Kim Stanley Robinson, LA COSTA DEI BARBARI (The Wild Shore, 1984) traduzione di Gaetano Luigi Staffilano, Interno Giallo 1990
“La foresta di notte è un posto strano. Gli alberi diventano più grandi, e sembrano diventare vivi, come se durante il giorno si fossero addormentati o allontanati dai loro corpi, e solo di notte si animassero e vivessero, forse persino tirando su le radici e camminando lungo il fondovalle. Se sei lì fuori a volte riesci quasi a beccarli, con la coda dell’occhio. Naturalmente in una notte senza luna basta poco vento per immaginare cose del genere. I rami si abbassano per scompigliarti i capelli, e i suoni di acqua corrente delle foglie sono come voci fioche che chiamano in lontananza. Due buchi fanno gli occhi, un sentiero è una bocca sorridente, i rami sono braccia, le foglie mani. Facile. Eppure penso che possano essere davvero un qualche tipo di animale notturno. Sono vivi, dopo tutto.”
“La Costa dei Barbari” 4.21
Tra i romanzi della trilogia delle “Tre Californie”, questo è quello dedicato a un’umanità ridotta a vivere in assenza di tecnologie. Anche se scritto nell’84, trent’anni prima di New York 2140, molti dei temi che caratterizzeranno l’opera di Kim Stanley Robinson sono già ben sviluppati: e non parlo tanto dell’incidenza della tecnologia nella vita delle persone, quanto soprattutto della proposta di un modello sociale alternativo. Ma vediamo il romanzo.
Narrato in prima persona da Henry, adolescente appartenente alla rinata comunità della valle di San Onofre, potrebbe essere un classico dopobomba: 67 anni prima, infatti, l’inferno atomico si è abbattuto sugli USA, tramite un subdolo attentato nucleare multiplo. Qualunque sia stata la potenza atomica regista della catastrofe, non è stata punita: i responsabili militari USA non hanno voluto o potuto scatenare la rappresaglia, e le nuove Nazioni Unite mantengono gli USA sotto sorveglianza: al “nemico storico” giapponese sono state assegnate le Hawaii, e da lì la California viene tenuta sotto controllo, con attacchi mirati che distruggono ogni tentativo di costituire grandi comunità connesse da ferrovie o simili. Quando la forte e popolosa comunità di San Diego propone a San Onofre di unirsi a una resistenza anti-giapponese, la comunità è divisa: gli adulti votano contro, soprattutto le donne e gli anziani che hanno visto la guerra, ma i giovani ribollono di spirito patriottico e libertario, oltre che della voglia di sfidare i genitori…
Come si intuisce, Robinson usa le ben collaudate tematiche del romanzo post-catastrofe per introdurre temi diversi. Il romanzo è stato scritto nell’84: può apparire una chiara presa di posizione rispetto alla politica USA di quegli anni, caratterizzata dal riarmo reaganiano e dalla sfida all’URSS tramite le tanto propagandate (ma mai realizzate) “Guerre stellari”: queste avrebbero dovuto essere qualcosa di simile ai raggi laser montati su satelliti, che nel romanzo i giapponesi usano per distruggere le ferrovie quando i californiani tentano di ricostituirle. Soprattutto, l’azione è posta due generazioni dopo la catastrofe: Robinson può quindi descrivere minuziosamente l’organizzazione delle nuove comunità decentrate formate dai sopravvissuti sulla base di una forma di socialismo. Il fascino del romanzo è che questo “socialismo” non è visto tanto dal punto di vista “politico” quanto da quello “umano”: è calato e vissuto nella vita quotidiana delle comunità, in maniera forse anche più convincente dell’anarchia nei “Reietti dell’altro pianeta”. Il romanzo si apre con due grandi scene corali: l’“incontro di scambio” (“swap meet”), dove le diverse comunità, compresi i detestati “spazzini” (“scavengers”), che non coltivano né allevano ma recuperano merci dalle rovine delle città rischiando la contaminazione atomica, si incontrano per una sagra di più giorni dove nascono anche amori e risse; e la corsa collettiva a mettere al riparo le coltivazioni all’arrivo di una tempesta, per poi finire tutti insieme nelle terme comuni a togliersi il fango e il freddo di dosso. Due scene corali di grande umanità e ricchezza di caratteri e relazioni umane, che fanno pensare a quadri di Bruegel. Subito dopo arriveranno i rappresentanti di San Diego: l’armonia sarà spezzata e inizierà la grande avventura del giovane protagonista, unico prescelto per accompagnare Tom, l’anziano custode della sapienza del villaggio, nel viaggio a San Diego (suscitando le invidie dei coetanei più ambiziosi).
Il romanzo è sostanzialmente un “romanzo di formazione”, con la crescita e la maturazione del protagonista Henry “Hanker”: il più riflessivo dei ragazzi della comunità, lacerato tra la lealtà verso l’amico Steve, leader dei giovani ribelli, e la fidanzata di lui Kathryn, che chiede all’amico di riportare il fidanzato al buonsenso. Indeciso e incredibilmente ingenuo, Henry crede di far contenti tutti a forza di compromessi, anche perché scottato dal tradimento della “fidanzata” Melissa; ma quando avrà luogo la tanto desiderata incursione notturna contro i giapponesi insieme a “quelli di San Diego”, si renderà conto in modo sconvolgente che la realtà della guerra, quella della politica, quella dei rapporti umani, con cui aveva creduto di giocare con disinvoltura, sono ben più complesse e tragiche. A questo si aggiungeranno altre rivelazioni: la vera vita passata di Tom, l’anziano del villaggio; le conseguenze dell’incursione notturna, che continuano a concatenarsi imprevedibili ancora mesi dopo… tutto il “non detto” lasciato tra le righe per la maggior parte del romanzo travolge alla fine il povero protagonista, che ne uscirà trasformato.
Robinson si limita ad accennare temi “obbligati” di questo sottogenere: i bambini nati deformi per via delle radiazioni, che devono essere soppressi, con la perplessità delle persone più religiose; i nuovi riti della comunità, come il Giorno del Nome a cui un bambino deve saper arrivare dimostrando abilità normali; temi tipici, che costituivano intere parti persino laceranti di “Un cantico per Leibowitz” oppure del “Dottor Stranamore” dickiano, qui liquidati in una riga, perché interessa la vita quotidiana della persona comune. Robinson preferisce affrontare temi come l’ambiguità del patriottismo, che nei racconti di Tom non viene mai risolta; l’incertezza dei calcoli politici; il dovere di lealtà verso la propria comunità contrapposto all’indipendenza individuale.
Robinson gioca anche con la forma del racconto nel racconto: con i libri di viaggi che scaldano l’ambizione dei giovani ma si scopriranno immaginari; e i racconti del vecchio Tom, che si riveleranno artefatti, ma con un significato.
Belli i personaggi femminili anche se adolescenti, soprattutto la forte Kathryn e l’ambigua Melissa; lo stile è ricco, con minuziose descrizioni di paesaggio e delle azioni che non rallentano un ritmo avvincente, ma lontano dalla molteplicità di voci e dalle digressioni di “New York 2140”, così come dalle descrizioni un po’ scientificamente fredde e tecnocratiche della Trilogia Marziana.
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