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Alexandra Kleeman, Qualcosa di nuovo sotto il sole, Black Coffee, pp. 358, euro 18,00 stampa, euro 9,99 eBook

Qualcosa di nuovo sotto il sole è un romanzo straniante, che inizia in piena letteratura mimetica e finisce da qualche parte non esattamente identificabile, tra il deserto americano e l’entropia narrativa postmoderna. Racconta la crisi climatica globale e la fine del sogno americano, che come in ogni climate fiction che si rispetti va a morire là dove è nato: in California. Go West!

Patrick Hamlin è uno scrittore poco conosciuto della East Coast, che arriva in California per le riprese di un film tratto dal suo romanzo Elsinore Lane, nato da esperienze familiari personali; ma sul set delle riprese, dove viene impiegato dalla produzione in compiti di basso profilo, Patrick si accorge che la sceneggiatura stravolge il senso del suo testo, trasformato in una banale storia di fantasmi con risvolti horror trash. Naturalmente, avendo ceduto i diritti dell’opera, non ha possibilità di dire la sua; inoltre, si trova relegato nel ruolo marginale di autista della capricciosa protagonista femminile del film, la giovane diva Cassidy Carter, verso la quale Patrick prova una naturale attrazione sessuale che però riesce a controllare.

Questo è soltanto uno sbrigativo riassunto di una trama complessa e instabile, come la definisce Sophia June nell’intervista da Kleeman per il sito Nylon, che abbiamo tradotto più sotto.

Sullo sfondo del romanzo, la California è devastata da una crisi idrica senza precedenti, nella quale si inserisce il liberismo più sfrenato. L’acqua è talmente scarsa da venire sostituita da un prodotto di origine artificiale, AQUA (così la traduttrice rende in italiano l’originale WAT-R, che secondo me avrebbe potuto restare intradotto); i californiani bevono AQUA e la utilizzano per tutti gli scopi igienici e anche per altro, non solo a causa della mancanza del prodotto originale, ma per il condizionamento di una macchina propagandistica terrificante, che fa leva su una differenziazione del gusto personale indotta artificialmente: e questo, per un prodotto estremamente standardizzato.

Più la trama procede, più il romanzo scivola verso il fantastico e il paradossale; Kleeman ammette di essere una lettrice di Philip Dick e George Saunders, e si sente. Hamlin è schiacciato tra la constatazione della deriva che prende il film, e il senso di perdita che prova verso moglie e figlia, che hanno lasciato casa per trasferirsi in un villaggio simile a un co-housing tra new age e filosofico. La moglie Alison è entrata in crisi personale quando si è resa conto dell’inevitabilità della catastrofe climatica, mentre la figlia Nora è una bambina estremamente precoce per la sua età, con pensieri che sconcertano il padre.

L’altra protagonista del romanzo, che acquista sempre più spazio con il progredire della narrazione, è Cassidy Carter, ex diva-bambina marginalizzata a causa dei suoi atteggiamenti non-conformisti; è famosissima tra i giovani per aver interpretato di una serie tv durata più stagioni, Kassi Keene detective, con incongruenze di trama così grosse che hanno dato origine a un sottobosco complottista in diversi sociali, dove c’è chi pretende di individuare nel serial significati nascosti che celano rivelazioni impensabili sulla natura dell’esistenza.

La trama procede in maniera appunto instabile, tutto sembra rivelarsi falso, in un tour de force che cita il Pynchon pseudo-hard boiled di Vizio di forma, ma con una sobrietà più simile alla scrittura di DeLillo. C’è chi ha parlato di neo-noir a proposito di questo romanzo — e non si può negare che qualche elemento ci sia, però è come se fosse scarnificato, o messo alla berlina, perché non c’è mistero da risolvere: forse la chiave è in quel Kassi Keene detective che non ammicca al teen mystery televisivo Veronica Mars, ma alla più celebre di tutte le detective girls: Nancy Drew — non è ovviamente un caso che le scrittrici di questa serie di romanzi che prosegue da quasi cento anni si alternino fino dalle origini sotto il nome collettivo di Carolyn Keene.

Coscienza della catastrofe climatica e della non-riformabilità del liberismo americano sono la sovrastruttura ideale di questo romanzo divertente, insolito, sconcertante, che si lascia rincorrere dal lettore lungo le strade di un desolato futuro prossimo in cui anche il bene primario più naturale, l’acqua, è stato privatizzato.

Franco Ricciardiello

La Edizioni Black Coffee è una casa editrice indipendente, con vesti grafiche semplici ma accattivanti, specializzata in letteratura contemporanea nordamericana, sia narrativa che saggistica. Proprio Alexandra Kleeman è stata una delle prime autrici in catalogo, con Il corpo che vuoi (You too can have a body like mine, 2015), apparso nel 2018 e ripubblicato in una nuova edizione tre anni dopo: un esordio fulminante per l’autrice, che le valse presso la critica americana un accostamento a Don DeLillo.

Alexandra Kleeman, statunitense, è nata nel 1986 a Berkeley, nella baia di San Francisco; figlia di un’insegnante cinese di Taiwan e di un professore di studi religiosi, dopo aver studiato scrittura creativa ha un esordio esplosivo nella narrativa con il romanzo Il corpo che vuoi (You too can have a body like mine, 2015), che appare subito fuori dagli schemi; i critici lo paragonano a L’incanto del lotto 49 di Pynchon, Città di vetro di Auster e Rumore bianco di DeLillo.
Dell’anno seguente è un’antologia di storie scritte con il medesimo stile anticonformista, Intuizioni (Intimations); nella quarta di copertina della prima edizione si legge: “una raccolta di racconti stimolanti e spesso inquietanti che consiste, in linea di massima, in diagrammi narrativi delle tre fasi principali della vita umana: nascita, vita e morte.”
Nel 2021 Kleeman pubblica il suo secondo romanzo, Qualcosa di nuovo sotto il sole (Something new under the Sun), e vince il Rome Prize per la letteratura, una borsa di studio assegnata dall’American Academy di Roma.

Alexandra Kleeman, foto Arturo Olmos

Il mondo allettante e incerto di Alexandra Kleeman

Sophia June, da Nylon

Il nuovo romanzo neo-noir di Alexandra Kleeman Qualcosa di nuovo sotto il sole racconta di cambiamenti climatici, celebrità e California.

Alexandra Kleeman non ha paura di spingersi verso l’inquietante. Il suo romanzo d’esordio del 2015, distopico, cupamente divertente, devastante e scomodo, Il corpo che vuoi, affrontava l’ossessione per il corpo e fotografava la perdita di aderenza al sé e alla realtà che sperimentiamo attraverso la tecnologia, raccontando la storia di una narratrice di nome A, della sua coinquilina B e del fidanzato della sua coinquilina C.

Qualcosa di nuovo sotto il sole parla di uno scrittore che si trasferisce a Los Angeles per supervisionare la produzione dell’adattamento del suo libro, solo per trovare una città in progressivo deterioramento, alle prese con siccità e incendi — e svela il mistero di un’azienda che spaccia una nuova e inquietante marca di acqua sintetica chiamata WAT-R che i residenti devono acquistare, commercializzata in font Helvetica[1] e venduta a 4,50 dollari la confezione. È un romanzo neo-noir attuale in modo inquietante, ambientato in un’estate in cui il mondo è sempre più chiaramente in pericolo: incendi nel Golfo del Messico, ondate di calore che uccidono centinaia di persone nel Pacifico nord-occidentale e inondazioni in Germania, per citarne solo alcune.

Quando NYLON ha parlato del libro con Kleeman in una recente giornata di fine luglio, il fumo a New York City era denso per gli incendi a 3.000 miglia di distanza nel Pacifico nord-occidentale, dove Kleeman si reca per l’estate. Sembrava, come nel libro, che non si potesse scappare da nessuna parte.

“Vogliamo continuare a credere che quando arriverà, sarà grande e devastante, immediatamente riconoscibile, e toccherà tutti quanti contemporaneamente”, ha dichiarato Kleeman a NYLON al telefono. “Penso che la verità del cambiamento climatico sia che altre persone ci stanno già vivendo, le loro case sono inabitabili a causa di questi cambiamenti che stanno avvenendo ovunque, ma in modo diverso in luoghi diversi”.

Kleeman è un esperta nel de-familiarizzare cose bizzarre che siamo abituati ad accettare come normali: un’ex star bambina ormai cresciuta che ha un crollo davanti ai paparazzi, gli effetti fisiologici di un popolare farmaco per l’acne, un cliente viene attaccato da un animale selvatico nel parcheggio di un centro commerciale che si avvicina troppo alla natura. Il mondo di Kleeman è inquieto, ma lo è anche il nostro. E lei fa leva su questa inquietudine per creare un mondo che è solo di qualche grado più inquietante del nostro, chiarendone l’assurdità.

Da dove è nata l’idea di questo libro? Il cambiamento climatico era qualcosa che voleva affrontare in modo specifico?

Il cambiamento climatico è qualcosa che volevo affrontare in modo specifico, ma stavo anche pensando a come affrontarlo in modo da farlo sentire più presente. O renderlo in modo astratto e poi occasionalmente diventare renderlo estremamente presente, come posso metterlo sulla pagina e raggiungere questa strana, spettrale, astratta qualità assolutamente onnipresente?
Poiché sono una persona che vive nel proprio corpo, nel bene e nel male, e vengo dall’Ovest, dal Colorado, dove abbiamo alcuni dei stessi problemi di scarsità d’acqua e siccità della California, ho voluto inventare una sostanza, quest’acqua finta, che entrasse nel corpo e rendesse palpabile l’errore. Non so se avete mai avuto l’esperienza di viaggiare in una città dove si beve l’acqua dal rubinetto e si pensa: “Qualcosa in quest’acqua non va bene secondo me, non mi sembra giusto”, e questa sensazione istintiva, in cui il vostro intero sistema di valori si scontra con la sostanza, è qualcosa che mi interessa molto. Non si può razionalizzare, ma si sente che qualcosa non va.

Scegliere di creare una sostanza sintetica onnipresente e necessaria come l’acqua è un modo interessante per parlare di questa sensazione corporea, soprattutto perché il nostro corpo è composto per circa il 60% di acqua.

Sì, certo, e quando ero più giovane ho letto un libro sull’evoluzione degli esseri umani attraverso altre forme di vita, risalendo fino a cose che strisciavano fuori dal mare, e mi è sempre rimasta impressa l’idea che noi siamo fondamentalmente mare messo in un sacco. Abbiamo così tanto bisogno del mare che ce lo portiamo dietro.

Mi parli un po’ di questa ambientazione. Cosa l’ha attirata?

Sono cresciuta per lo più in Colorado, ma da bambina mi sono spostata molto. Uno dei periodi più formativi della mia vita è stato vivere nella San Gabriel Valley, in questa parte della contea di Los Angeles dove la maggior parte delle persone che vivono a Los Angeles non vanno mai. Magari ci passano davanti mentre vanno a Joshua Tree o a Palm Springs. È un’area che per molti versi è stata trasformata in un ambiente americano familiare: centri commerciali, negozi di alimentari, In-N-Out Burgers. Ma appena dietro il nostro condominio c’era questa catena di colline da cui coyote scendevano e mangiavano gli animali domestici nel cuore della notte, dove vedevi serpenti e cose che si allontanavano da te nell’erba, e non riuscivi mai a capire bene cosa ti stesse sfuggendo, ma sapevi che c’era stata un’interazione tra te e loro, un’interazione con quel paesaggio selvaggio che si spingeva e circondava questo luogo che la gente ha trasformato a lungo per farlo sembrare familiare e amichevole e come qualsiasi altro posto, quando in realtà non lo è.
Ho sempre pensato che questa dinamica così affascinante facesse parte del paradosso dell’Occidente: abbiamo un ambiente così specifico, la siccità e l’aridità e l’occasionale umidità e i sottili margini di vita sono così specifici, eppure abbiamo portato con noi queste aspettative dalla costa orientale, un luogo ecologicamente così diverso, e le abbiamo semplicemente imposte. È come se non avessimo visto il luogo in cui ci trovavamo quando abbiamo iniziato a costruirci sopra. Parte di ciò che mi interessa è iniziare il libro con questa sensazione di normalità e, in un certo senso, scalfirla e mostrare ciò che di questo ambiente non vediamo, o che abbiamo ignorato a causa dell’assuefazione, e perché lo abbiamo trasformato in modo così radicale. Il riemergere di ciò che si trova sotto i nostri edifici e il nostro cemento è qualcosa che mi affascina totalmente.

Giusto, perché anche quando costruiamo, non possiamo sfuggire ai coyote che mangiano gli animali domestici.

Sì, e almeno c’è un ricordo di ciò che esisteva prima e di ciò che esiste intorno a noi. Dove vivo io, a Staten Island, credo sia piuttosto facile ignorare che si vive essenzialmente in una pianura alluvionale bonificata. Tutto ciò che vedi intorno è progettato per fartelo dimenticare.


Questo libro affronta molti temi: l’idea di andare a ovest, la celebrità, il cambiamento climatico. Il corpo che vuoi tratta dell’ossessione per il nostro corpo. Mi chiedo: cosa c’è nella fantascienza come genere che le permette di esplorare questi grandi temi?

Il progetto di entrambi i libri è simile. Come possiamo trovare un modo per criticare desideri, preferenze e abitudini così radicate che sono in realtà innaturali e indotte a un’età così precoce che non possiamo sapere dove iniziano e dove finiscono? Trovo sempre che i generi letterari siano utili per sconvolgere ciò che è normale. Anche quando non si va molto in profondità nel genere — questo libro ha alcuni elementi di fantascienza, ma non ha astronavi, non ha una tecnologia che non potremmo avere oggi, è fondamentalmente a una spanna da dove siamo attualmente. Ma il modo in cui il genere letterario ti spinge a guardare con attenzione il mondo che si sta costruendo e a pensare a come è stato creato, a quali elementi sono riconoscibili e a quali no, mette in discussione questa sorta di facilità con cui normalmente ci muoviamo nel mondo, e il modo in cui diamo così tanto per scontato solo per poterci muovere con maggiore velocità ed efficienza.

I suoi libri hanno un senso di inquietudine e una sensazione di incertezza. Da dove viene questo impulso?

Sì, questa è un’ottima domanda. Credo che questo impulso derivi dal posto che occupo nel mondo. Spesso faccio fatica a credere di essere dove sono, di essere chi sono. È una sorta di prospettiva amnesica sul mondo, come se mi sentissi sempre sorpresa da ciò che sto vivendo. Non è una qualità utile, ma penso di possedere qualcosa che amplifica ciò che sono in grado di osservare.

In un luogo chiuso, guardo sempre per primo la persona che si trova più a disagio o quella meno visibile, e credo proprio che il senso di realtà e di normalità sia solo la dislocazione di ciò che notiamo. Se si osserva ai margini, c’è sempre molto che sfida l’interpretazione predefinita di una scena o di un luogo, quindi, mettendolo sulla pagina, credo di costruire la realtà in modo un po’ diverso e un po’ più simile a come la vedo e la sento io, e spero di cambiare anche ciò che le persone notano intorno a loro.

Giusto, senza la paura di guardare ciò che è ai margini.

Assolutamente. Credo che molte delle storie che leggiamo siano ovviamente incentrate sull’uomo e siano raccontate a misura d’uomo, in una scala non solo comprensibile ma anche divertente. Ci piace riconoscere una trama, ci piace vedere lo sviluppo dei personaggi, ma se si guarda più lontano nella vita di una persona, mi sembra che l’epifania sia sempre la stessa. Forse l’obiettivo è trovare quale sia l’epifania a cui torni sempre e che non riesci mai a elaborare completamente. Riesce anche a vedere meglio il tuo posto nel mondo quando allarghi la visuale in modo significativo. Se vivi in un posto e non pensi di chi è la terra su cui ti trovi, a chi è stata rubata, stai davvero abitando lì o una ristretta frazione del tempo di quel luogo? E quali altre relazioni puoi trovare quando ti orienta verso i margini?

In questo libro, Los Angeles non è distrutta, ma è un po’ peggio di adesso. Lei la descrive come “gradazioni di malvagità che la facevano sentire più prossima a casa propria quanto più ci si soffermava”. È più pericoloso, più sinistro di una distruzione totale?

Questa è la domanda da un milione di dollari. Mi affascinano i film catastrofici perché sono prodotti per fare paura. A volte vogliono essere un avvertimento. Hanno anche lo scopo di far scorrere l’adrenalina, ma penso che soddisfino anche questo particolare prurito, cioè continuare a credere che quando arriverà, sarà grande e devastante, immediatamente riconoscibile, e toccherà tutti quanti contemporaneamente. Penso che la verità del cambiamento climatico sia che altre persone ci stanno già vivendo, le loro case sono inabitabili a causa di questi cambiamenti che stanno avvenendo ovunque, ma in modo diverso in luoghi diversi. Quindi, come possiamo sviluppare un’idea di minaccia e una risposta a questa minaccia che corrisponda a qualcosa che non è semplice e chiaro, e che si annuncia a gran voce come un disastro, come vorremmo? Penso che mentre la risposta “combatti o fuggi” sia piuttosto istintiva, la risposta di cui abbiamo bisogno richiederà molto più pensiero razionale e sacrificio. Ohi-ohi.

Ohi-ohi! L’altro giorno ho visto un tweet che diceva: “Accettare la fine del mondo non è questione di un momento”, ed è proprio così. Sarebbe troppo facile.

Sì, e per chi è la fine del mondo? Perché ci sono già state fini del mondo per diverse popolazioni. Penso che essere espropriati violentemente della propria terra sia un tipo di fine del mondo, quello che oggi conosciamo come l’inizio dello spostamento verso l’Ovest americano.

Quali altre opere che trattano il tema del cambiamento climatico l’hanno ispirata durante la stesura di questo libro?

Questa è un’ottima domanda. Credo che molto di questo libro sia dovuto in parte al mio amore per Philip K. Dick. Leggi più e più volte nei suoi libri che qualcuno che non si sente bene nella sua realtà, ma almeno sente come se avesse una realtà, viene strappato via da quella realtà. E l’interazione più palpabile che si possa avere con la realtà è quella di scoprire che ci si sbaglia su di essa; questo tipo di tematica, questo sconvolgimento esistenziale, è davvero importante per me. Ho anche letto molti manuali sulla natura della California, testimonianze di ambientalisti radicali e di popolazioni Chumash originarie della zona. Mary Hunter Austin, una madre single che viveva da sola nel sud della California all’inizio del secolo, ha scritto un libro intitolato The Land of Little Rain (1903) che è davvero bello: un resoconto di un’attenta osservazione della terra. Mi hanno ispirato i libri che animano il paesaggio e lo fanno sentire vivo.
Spesso nei libri si usa il paesaggio per comunicare uno stato d’animo, oppure il tempo atmosferico per dire: “Sì, qui c’è un mondo, ora torniamo alla storia”. Quando queste due cose si fondono l’una nell’altra, come accade nei momenti di disastro e di crisi, ecco il piano di realtà in cui credo. Leggo anche molti scrittori spagnoli, perché penso che la letteratura spagnola sia molto eccitante in questo momento. Samanta Schweblin, il cui libro Distanza di sicurezza (2014) è il pezzo di narrativa più intenso che abbia mai letto e anche una sorta di allucinazione, e parla anche di ambiente, come se si trattasse di una specie di tossina o di malattia o di qualcosa che si trova in questa città. È molto bella anche la Trilogia di Nocilla di Agustín Fernández Mallo.

traduzione di Franco Ricciardiello

Note

[1] Nella traduzione italiana, AQUA in maiuscoletto.


Alexandra Kleeman al Circolo Lettori di Novara, novembre 2022

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