Dove prima c’erano colline, oggi c’è il mare; dove c’erano montagne e foreste, oggi ci sono isole
Scaricalo qui: Arcipelago dei limoni, Delos Digital
L’innalzamento del livello dei mari, a causa della catastrofe climatica che ha provocato lo scioglimento dei ghiacci, ha sommerso le coste e le pianure. I sopravvissuti vanno avanti in condizioni di scarsità, dispersi su isole che un tempo erano rilievi. La protagonista Zoe ricorda ancora i tempi andati, ma sa che non torneranno, e che deve adattarsi a questa isola. L’intero arcipelago dipende per i rifornimenti dagli abitanti dell’isola di Martha Ford, i quali possiedono anche la tecnologia genetica essenziale per le coltivazioni alimentari, che permettono la sopravvivenza di tutti gli sfollati. Sull’isola in cui vive Zoe non crescono altro che limoni, e le derrate alimentari distribuite dai Ford non sono adatte a ottenere sementi. La dipendenza dalla loro benevolenza è strettissima, ma qualcuno sull’isola dei Politi decide che sarebbe ora di permettere a tutti di gestire il proprio fabbisogno alimentare. L’unico modo è affrontare direttamente la gente di Martha Ford, che sembra avere in mano il destino di tutti i superstiti nell’Arcipelago dei Limoni.
L’autore
Stefano Zuliani (lui/ləi) è natə a Pordenone nel 1996 e vive a Torino. Studia Sociologia, è unə attivista eco/queer e ha un digital garden, Mycena (www.zulianis.eu). Scrive articoli su giardino-punk.it e ha pubblicato alcuni racconti su rivista. Nel 2019 ha scoperto il solarpunk e ha iniziato a immaginare mondi possibili. Frequenta l’utopia sia nella narrativa che nelle pratiche quotidiane.
L’incipit
Si dice che nessuna persona è un’isola, ma è difficile crederci quando le isole sono tutto quello che hai intorno. Là dove prima c’erano le colline, oggi c’è il mare; dove c’erano le montagne e le foreste, oggi ci sono isole con nomi e cognomi. Moli al posto delle radure, ai quali attraccano rari skiff e motoscafi elettrici. E sugli altopiani, dove abitavano i cinghiali, i lupi, gli orsi e perfino alcuni stambecchi, oggi c’è casa mia.
È una costruzione modesta, tre stanze in tutto, mura a secco senza decorazioni. C’è un vialetto di sabbia battuta davanti all’ingresso, che dalla porta principale conduce al filare di limoni. Sono solide piante dal tronco alto e sottile, le chiome che trattengono il vento. Dalle finestre del soggiorno mi interrompono la vista del mare aperto.
È quasi autunno. Il vento muove le foglie, i frutti gonfi penzolano come battenti senza campana. Manca poco al tramonto. Sono uscita e mi sono seduta sotto le chiome. Pensavo di leggere un libro, ma poi mi sono messa a chiacchierare con un limone fra gli ultimi cresciuti. Ha il fusto esile come quello di una pianta in vaso, la chioma poco più larga di un ombrello pieghevole, quest’anno non ha fatto neanche un frutto, ma tutto sommato sembra in salute.
I limoni sono una delle pochissime piante che riescono a crescere su quest’isola. Una volta che la terra è stata impregnata d’acqua di mare, resterà salata per sempre, e niente può più crescere. Al limone però non importa, forse perché si è abituato a vivere in riva al mare molti secoli prima degli altri. Stagione dopo stagione, una tempesta d’acqua salata dopo l’altra, va avanti a mettere le sue foglie verde scuro e a produrre i grossi frutti appariscenti e bitorzoluti, gli umboni, che spuntano in primavera e appesantiscono le fronde fino a piegarle verso il basso. Hanno un sapore agro, ma non importa. Anzi, è giusto così, forse sono qui a ricordarci di tutta la bellezza che non è fatta per noi.
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