Franco Ricciardiello, Outremer, Atlantis n. 29, Delos Digital editore, ebook € 1,99
Franco Ricciardiello, con questo racconto, ci porta in un viaggio all’interno di una comunità tanto immaginaria quanto necessaria e attuale, quasi fossimo dentro una realtà artificiale creata da un visore che ci permettesse di guardare a un mondo “altro”.
“Outremer” è il nome di un’enorme piattaforma di rifiuti che si sposta nell’oceano, sulla sua superficie vive una popolazione umana di scienziati, artisti, attivisti, economisti, programmatori. Sull’isola hanno creato un’associazione collettiva, nata in segreto, che non segue le regole della società mondiale così come la conosciamo oggi.
È l’isola utopica di Tommaso Moro nell’epoca del post capitalismo, del post scarsità, della decrescita forzata e del recupero. Come nel romanzo dell’umanista inglese, anche qui un viaggiatore ha la possibilità di esplorare questo pianeta “alieno”, lì era il filosofo Raffaele Itlodeo, qui un giornalista di una testata internazionale. Si entra con lui nell’esplorazione filosofica di un esperimento che prova a creare energia pulita, dove la proprietà non esiste, dove lavora solo chi vuole, dove la forma comunitaria è estesa nel suo significato più ampio possibile.
Il racconto che ne fa il protagonista, voce anche dell’autore, è più concettuale che pratico, dal momento che certi funzionamenti e le applicazioni concrete di alcuni sistemi non vengono sempre spiegate, a volte sono lasciate a un possibile seguito o ampliamento del testo. Forse la forma cortissima dell’opera crea un po’ di acquolina in bocca e la grandiosità dell’idea potrebbe apparire incompleta, bisognosa di alcuni capitoli aggiuntivi. Vedremo se ci saranno seguiti.
È vero anche che le opere di letteratura alternativa possono ormai avere la forma breve e raggiungere come una deflagrazione punk i lettori e stimolarne i pensieri durante il quotidiano sempre più rapido e forsennato, così erano infatti anche le tracce dei primi album musicali del punk inglese: dirette, immediate, incomplete, imperfette. Con una carica energica però chiarissima. L’isola galleggiante si sposta come un vascello pirata (non corsaro, attenzione, i corsari erano legittimati dal potere dei sovrani), ricordando anche l’irresistibile palazzo semovente e governato da impiegati ribelli immaginato da Terry Gilliam nel prologo di quella pietra miliare della satira che è “Il senso della vita” dei Monty Python.
Quest’isola fatta di spazzatura riciclata potrebbe avvicinarsi anche a film come “Waterworld”, inconsapevolmente un po’ solar, e alla saga di Mad Max, decisamente non solar: riusciamo a immaginarla, con le sue alte torri di ferraglia, plastica e componenti elettronici di milioni di computer o apparecchiature, con i gabbiani che volteggiano intorno. Siamo liberi di fantasticare sul contrasto tra le “schifezze” abbandonate e la creazione di qualcosa di utile, bello, pacifico, pulito. Anche se non c’è una trama e il viaggio è soprattutto visivo ed illustrativo, è impossibile non rimanerne affascinati.
Nel racconto è trattata anche la libertà di composizione artistica, fondamentale per la psiche umana, e l’etica sessuale e identitaria libertaria. Gli esempi di grande apertura mentale della città-rifiuto sono anche un tentativo di trovare ristoro, di trovare pace fisica e mentale, in un mondo in guerra? Una reazione alle infinite immagini di crudeltà gratuita che il potere degli stati infligge alle popolazioni, agli animali, al pianeta stesso? Potrebbe una proposta come quella di Outremer oggi essere accettata, o sarebbe rigettata a priori per paura di cambiare? A volte sembra che si preferisca andare verso la propria auto-distruzione.
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