di Riccardo Muzi
Ci risiamo: quellǝ del collettivo Solarpunk Italia si son visti un altro film e son partiti con la chiacchiera. Dopo Aniara e Perfect Sense, questa volta la colpa del dibattito a tre (Silvia Treves, Franco Ricciardello e Riccardo Muzi) è da imputare a The Philosophers – After the Dark.
Massima allerta: diluvio di spoiler.
Franco: confesso che ci provo molto gusto a questi nostri dialoghi sui film che in un modo o nell’altro possiamo considerare anticipatori del Solarpunk, perciò ve ne propongo un altro. In realtà qui il riferimento non è tanto nell’ambientazione, quanto alla questione della sopravvivenza dopo una apocalisse mondiale. Il film si intitola The Philosophers, i filosofi, del 2013, regia di John Huddles; negli USA era però intitolato After the dark, ed è con questo titolo che è distribuito in Italia. L’avete visto?
Riccardo: in effetti, questo approccio al cinema piace anche a me. Come se, senza un minimo di falsa modestia, volessimo in qualche modo ripercorrere i famigerati dialoghi di Platone. E in questo caso, visto il titolo del film, mi sembra una citazione molto appropriata anche se adesso il grande filosofo greco starà turbinando nella tomba 🙂. Comunque, la risposta alla tua domanda è: si, l’ho visto!
F: Prima di vederlo, non avevo molta voglia di un film post-catastrofico, soprattutto di produzione americana. Mi hanno incuriosito la co-produzione indonesiana, il preteso taglio “filosofico” e soprattutto l’ambientazione. Un post-apocalittico a Giava? Sono rimasto affascinato dalle scene girate nel sito archeologico dei templi di Prambanan, che ho visitato anni fa. Mi è sembrata una scelta originale rispetto alle solite ambientazioni urbane dei film sull’olocausto nucleare.
R: negli ultimi anni le produzioni statunitensi stanno cercando altre ambientazioni, rispetto alle loro città e ai loro paesaggi, perché probabilmente hanno capito di avere saturato l’immaginario collettivo. Sono alla ricerca di nuove location: questo film è del 2013 e già la tendenza era abbastanza avviata. Anche io, film come questi tendo a saltarli a piè pari. Ma a volte sbaglio, perché dietro certe produzioni statunitensi ogni tanto c’è della materia interessante. E Qui ce n’è. Anche se bisogna ammettere che c’è anche da sfoltire molto.
F: Intanto ripropongo la trama: l’ultimo giorno di scuola alle superiori, a Jakarta (ma gli allievi sono studenti di diverse razze) un professore di filosofia impone un role-play sul comportamento degli stessi nel caso in cui venissero sorpresi, durante una gita scolastica, da un olocausto nucleare e dovessero decidere chi di loro potrà salvarsi trovando rifugio in un bunker antiatomico. Il film racconta situazioni differenti con dinamiche sul confronto tra scelte razionali / scelte emozionali, o tra scienza e cultura che ho trovato interessanti. Il professore distribuisce a caso a tutti gli allievi delle istruzioni di role-play che indicano un mestiere, una capacità individuale, sollecitando a una scelta “razionale” sulla base di queste competenze, dal momento che il bunker è predisposto per garantire la sopravvivenza per un anno di solo dieci individui. Ci sono naturalmente opinioni differenti, per cui si procede a votazioni su ogni singolo caso. Come il professor Zimit si aspettava (e a questo punto sembra che in ciò consista il suo insegnamento), vengono classificati come inutili, e quindi non inclusi, prima di tutto coloro che possiedono puramente attitudini artistiche. L’ambientazione si alterna tra l’interno dell’aula di scuola, un tipico padiglione di kraton giavanese, e il sito archeologico di Prambanan, dove si vuole situare l’ingresso del bunker.
Silvia: Questo “I filosofi” mi è piaciuto molto, è un esercizio della mente, stimolante. Bella l’ambientazione, e bizzarra ma efficace l’alternanza della discussione teorica con la situazione reale: “Immaginate che, durante una gita, tutti noi veniamo catapultati in un’apocalisse nucleare.” Detto, fatto. Le situazioni si ripetono con variazioni significative: la prima volta le carte distribuite dal professore indicano per ognuno soltanto competenze individuali in base alle quali si verrà accettati nel bunker o scartati. Apparentemente la scelta è estremamente razionale: chiunque abbia talenti superflui verrà scartato. Ma i principi da seguire non sono sufficientemente esplicitati: si vuole far sopravvivere la specie? Allora perché non tenere un paio di uomini e tutte le donne possibili, anche quelle malate purché non abbiano problemi genetici?
F: Il film percorre più “partite” con i cartoncini, perché le prime non finiscono bene; in quella iniziale, per esempio, i partecipanti selezionati si chiudono nel bunker e lasciano fuori il professore, disgustati dal suo cinismo pratico; purtroppo non sanno che lui è l’unico a conoscere il codice che permetterà la riapertura della porta, al termine di un anno, e così moriranno tutti di asfissia. Hanno deciso “al buio”, ignorando questo dettaglio, e hanno fallito. Allora il professore propone un secondo role-play.
S: Nel secondo role-play, però, i giovani decidono di stare ognuno/a con un/una partner, una scelta che non risolverebbe la salvezza della specie umana. Qualcuno, però, grazie alla memoria fotografica ricorda il codice mostrato dal professore. Nuovamente il professore viene lasciato fuori.
F: Sei sicura che venga nuovamente lasciato fuori? Mi pare che sia quando entra e per una serie di esclusioni, è lui il destinato a fare l’amore con Petra, la bionda.
S: Sì, hai ragione. Però come si inserisce la ragazza che dice di ricordare il codice mostrato dal prof? quando lui mostra il codice all’inizio della seconda entrata nel bunker? Comunque, in entrambe le prime due “scene” le donne vengono relegate al ruolo di madri, o almeno questo è il sottinteso
F: Nel secondo role-play lui per vendetta, o per altro motivo di rancore, spalanca la porta dopo che è stato ferito perché voleva costringere, sotto la minaccia di un’arma, una ragazza a un rapporto sessuale a scopo di riproduzione, e muoiono tutti. Forse è quando digita il codice che uno dei ragazzi vede e memorizza… Nel secondo role-play, il prof. Zimit aggiunge al primo biglietto, che conteneva un ruolo sociale, un dettaglio: p.es. “omosessuale”, “contagiata con il virus Ebola”, oppure una particolare abilità che può confermate o ribaltare l’importanza del personaggio, e l’interesse generale a farlo entrare o meno nei dieci. Appena chiusi nel bunker, deliberano di provare a riprodursi per dare un futuro, così sostiene Zimit, alla razza; ma la questione è complicata da una coppia omosessuale, dall’infertilità e dalla concomitanza di cicli sessuali, per cui gli unici due che possono cominciare sono Zimit stesso e Petra, la prima della classe, la quale però è fidanzata con un altro dei presenti nel bunker, James (che nel gioco della sorte è “omosessuale”). Nonostante le obiezioni del ragazzo, Petra si apparta con il professore, come deciso. Solo nel finale del film il significato di questo gesto verrà ribaltato.
S: Il problema, secondo me, è se questo tipo di “esperimento” abbia o meno un senso. Ci sono “giochi” che non ha senso accettare. Petra, secondo me, quando sceglie le persone da “salvare” in parte lo fa: apre le porte a poeti e artisti, perché sono altrettanto importanti della questione di riprodursi. Forse una società futura nata per salvare una specie capace di scatenare una guerra nucleare, un’altra volta, senza imparare nulla dal passato, non vale la pena di essere salvata, a meno che non elabori altri valori. Questo intendevo, dicendo che le donne vengono relegate al ruolo di fattrici.
R: l’idea del role-play è interessante, ma non mi ha così entusiasmato. Devo dire che più che dalle dinamiche del gioco, che personalmente ho trovato un po’ posticce e in alcuni casi troppo banali, sono stato incuriosito dal rapporto studenti-prof. Mi ha colpito, come nel gioco, e in parte nella realtà, l’autorità del professore venisse messa in discussione con una certa disinvoltura…
S: Vero. A me ha colpito nell’ultima scelta l’alunno che se ne va con la barca in un’altra isola insieme a un po’ di ragazze, facendo saltare il gioco non accettando più le regole.
R: Oltre al tema delle competenze utili, della salvaguardia del genere umano attraverso la riproduzione, c’è anche la questione dei rapporti di potere che, se non sbaglio, si rimodulano a seconda del role-play. Alcuni partecipanti, più influenti di altri, in qualche modo decidono il destino della piccola comunità di studenti
F: Infatti, gli studenti non mi sembrano propensi a accettare ‘a scatola chiusa’ la validità dei ragionamenti del professore – che sono utilitaristici, finalizzati a rimettere in piedi una società (capitalista) nel più breve tempo possibile. Fino dall’inizio sono respinti dal suo cinismo pratico, e poi, come dice Silvia, forzano apertamente le regole del gioco su presupposti morali, o estetici, anziché razionali. È significativo che verso la fine Petra dichiari apertamente la sua sfiducia verso la possibilità di sopravvivenza, e si impegni per passare al meglio l’ultimo anno che è loro concesso.
S: Concordo, Franco, con il tuo discorso sul ragionamento del prof, finalizzato a rimettere in senso velocemente “una società capitalista”.
R: Si, c’è questa urgenza al ritorno alla “normalità”, quando molto probabilmente è la normalità che ha causato l’olocausto atomico che devono affrontare nelle varie versioni del gioco virtuale. L’esercizio del prof è più su come rifare la società, e non su come rifarla senza ripetere quegli errori che hanno portato al rischio estinzione. La sua messa in discussione forse potrebbe far pensare alla volontà (probabilmente inconscia) da parte degli studenti di mostrare le crepe logiche del gioco-esercizio: se vuoi veramente salvare l’umanità, ok la salvaguardia della specie, ma devi anche capire da cosa l’hai salvata. Però mi pare che nel film non venga sottolineato quest’aspetto che, invece, è sarebbe stato molto interessante approfondire.
S: Sono d’accordo, Riccardo. Nel film l’aspetto “da cosa hai salvato la specie” viene sottolineato poco. In qualche modo suggerito, forse, d’altra parte, la figura del prof è abbastanza ambigua, si comporta da manipolatore, ad esempio quando – come fa osservare l’alunno che nella realtà sta con Petra – traffica con le definizioni delle caratteristiche da assegnare ai giocatori. E questo, come spinge gli studenti a ribellarsi al gioco virtuale, forse può suggerire agli spettatori di ampliare il loro punto di vista.
R: In ogni caso, è un film che non riesco a decifrare bene. Gli spunti ci sono, però non mi sembrano sviluppati a dovere. Sarà che avvertivo troppo quest’aura da Young Adult, genere che non apprezzo più moltissimo, forse per limiti di età 😛
S: Capisco ciò che intendi. Forse promette più di quanto mantenga. L’idea dell’esperimento filosofico è molto stimolante ma… C’è l’elemento YA e c’è il fatto che il prof non è un elemento neutro, prende posizione per i propri interessi, così perde autorevolezza, anche come docente.
F: Sì, diciamo che a un certo punto il baricentro della narrazione si sposta dalle speculazioni sulla sopravvivenza al rapporto tra il professor Zimit e gli allievi, in particolare con Petra, dal collettivo al privato. Questo ribalta il significato di alcune scelte operate nei role-play, è un colpo di scena che però dà un significato diverso al film.
R: Alla fine, infatti, io non capisco se il rapporto fra il prof e Petra, che a mano a mano emerge, umanizzi il discorso o lo mandi in vacca completamente 🙂
S: la seconda, a pensarci bene. E anche le ultime scene… mi chiedo se non sia la dichiarazione di un fallimento non solo del personaggio ma anche del film.
F: Io non la vedo così negativamente. Diciamo che quella soluzione finale, il dialogo tra Petra e Zimit, da una parte serve a mostrare in nuova luce l’acquiescenza di lei quando le era toccato di giacere con il professore “a fini riproduttivi”: non perché si fosse sottomessa alla logica sopravvivenziale, ma nel tentativo di tenerlo lontano dal suo ragazzo. Dall’altra parte mi sembra di capire che il messaggio è: “Non c’è salvezza da un olocausto nucleare, possiamo puntare su una sopravvivenza della specie, ma le condizioni sono fortemente contrarie”. Che i “sopravvissuti” siano professionisti preparati o umanisti lasciati a se stessi, la storia non cambia: è la fine del mondo.
S: Sicuramente il dialogo illumina la personalità di Petra. Per il messaggio non so. Sicuramente l’olocausto nucleare è la fine del mondo. Però, il fatto che alla fine (fortunatamente) non sia avvenuto, come va letto?
F: Non è ANCORA avvenuto…
R: Per me, invece, il messaggio è: “Se ci sarà un terribile evento catastrofico, qualsiasi progetto salvifico si prospetti andrà in malora a causa delle relazioni amorose, manifeste o sottaciute” J
F: Si vede che sei in una fase di romanticismo calante
Comments are closed