altronde per arrivare a 500 libri… si è stakanovisti o si sfrutta la fatica altrui (un sospetto molte volte avanzato verso di lui ma senza conferme). Oppure si prende per buona una sua battuta: «A forza di scrivere sui robot, forse anche io sono diventato instancabile». Qualcuno ironizzò sulle sue iniziali: IA come Intelligenza artificiale.
Dopo i successi come narratore negli anni ’50 e ’60, nel decennio successivo Asimov si dedicò soprattutto alla divulgazione. Negli ultimi anni riprese a scrivere romanzi per collegare in una mega-opera il ciclo dell’Impero, quello della Fondazione e i suoi racconti robotici. Sbaglia chi non non ha visto novità. La svolta ecologista dell’ultimo Asimov fu evidente e in parallelo andò in crisi la sua fiducia nel futuro prossimo: bisognerebbe rileggere quelle pagine con un occhio attento.
Per fare solo qualche veloce esempio verso la fine di L’orlo della Fondazione (siamo nel 1982) è Gaia – non per caso si chiama come il pianeta pensante intravisto da James Lovelock – a spiegare: «la nostra proposta è una Galassia vivente che si potrebbe rendere adatta ad ospitare tutte le forme di vita in modi che ancora non siamo in grado di immaginare. L’umanità troverebbe canoni di esistenza completamente diversi da quelli conosciuti finora e si libererebbe del tutto dagli antichi errori».
Poi arriva lo scintillante I robot dell’alba e Isaac Asimov prova a togliere altre ragnatele dalle nostre teste. Dietro un solido impianto poliziesco (tipicamente asimoviano) si scontreranno le diversissime concezioni dei terrestri, degli auroriani, dell’inquieta Gaia e dei robot (umanoidi e non). Un filo di ottimismo e una tonnellata di inquietudini.
Passano un paio d’anni e arriva I robot e l’impero: di nuovo Asimov (un filino più sonnecchiante forse che nel precedente ma comunque più vispo di tanti scrittori “giovani”) fa i conti con le questioni decisive: «il mosaico della vita è più importante di una singola piastrella», insomma «l’umanità nel suo insieme è più importante di un singolo essere umano». I diritti collettivi sono più importanti di quelli individuali. E se la Terra domani scomparirà – niente spoiler, è ovvio – chi saranno gli eredi degli esseri umani nel quasi inevitabile Impero Galattico?
Negli ultimi tempi a fianco delle famose «tre leggi della robotica» da lui ipotizzate e delle interessanti, provocatorie «leggi della futurica» Asimov si ripropose di scrivere anche le «leggi dell’umanica». Purtroppo non lo fece. La prima potremmo parafrasarla così: «Un essere umano non può recar danno a un altro essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, gli esseri umani ricevano danno». Bellissima ma come concretizzarla? È lo stesso errore “politico” di Asimov quando immaginò le tre leggi robotiche. In attesa – non per molto – di macchine che si evolvono pensiamo all’Ilva e alle tante fabbriche moderne: nel “capitalismo reale” a chi interessa la sicurezza e la vita degli esseri umani? La vita degli operai conta (e costa) quasi zero. La prima legge della “padronica” è antica, immutabile e chiarissima: mai rallentare la santa, divina produzione.
L’altra faccia della Spirale
Per uno strano pudore (o perbenistico tabù?) si tacque che Asimov morì per Aids; solo dopo 10 anni la moglie Janet rivelò che era stato infettato durante una trasfusione. Pur malato «il buon dottore» ha lavorato fino all’ultimo continuando a impegnarsi contro l’aumento incontrollato della popolazione (e le religioni che chiedono figli a go-go) come contro il riarmo.
Fra le promesse che non ha mantenuto quella di creare un nuovo alfabeto a livello mondiale per muoversi agevolmente nella civiltà tecnologica. Siamo in fondo dalle parti della «psicostoria» – la politica su basi scientifiche – che Asimov immaginò creata dal matematico Hari Seldon. Nell’ascoltare Seldon è come se Asimov parlasse di sé: «Anche da giovane non riuscivo a condividere l’opinione che, se la conoscenza è pericolosa, la soluzione ideale risiede nell’ignoranza. Mi è sempre parso che la risposta autentica stia nella saggezza. Non è saggio rifiutarsi di affrontare il pericolo, anche se bisogna farlo con la dovuta cautela. Dopotutto, è questo il senso della sfida posta all’uomo fin da quando un gruppo di primati si evolse nella nostra specie. Qualsiasi innovazione tecnologica può essere pericolosa: il fuoco lo è stato fin dal principio, e il linguaggio ancor di più; si può dire che entrambi siano ancora pericolosi al giorno d’oggi, ma nessun essere umano potrebbe dirsi tale senza il fuoco e senza la parola».
In conclusione… leggiamolo!
Ci sono molti racconti di Asimov che sembrano scritti per l’oggi. Proviamo a riassumerne due.
In Homo Sol (del 1940) la Federazione Galattica ha sviluppato la psicologia a vera e propria scienza esatta. I Solariani – ovvero l’essere umano evoluto, chiamato Homo Sol – sono riusciti a sviluppare la propulsione iperspaziale e a immergersi nell’esplorazione del cosmo.
Arrivano su un pianeta presso Alpha Centauri per proporre l’annessione alla Federazione ma gli scienziati “della psicologia esatta” tornano con un netto rifiuto e la coda tra le gambe. I nativi non vogliono farsi annettere e sul pianeta si scatena il panico di massa: l’economia si paralizza, i governi non riescono a gestire la situazione, la quarantena messa in atto si rivela un fallimento. Però non c’è alcuna pandemia, tantomeno i Solariani sono arrivati con intenzioni bellicose. Com’è possibile – si chiedono «gli scienziati psicologi» – che esista un popolo così stolto e irrazionale, che contravviene alle fondamentali leggi della scienza psicologica?
Niente spoiler – o quasi – ma bisogna pur dire che il finale farebbe impallidire gli psicologi junghiani, con queste leggi psicologiche che determinano l’illusoria libertà degli individui. Riletto oggi, «Homo Sol» rapisce e inquieta per la sapiente e feroce ironia, mostrando spesso quanto Ragione e Irrazionalità possano essere facce di una stessa medaglia. Gli eroi di Asimov ben lungi dall’essere invincibili quasi sempre trovano con l’uso del buon senso, una via d’uscita. Ma l’irrazionalità di massa è un nemico ben peggiore di alieni armatissimi. Vi ricorda qualcosa?
Il racconto fu scritto durante il secondo massacro mondiale (quelli che altri definiscono elegantemente “conflitto”) eppure non è invecchiato di una riga. Con una vera pandemia sul pianeta Terra – ipotizziamo nel lontanissino 2921, d’accordo? – gli umani troverebbero la necessaria cooperazione e fratellanza?
Ancora più choccante «Diradamento selettivo» (del 1976).
La scoperta del dottor Rodman è «il più grande dono alla salute umana da quando Pasteur aveva elaborato la teoria dei germi». Ma, gli dicono, se finisse «nelle mani sbagliate» sarebbero guai grossi… Si tratta infatti di un potentissimo «veleno selettivo». Così Rodman viene messo in isolamento. “Per sicurezza” dicono.
Siamo nel futuro (vicino) e la Terra è sovrappopolata. O meglio sovraffamata: «un miliardo di esseri umani erano morti di fame, nella penultima generazione, e altri sarebbero morti».
Affert è il presidente della «Organizzazione mondiale per l’alimentazione» (suona un po’ come la Fao) e va spesso a chiacchierare con Rodman. Fra una partita a scacchi e l’altra parlano delle riserve dei viveri, di egoismo e di triage. Per chi non lo sapesse il triage è un sistema selettivo al quale si ricorre «nelle circostanze in cui non potendo salvare tutti bisogna scegliere chi lasciare in vita e chi far morire».
Passando dalla teoria alla pratica, Affert propone a Rodman di collaborare alla soluzione del problema cibo: «se mandassimo viveri a quelli in sovrannumero e questi contenessero qualcosa di letale, poi non sarebbe più necessario inviare altri rifornimenti in quella regione». Ci sarebbe più cibo per gli altri… Rodman è sbigottito ma Affert obietta: «Non soffrirebbero».
Quando Rodman prova a farlo ragionare sulla uccisione di miliardi di persone, Affert precisa: «Non parlo di uccidere ma di fornire a quella gente l’occasione di morire».
Rodman si rifiuta di collaborare a un triage su scala mondiale ma il “tecnico” Affert inizia a minacciarlo. «Quasi tutti i giorni andava a trovarlo qualche funzionario. Tutti insistevano sulla necessità di sopprimere gli affamati … mentre loro erano ben pasciuti». Le minacce sono raffinate. Niente torture. Semplicemente, dicono a Rodman, verranno tolte le tessere per il cibo «a vostra figlia e a suo marito e anche ai loro bambini».
Rodman sembra cedere. Chiede un incontro al massimo livello: arrivano i 15 membri del potentissimo “Fondo per l’alimentazione” più alcuni deputati. Si discute per ore: tutti contro Rodman.
Arriva un carrello con un rinfresco. Rodman spiega: sapevo che sarebbe andata per le lunghe, ho fatto preparare uno spuntino.
Tutti mangiano e bevono. Rodman sembra riflettere… termina per ultimo il suo panino.
Poi dice: “Vi faccio le mie scuse se il pane non era fresco, ho preparato io i tramezzini… Era l’unico modo per metterci il mio veleno”.
Tutti urlano: «Assassino, pazzo… moriremo».
Calmissimo Rodman replica: «Non so quanti di voi moriranno, secondo i miei studi il 70 per cento di voi… proprio come desideravate fare con il resto degli esseri umani».
Qualcuno grida: «Ma anche tu hai mangiato, è un bluff».
E Rodman risponde: «Morirò prima di tutti, per me avevo preparato un veleno mirato e più potente. Chi di voi sopravviverà dovrà fare i conti senza di me».
Le tre leggi della Futurica
Scritte negli anni ’40 – e diventate subito famose – le 3 leggi riguardano i robot «positronici», dotati cioè di un cervello complesso. Però nel romanzo «I robot e l’impero» del 1985 compare la “Legge Zero” e viene enunciata da R. Daneel Olivaw (R. sta per Robot). Recita così: «Un robot non può recare danno all’umanità, né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, l’umanità riceva danno.
Le altre 3 leggi vengono modificate di conseguenza:
- Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno. Purché questo non contrasti con la Legge Zero
- Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Legge Zero e alla Prima Legge.
- Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Legge Zero, la Prima Legge e la Seconda Legge».
Naturalmente bisogna definire cos’è l’Umanità della “legge zero”… E Asimov su questo scrisse pagine appassionanti. Chiedendosi anche se gli esseri umani siano “isolati” dal mondo in cui vivono o se piuttosto bisogna ragionare sulle leggi di Gaia, il pianeta vivente, dotato di una sua “intelligenza”.
C’è poi un breve – e dimenticato – saggio di Asimov: ironico ma a ben guardare assai serio. Si intitola Le tre leggi della futurica (tanto per rimare con robotica): una presunta scienza per costruire scenari realistici sul domani prossimo.
Scrive Asimov: «La Prima Legge può essere così espressa: “Quel che succede continuerà a succedere”. Oppure, per dirla in altro modo: “Quello che è accaduto nel passato continuerà a succedere nel futuro”…». E poi naturalmente “il buon dottore” spiega, ragiona, divaga, contestualizza come sapeva fare lui.
La Seconda Legge della Futurica è una stupenda provocazione: “Rifletti sull’ovvio, perché pochi lo vedono“: seguono un paio di pagine dense di spunti.
«La Terza Legge della Futurica può essere così riassunta: “Rifletti sulle conseguenze”. La predizione di un determinato aggeggio è abbastanza facile ma cosa può succedere alla società quando se ne diffonde l’uso?». Pensandoci bene questa è l’idea-base della migliore fantascienza.
Prima di morire Asimov accennò, un paio di volte, di voler riflettere su «le leggi dell’umanica» (dell’umanità insomma)… Purtroppo ci lasciò solo l’idea. O forse la sfida. Adesso tocca a noi.
Effemme Dibbì
Il presente post è una rielaborazione di “Ci vorrebbe un Asimov?” apparso nella newsletter settimanale di Micromega n. 29, e ripreso in La Bottega del Barbieri
(*) Quando il quattrobraccia e due teste Effemme Dibbì si scinde allora le due imperfette creature corrispondono grosso modo a quelle che erano inizialmente note come Fabrizio Melodia e Daniele Barbieri.
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