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Theodore Sturgeon, Venere più X (Venus plus X, 1961), traduzione di Adriano Rossi, SFBC n. 14, La Tribuna 1972

Nell’attuale glorificazione di Urania da collezionisti compulsivi, ci si dimentica che negli anni Sessanta e Settanta oltre alla collana Mondadori gestita da Fruttero e Lucentini c’era un’altra pubblicazione periodica da edicola, Galassia, che sotto la direzione di Vittorio Curtoni e Gianni Montanari portava in Italia la science fiction più attuale invece di rivoltolarsi sempre sui medesimi titoli e autori di serie B.

Per Urania, la fantascienza era intrattenimento e evasione; per Galassia era Letteratura (con la L maiuscola) d’anticipazione. Non per nulla Montanari approda a metà anni Ottanta alla direzione della collana mondadoriana, quando ormai però il gusto dei lettori si è formato su un altro tipo di fantascienza.

“Venere più X” di Theodore Sturgeon esce nel 1965 nella collana La Bussola SF della casa editrice La Tribuna, la stessa che mandava Galassia nelle edicole; fu ripubblicato sette anni dopo per scelta di Montanari nella collana Science Fiction Book Club della stessa casa editrice, e solo nel 1987 approdò a Mondadori. L’edizione più recente è del 2004 in Urania Collezione: in ogni caso, la traduzione è sempre rimasta quella originale di Adriano Rossi.

Ci occupiamo di “Venere più X” in questo sito perché è una delle utopie più belle che siano nate nell’ambito degli autori di fantascienza, e perché è costruita intorno a una parità di genere sessuale che raramente è stata presa in considerazione da scrittori maschi.

È prima di tutto un romanzo d’idee, e già questo lo qualifica come lavoro a sé stante; si ribella continuamente ai canoni classici della science fiction, mantenendone semmai il gusto del meraviglioso, il piacere delle scoperte a getto continuo, la capacità di ribaltare in poche pagine tutta la situazione precedente. Ci sembra di poterlo accomunare, anche se con tutte le precauzioni del caso, a certi tentativi di romanzo-saggio che hanno visto la luce in campo mainstream in tempi abbastanza recenti.

Vittorio Curtoni e Gianni Montanari, Presentazione in “Venere più X”

Il protagonista Charlie Johns si ritrova improvvisamente nel mondo dei Ledom (è facile leggere la parola “model” scritta al contrario), una luminosa utopia dominata da scienza e cultura i cui abitanti non hanno un sesso definito. Anzi, proprio al fatto che appartengano a un genere neutro i Ledom attribuiscono il carattere pacifico della propria società, edificata sulle macerie di un’umanità autodistruttasi in una catastrofe nucleare. Da scienziati Ledom come Seace e Mielwis, Johns viene a conoscenza della mutazione genetica che ha dotato ogni abitante di organi genitali di entrambi i sessi: una società priva di inibizioni, che non conosce repressione di sorta. L’esatto contrario di una distopia.

Le differenze sessuali sono all’origine di tutti i conflitti nella storia della razza umana, per questo solo con la neutralità i Ledom hanno raggiunto l’armonia di una cultura non-gender (ispirata alle teorie dell’antropologa Margaret Mead, citata anche nel testo). Questa utopia è caratterizzata da una religione catartica che venera i bambini, perché in essi vede il futuro. Come sostiene il Ledom Philos, “diventa possibile adorare qualcuno solo quando è inconcepibile il dovergli ubbidire.”

L’esposizione dell’utopia Ledom è contenuta soprattutto nella lettera che Philos indirizza a Johns, nella quarta e ultima parte del romanzo; e non lascia l’amaro in bocca la constatazione che un ermafrodito (questo è il termine anni Cinquanta usato da Sturgeon) non è più umano, ma è diventato una creatura totalmente differente, una Venere più X, come a dire che il Ledom è “una donna più qualcosa di indefinito”. Sturgeon sembra dire che solo nella parità di genere sta la speranza di una redenzione globale; ma subito dopo, come per negarne il valore salvifico, ecco che con un colpo di scena trascina la sua utopia nel fango, triviale ma rassicurante per i lettori, degli stereotipi da fantascienza di serie B.

Perché non c’è utopia che tenga, il pubblico cui è destinato Venere più X è quello delle riviste di science-fiction: è stato Sturgeon stesso a coniare nel 1951 quella che oggi chiamiamo “Legge di Sturgeon”, che nella prima parte recita il 90% della fantascienza è spazzatura, e allora per primo asseconda il proprio aforisma e lacera il velo utopico con un tópos che lasciamo scoprire al lettore. “Non c’è paura, ma che politica, ma che cultura! Sono solo canzonette!”

Se riusciamo a non farci guastare la lettura da quel deludente finale, ci accorgiamo di avere tra le mani uno dei libri più importanti della fantascienza mondiale. Come scrisse Frederik Pohl, “Forse questo non è il romanzo più strano di Sturgeon, ma è senz’altro il più bello.”

Franco Ricciardiello
Theodore Sturgeon
sun-solarpunk
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