Repost da Studio 83
Dal finalista Urania 2020 Marco Melis, un esordio solarpunk avvincente, e un approccio originale all’ecologia e alla conoscenza delle culture native, con suggestioni memorabili.
La giovane ricercatrice Martina è in cammino nel deserto sudamericano. Incaricata dall’Organizzazione Mondiale della Pace di raccogliere campioni di DNA per archivio e studio, Martina deve raggiungere un’oasi di biodiversità che non trova da nessuna parte. Forse, però, la cerca con gli strumenti sbagliati, e presto sarà l’Oasi a trovare lei, catapultandola in un mondo di foresta lussureggiante di vita, di storie, di implicazioni…
Ecco cosa racconta Melis della genesi del racconto, dei temi, dei personaggi e di come sia importante riconoscere l’esistenza di problemi specifici, sia nella letteratura che, soprattutto, nella pratica:
“Ho voluto scrivere “Oasi” per portare un po’ di biofilia nel panorama solarpunk. La perdita degli ecosistemi e della biodiversità sono tra i principali “problemi” della nostra era, ma vengono spesso oscurati dal termine: cambiamento climatico. Le parole “Antropocene” e “cambiamento climatico” sono diventate ormai delle parole-ombrello per racchiudere una moltitudine di problemi, conflitti e disastri derivanti dal nostro operato umano. In queste parole però si perde l’estrema complessità del mondo e della biosfera, e finisce così che temi come quello della biodiversità vengano sempre messi in fondo alla lista delle agende politiche e dei dibattiti pubblici (ammesso che ci arrivino).
Credo che manchi proprio una sensibilità ambientale, ecosistemica, verso le forme di vita altre. Se non si troverà il modo di sopperire a questa mancanza (magari con una materia dedicata a scuola), temo che il modo diffuso di vedere gli organismi continuerà ad andare da un estremo all’altro, entrambi sbagliati: da una parte quello dell’animale riconosciuto, che va protetto ma che diventa una mascotte; e dall’altro quello che racchiude il novantanove percento delle specie della Terra: gli innumerevoli esseri, piante, alghe, funghi, protisti, batteri e insetti di cui non abbiamo mai sentito parlare, oppure li vediamo ma li consideriamo come degli oggetti inutili, ripudianti e fastidiosi, e quindi possiamo liberarcene. Premesso che ogni specie debba avere il diritto di esistere, gli ecosistemi vengono creati e mantenuti da quel secondo enorme gruppo di organismi di cui possiamo fare fatica a ricordare il nome, e tra i quali se ne nascondono ancora tanti di cui la scienza non sa assolutamente nulla, e a cui non è stato dato ancora nemmeno un nome.
Martina, la protagonista del racconto, è una naturalista che ha proprio questo compito. Si reca in Sud America, in quel che rimane della Foresta Atlantica: deserto, soltanto deserto e rametti secchi. Si parla però di alcune oasi segrete, dei refugia nascosti in cui vengono preservati dei tratti di foresta, e che racchiudono degli scrigni di vita di cui ha sentito solo parlare. Gliene raccontava suo nonno: un guaranì che viveva nella Foresta Atlantica all’epoca del disastro. Lei dovrà scovarne di nuovi e mappare le specie che abitano l’oasi.
Nella foresta incontrerà anche delle tribù che hanno trovato il modo di proteggersi e proteggere l’ecosistema in cui vivono. Vivono nella natura, ma si portano ancora dietro una certa influenza tecnologica occidentale, dispositivi elettronici dell’epoca passata. C’è quindi una venatura cyber-indigena, che a me piace molto e non è poi così tanto futuristica. I Sarayaku, ad esempio, che vivono nella regione amazzonica dell’Ecuador, sono riusciti a mantenere le proprie tradizioni senza fare a meno della tecnologia. Non lo considerano un male. I problemi piuttosto arrivano da chi vuole espropriarli dalle loro terre, perciò tra loro si trovano anche molti attivisti. Riescono a portare la tecnologia a loro favore, per farsi sentire, e questo mi ha ispirato molto anche per creare le tribù del mio racconto. A quanto pare il Solarpunk è molto più reale di quanto si pensi.
La protagonista, originaria di Cagliari, aderisce grazie all’università all’Half-Earth Project, un progetto realmente esistente fondato dal biologo statunitense Edward Osborne Wilson, che propone di destinare metà della superficie terrestre all’uomo, e metà a un’immensa e inviolabile riserva naturale (che coincide con le zone con un più alto tasso di biodiversità) per salvaguardare i milioni di organismi che vi abitano.
Le informazioni sull’oasi sono vaghe, e questo serve per tutelarla.
Parlare di biodiversità è quindi importante, adoro tutti i racconti che presentano un certo tasso di biodiversità, o nominano specie poco conosciute. È un modo per rimanere a contatto con “il problema”. “Il problema” è complesso, sfaccettato. Sembra molto metafisico dirlo, ma tutto è connesso, nel mondo reale e “scientifico”, come in quello “spirituale” degli abitanti delle foreste. È forse per questo motivo che i nativi dell’Amazzonia magari si ritrovano a vivere in modi molto più ecologici e sostenibili dell’”uomo bianco occidentale”.
Marco Melis
Marco Melis è un ottimo conoscitore del solarpunk e delle tematiche a esso associate. (Per sapere cos’è il solarpunk, ti consigliamo di leggere il manifesto di Solarpunk Italia, che ha Giulia Abbate tra le firme.) Giulia è anche l’editor di “Oasi”, e ha lavorato con Marco Melis per l’uscita del racconto in Futuro Presente.
Marco racconta in questo modo il lavoro svolto:
La mia esperienza con Giulia Abbate e Studio83 è iniziata più o meno l’estate scorsa. Chiaramente il suo nome circolava nel fandom, ma quando ho letto il “Manuale di scrittura di fantascienza: Passaporto per l’eternità”, scritto da lei e Franco Ricciardiello, ho voluto approfondire. Ho chiesto una scheda di valutazione premium per un romanzo bio-solarpunk che volevo candidare al Premio Urania. Trattandosi del mio primo romanzo, avevo le idee un po’ confuse, ma il lavoro di Giulia è stato fondamentale per tirar fuori una storia come si deve.
Quando si richiede una scheda di valutazione professionale, sicuramente bisognerà mandare giù dei bocconi amari. Tuttavia, se ci si trova in mani sicure quell’esperienza si trasforma in un corso di formazione che può insegnare tanto, soprattutto a un esordiente. Giulia ha avuto fiducia in me e nella storia e mi ha invitato a non indugiare sulla candidatura al Premio Urania 2020. E così il romanzo “Preutopia” è arrivato in finale, accanto a quello della vincitrice Elena di Fazio. Un traguardo che sono sicuro non avrei raggiunto senza l’aiuto di Giulia.
Mentre aspettavo l’esito del Premio Urania, ho scritto “Oasi”, il mio primo racconto lungo solarpunk. Ho inviato tutto a Futuro Presente e sono contento sia piaciuto anche alle curatrici.
Quello che ho capito sin da subito, comunque (e che posso confermare anche dopo la curatela di “Oasi” per Futuro Presente), è che questi momenti di confronto sono preziosi per uno scrittore, sia per migliorare lo stile, che per imparare meglio il mestiere. Io di certo non ne potrò fare più a meno, ogni volta che avrò una storia tra le mani, la farò valutare da lei.
Marco Melis
Marco Melis è nato in Sardegna, ma vive in Abruzzo. Ama leggere di biologia, di biotecnologia, di Homo sapiens e di altre forme di vita: di questi temi e letture parla sul suo profilo instagram @biobooks7 e sul portale Solarpunk.it. Giunto finalista al Premio Urania 2020 con il romanzo Preutopia, con il racconto Oasi esordisce nella narrativa.
“Oasi” di Marco Melis è disponibile sullo store di Delos Digital e su tutti i principali negozi di ebook. Non perdete questa lettura decisamente “rinfrescante” in tutti i sensi!
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