Riccardo Muzi, Silvia Treves, Franco Ricciardiello
Ogni tanto, quellǝ del collettivo Solarpunk Italia si incontrato nella piazza virtuale per confrontarsi su una pellicola vista di recente. E così, anche questa volta, è partita la chiacchiera fra Franco Ricciardiello, Riccardo Muzi e Silvia Treves. Massima allerta: diluvio di spoiler.
Prima di iniziare, un po’ di trama da wikipedia: “Lo chef Michael e l’epidemiologa Susan si conoscono per caso mentre il mondo va verso il collasso, lasciando la popolazione privata dei propri sensi. Il primo senso a sparire è l’olfatto, seguito dal gusto, l’udito e la vista. Nonostante il declino e una morsa di pazzia e violenza che attanaglia il mondo, Michael e Susan in qualche modo riescono ad innamorarsi e a passare insieme momenti di tenerezza. Nel frattempo, il mondo cerca di andare avanti nonostante la perdita dei sensi, riadattandosi alla nuova realtà.”
Franco: Qualche giorno fa sono incappato in una lista su Internet, “I 7 migliori film di fantascienza che nessuno ha mai visto (forse)” La descrizione diceva testualmente: “negli ultimi anni sono usciti diversi film importanti, che hanno rinnovato e dato freschezza alla fantascienza, ma che in pochi – a parte gli addetti ai lavori – hanno visto. Sono film che meritano molta più visibilità per il sapore di novità che hanno saputo dare al genere”. Incuriosito, li ho cercati e ho cominciato a guardarne uno che mi è sembrato davvero bello, molto diverso dai soliti film che si proclamano science fiction, ma in realtà sono solo effetti speciali. Non ne avevo mai sentito parlare. Si intitola Perfect Sense, è di un regista britannico, David Mackenzie. Tu l’hai visto?
Riccardo: Si, l’ho visto sotto pandemia. Periodo in cui oltre ai vari noti disagi, mi sono voluto “far del male” rileggendo Cecità, e recuperando film come Contagion di Soderbergh e, appunto, Perfect Sense; son usciti entrambi nel 2011, non a caso…
F: Tra l’altro devo confessare una cosa, che di solito spiazza chi mi conosce: non amo per niente il cinema di fantascienza. O meglio, non amo quei film spettacolari hollywoodiani, ma non solo, che si giocano tutto sugli effetti speciali, magari sperperando il significato del libro da cui sono tratti. Trovo che siano molto più significative quelle pellicole che affrontano di petto un argomento sicuramente a tema, senza utilizzare effetti speciali che non siano strettamente funzionali alla trama. Perfect Sense è proprio uno di questi film che intendo io.
R: Beh, in effetti la fantascienza filmica delle grandi major statunitensi è soprattutto action e effetti speciali. Sinceramente ha stancato anche il sottoscritto. E senti che ti dico: per me, in questo film, Mackenzie attacca il cinema Usa in generale anche sotto forma di espediente narrativo. Indovina indovinello…
F:Mi hai incuriosito; è qualcosa che non ho colto. Dimmi, dimmi.
R: Non so, forse ho colto troppo, però ho pensato questo: ti sarai accorto che da quando l’industria del tabacco è diventata improvvisamente “cattiva” negli States, il fumo è improvvisamente e ipocritamente scomparso dalle pellicole a stelle e strisce. Anzi, se qualche volta è sbucato fuori, era lì per far identificare meglio i loschi figuri nei film. I Malvagi hanno una nuova connotazione: sono anche fumatori. Al contrario, in Perfect Sense, i due protagonisti danno vita ad una relazione grazie ad una sigaretta. Sono entrambi fumatori, però non sono “cattivi”, anzi, proprio come tutti gli esseri umani, con un po’ di vizi e un po’ di virtù. Forse, adesso, si nota meno: attualmente la messa al bando del fumo nel cinema americano è meno evidente, ma in quel periodo, ovvero quando esce Perfect Sense, era una cosa evidente.
F: sai che cosa mi ha colpito di più in questo film, ciò che secondo me più lo allontana dal prodotto medio hollywoodiano? È la reazione dei personaggi agli avvenimenti. Certo, è vero, c’è chi si lascia andare a disordini e saccheggi, ma è per effetto diretto della sindrome, e questo è detto esplicitamente; per quanto riguarda invece la reazione ufficiale, abbiamo un principio d’ordine che tenta di circoscrivere il contagio e di portare sollievo a chi viene messo in isolamento. Anche la gente comune continua a dimostrare solidarietà e comprensione, insomma ci si aiuta: è questo è lontano anni luce dalla narrazione post-apocalittica dei film d’effetti speciali spacciati da Hollywood, che scommettono sull’individualismo, sulla lotta di tutti contro tutti, mors tua vita mea. È significativo che la reazione delle autorità e della gente in questo film sia più simile a ciò che abbiamo veduto nella pandemia da COVID-19.
Silvia: Mi avete incuriosito, così sono andata a ripescare il film; solo alla fine ho scoperto che era del 2011. Io ero convinta che fosse stato girato dopo il 2020, insomma dopo la pandemia, perché oltre alla sindrome che si allarga a gran parte della popolazione parlava anche di uno degli effetti del long covid: la perdita dell’olfatto. Invece no. E ho avuto la sensazione che il film, in qualche modo, precorresse i tempi. Poi, ma la mia è una deformazione da biologa, mi ha colpito che il film seguisse una sorta di ordine nel descrivere i vari sensi: l’olfatto è quello più antico, comune a tutti gli animali pluricellulari, e ci unifica tutti, anche se il film non parla mai dei non umani.
F: Questo non lo sapevo! Tra l’altro mi aspettavo che venisse menomato il senso del tatto.
R: È vero: il tatto rimane intatto! Forse il Dio o il demone che ha mandato questa sciagura sulla Terra, avrà avuto un minimo di pietà per il genere umano: A suo modo ha avuto tatto J
F: Trovo interessante il punto di vista diciamo “minimalista”, quello della coppia, della storia d’amore, come vogliamo chiamarla, rispetto al solito super-eroe o super-scienziato che alla fine all’ultimo secondo riesce a trovare l’antidoto, la cura, e il mondo è salvo! la gente può ritornare a comprare nei supermarket a consumare a tutto spiano per appagare i sensi.
R: Sono d’accordo. Non c’è traccia della “solita” narrazione. Non si racconta chi tenta di salvare il mondo, ma come il mondo, quello della gente comune, tenta di adattarsi alla nuova e tragica situazione.
F: Cosa ne pensate invece dell’enfasi sull’alimentazione? D’accordo, il protagonista maschile è cuoco di mestiere, ma non vi sembra che il continuare a frequentare il ristorante anche dopo che si è perso l’olfatto o il gusto sia una metafora della vita, che in un modo o nell’altro va avanti? Io trovo divertenti i testi delle recensioni dei giornali, che parlano di aspetti sensoriali cinestetici quando non possono più concentrarsi sul gusto.
R: Per rispondere a Silvia che pensava fosse del 2020: il film esce poco dopo l’esplosione della pandemia causata dalla peste suina, sicuramente l’evento ha ispirato questo film. Poi, Franco, credo proprio di sì: è una metafora della vita. Il film illustra come sia ingegnoso il nostro spirito di sopravvivenza. Su questo punto credo si manchi di approfondimento, perché poteva esser ancora più interessante l’argomento. Ci poteva regalare un capolavoro, ma si è fermato un po’ prima il nostro David Mackenzie.
S: Se avessero perso anche il tatto, a parte che sarebbe saltato il finale (e che non sarebbero sopravvissuti) sarebbe stato molto difficile rendere la cosa dal punto di vista cinematografico.
R: Touché Silvia! Hai Colpito nel segno 😛
S: L’enfasi sull’alimentazione è terribile, quando cominciano a divorare tutto ciò che hanno per le mani, una scena che dura poco. Per il resto sono d’accordo che il continuare a frequentare i ristoranti sia una sorta di metafora, anche del fatto che non si voglia rinunciare alla vita e alla compagnia, in nessun caso.
F: Un’altra differenza con i catastrofici hollywoodiani, e con i film americani in genere, è che qui i protagonisti non fanno sesso con la biancheria intima addosso o con il lenzuolo fino ai seni. Non c’è quella pruderie pseudo-moralistica sul nudo che dà veramente fastidio in certi film. In alcune di quelle pellicole che ho definito “di effetti speciali” è questa la caratteristica più fantascientifica della sceneggiatura!
S: Ora però vorrei fare un po’ di polemica: a me la gente che mangiava al ristorante, continuando anche coraggiosamente, se vogliamo, la vita di sempre ha fatto venire in mente gli altri, che non si vedono mai: quelli che al ristorante non possono permettersi di andare, e il resto del mondo. Capisco che il film debba pure scegliere un’angolatura, un luogo. Però gli altri dove sono?
F: Sì, credo che sia una scelta fatta a monte dallo sceneggiatore, che è danese. La fine del mondo vista dalla prospettiva dei sentimenti. Forse è questo che salva il film dall’omologazione con altri prodotti. “C’è l’oscurità, c’è la luce, ci sono uomini e donne, c’è il cibo, ci sono i ristoranti, le malattie, c’è il lavoro, il traffico, i giorni così come li conosciamo, il mondo così come lo immaginiamo. Sopraffatte dal dolore, le persone sono segnate da tutto ciò che hanno perso. Amanti che non hanno mai avuto, tutti gli amici partiti, il pensiero di tutte le persone ferite…” Questa frase off pronunciata dalla protagonista è uno dei momenti di empatia più alta del film, per me.
S: Hai ragione, è un momento forte del film. E devo dire che anche la questione di ciò che perdi quando se ne va l’olfatto, è angosciosa, perché per noi gli odori sono sempre un sottofondo, magari manco ce ne accorgiamo ma l’odore di casa, delle persone che hai accanto, di quando eri piccolo sono un pezzo grande della tua identità.
F: Sì, quella connessione, bene evidenziata, tra olfatto e memoria è commovente, un momento azzeccato. Ti spinge a riflettere su quanto sia vero. Gli odori dell’infanzia…
R: Ma vi siete chiesti cos’è il senso perfetto del titolo?
F: Questa è una bella domanda. Forse non è uno dei cinque sensi canonici. Forse la voce off dice qualcosa nell’ultima scena? ricordo male?
R: A volte ho trovato questo film troppo didascalico, ma su questo interrogativo lascia la risposta all’interpretazione dello spettatore, però ci sono alcuni Indizi non proprio espliciti. Forse il senso perfetto non è fra i classici cinque sensi. Forse quando non si può avvertire più nulla, rimangono “le sensazioni dell’animo” e, quella di essere utile all’altro ci può appagare e farci trovare la forza per andare avanti, anche nella tragedia più “buia”. Sarà questo il messaggio in bottiglia del film?
S: Forse sì. O forse è proprio il tatto, che come dicevi tu, Riccardo, ci viene lasciato misericordiosamente, ciò che ci fa sentire ancora vicini.
F: Più che esplicito è “letterario”, con quella voce fuori campo che in realtà non spiega, ma interpreta ciò che sarebbe difficile spiegare solo con immagini e suoni.
R: E qui ti voglio. Io scommetto forte sul fatto che senza voce off in alcuni momenti il film sarebbe stato più poetico e coinvolgente.
F: E questo mi ricorda che nel suo Director’s Cut di Blade Runner, Ridley Scott eliminò tutte le “spiegazioni” che la produzione aveva inserito come voce fuori campo del protagonista.
R: I grandi artisti lavorano in sottrazione 🙂.
S: sono d’accordo, talvolta le spiegazioni tolgono gradi di libertà a chi guarda, d’altra parte senza voce off forse sarebbe diventato un film d’élite.
R: Parentesi what if: se fosse stato ambientato in Italia, al momento della scomparsa del senso del gusto avremmo assistito sicuramente ad un film su un suicidio di massa 😛. Tornando seri: la percezione che ho avuto guardando Perfect Sense è che potesse davvero diventare un piccolo capolavoro, ma si è perso in alcuni aspetti, ad esempio l’eccessivo didascalismo. Però emoziona, e per me è un presupposto essenziale affinché possa definire “bello” un film.
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