Domenico Gallo

(repost da Pulp Libri )

Francesco Verso e Fábio Fernandes (a cura di)

Solarpunk. Come ho imparato ad amare il futuro

Future Fiction Edizioni, pp. 348, euro 16,00 stampa, euro 3,99 ebook

Mentre leggevo questa antologia mi sono tornate in mente alcune considerazioni presenti nell’articolo “Rivoluzioni passive”, di Giuliano Santoro, che ha aperto la pubblicazione della rivista Jacobin Italia (n. 1, inverno 2018/2019). Rivoluzione passiva è un concetto gramsciano che indica il “rinnovamento cui non corrisponde alcuna mobilitazione dal basso”. Questo concetto, purtroppo, risulta azzeccatissimo se usato per una sintetica interpretazione della nostra brutta epoca. Un’epoca in cui non esiste una sinistra parlamentare, non esiste un partito di sinistra capace di opporsi alla crescente brutalità del capitalismo neoliberista, all’aggressione dello stato sociale da parte di compagini neoliberali di destra moderata (come il PD italiano o l’esperienza En Marche di Emmanuel Macron), fino a una varietà di fascismi molto eterogenea. Oggi nessuna mobilitazione dal basso riesce ad avere una benché minima rappresentanza parlamentare, né riesce a vedere condivise dalla classe politica le lotte spontanee che nascono e sono portate avanti dalle persone. Ogni esperienza autonoma viene tacciata di estremismo o di collaborazione, più o meno consapevole, con l’estrema destra. 

Torniamo a Gramsci, quando scriveva della separazione tra élite intellettuali e popolo: mi sembra evidente che oggi questa distanza sia certamente cresciuta. Altrettanto evidente è quanto la politica riformista abbia raggiunto l’obiettivo (agognato?) di fare a meno del popolo. Solo l’estrema destra, nel suo sogno di ripristinare la dittatura novecentesca, sembra richiamarsi “onestamente” (spregiudicatamente?) al popolo; le altre componenti parlamentari ne hanno, invece, un evidente ribrezzo. Dal popolo si pretende oggi soltanto il voto, una delega in bianco quinquennale a cui non si deve rendicontare, attraverso un paventamento degli orrori del nemico elettorale, e ostentando solo che al peggio non c’è limite. Questa visione così miope della classe politica spero che annunci la sua rovina, aiutata dalla moltitudine di esperienze autonome di politica, vita e lavoro con sapienza occultate dai media ufficiali. “Micro”, concetto lillipuziano del G8 di Genova (ispirato dalla lettura del libro Contro il capitale globale di Jeremy Brecher e Tim Costello, pubblicato in Italia nel 1995 da Feltrinelli), sta alla base delle loro caratteristiche, unito al rifiuto della delega e alla scelta di un approccio antiautoritario e un ecologismo profondo. Questi nuclei di comunità, valorizzando i rapporti umani e il rispetto reciproco, teorizzano e praticano la condivisione dei mezzi di produzione basati sul “sapere”. A ben pensare lo sviluppo del capitalismo, alla ricerca ossessiva di un sempre maggiore profitto, si è sviluppato proprio riducendo il sapere operaio e avvilendo i lavoratori, attraverso la standardizzazione e la divisione delle fasi produttive, progettando una sempre maggiore alienazione per rendere facilmente sostituibile la manodopera. Il mondo di oggi, insomma.

Questa premessa è utile per comprendere quanto certa letteratura, in particolare di fantascienza, intenda costituirsi come elemento politico delle trasformazioni in atto per opporsi allo stato di cose presente attraverso una pratica di rivoluzione attiva e rifiutando la prospettiva di una rivoluzione passiva. La fantascienza, infatti, a partire dagli anni Cinquanta ha progressivamente incarnato una serie di modelli di lotta al capitale. La social sf teorizzava un’ambigua rivoluzione minoritaria, spesso individuale, contro un potere insidioso e infido, soprattutto eticamente contrario alla Costituzione statunitense e al concetto di libertà che aveva espresso. In questa critica anticapitalista, coraggiosamente portata avanti proprio negli anni del maccartismo, si sviluppa un’opposizione alle tecnologie sempre più radicale che, negli anni Sessanta, in sintonia con i movimenti di protesta, assume elementi di irrazionalismo rivoluzionario contro un razionalismo del capitale. Negli anni Ottanta, tuttavia, pur radicalizzando la denuncia anticapitalista, la fantascienza rielabora la critica alla tecnologia e teorizza forme di lotta che dalla vita materiale si allargano alla vita simbolica dei database e delle rappresentazioni virtuali. Il cyberpunk, infatti, si è riappropriato dell’intero immaginario tecnologico delle origini, ma ibridandolo con una consapevolezza distopica e politica. Ed è proprio da questa serrata dialettica tra sviluppo del potere, innovazione delle forme di sfruttamento e lettura dell’immaginario che il Solarpunk cerca sotterraneamente di proporre il proprio contributo. Direi quindi che questa importante antologia curata da Francesco Verso e Fábio Fernandes è in Italia la prima luce su prospettive politiche e letterarie di eccezionale interesse, e sulla contestazione allo stato delle cose, con grande attenzione allo sviluppo antropologico, al mondo degli affetti e alla vita quotidiana.

Volendo superare la distopia in cui viviamo, oltre alle lotte diffuse di natura sindacale e individuale, è necessario un lavoro collettivo di costruzione dell’immaginario, di tessitura culturale e di riconoscimento e integrazione delle reti che si oppongono al capitalismo.

A ben vedere il cyberpunk rifiutava il capitalismo come sistema di potere, ma indicava pratiche politiche di opposizione con forti componenti parassitarie, ovvero tracciava una strada di convivenza con il sistema utilizzandone le risorse di scarto o riappropriandosene con forme di esproprio politico, formando zone temporaneamente autonome. È una vita materiale pensata all’interno della metropoli con forte componente di lavoro tecnologico, flessibilità, conflittualità intellettuale, lotta ai copyright. Il Solarpunk, invece, mette in primo piano la realtà ambientale complessiva, il rapporto tra individuo e pianeta, le strategie di sopravvivenza che implicano nuove prospettive politiche e solidarietà. In molti casi il Solarpunk lavora su strategie in una prospettiva postcapitalista che letterariamente riprende la ricca tradizione della fantascienza postatomica e di rinascita della società umana in lotta tra regressione e nuova società egualitaria. Sono società in cui il capitalismo non è stato politicamente sconfitto ma si sta progressivamente autodistruggendo.

Fábio Fernandes

In Italia, e probabilmente nel mondo, è proprio Francesco Verso l’autore che ha lucidamente lavorato sul tema Solarpunk e poi pubblicato il corposo romanzo I camminatori (Future Fiction, vol. I, 2018; vol. II, 2019). Quest’opera è strettamente calata nei manifesti del Solarpunk e certo rappresenta un’adesione volontaria, sia politica che letteraria, all’idea che volendo superare la distopia in cui viviamo, oltre alle lotte diffuse di natura sindacale e individuale, è necessario un lavoro collettivo di costruzione dell’immaginario, di tessitura culturale e di riconoscimento e integrazione delle reti che si oppongono al capitalismo. Se leggiamo i racconti scelti da Francesco Verso e Fábio Fernandes è evidente che si prefigura (e quindi si richiede) un superamento dell’operaio-massa e del lavoratore flessibile, la cessazione di una logica produttiva slegata dalle necessità delle comunità (quindi economica nella concezione classica del termine), un ritorno profondo alle capacità professionali e alla comprensione e gestione dell’intero processo produttivo. Solarpunk, oltre all’evidente pretesa di energia pulita e a disposizione di tutti, comprende che il nodo energetico è cruciale per il ribaltamento planetario della logica del profitto estremo che ha caratterizzato la società di massa (e che proprio la social sf ha criticato profondamente).

Francesco Verso

Questa coraggiosa e sorprendente antologia ha il grande pregio di comunicarci prospettive vissute dagli autori, non solo scrittori ma militanti nei molti rivoli della lotta politica contemporanea. Tutti proiettano le loro storie future all’interno di un modello che vuole essere alternativo alla monocultura globale che pretende il capitalismo come unica forma economica possibile. “È la natura della nostra era osteggiare l’esplorazione di alternative politiche”, scrive Andrew Dana Hudson nella lunga introduzione politico-letteraria all’antologia, e infatti tutti questi autori scelgono una direzione ostinata e contraria, inseriscono nei loro racconti gli elementi emergenti della nostra società, sondano nuove possibilità, istituiscono, grazie alla libertà della fantascienza, nuove forme di rapporti. Ken Liu, con il racconto “Empatia bizantina”, entra nelle contraddizioni della giungla delle Onlus e delle tecniche di ricerca fondi, e pone il problema di quale sia il limite etico da accettare quando il primo ricco mondo utilizza le stesse tecniche commerciali per gestire l’industria del “bene mondiale”.
“Nina e l’uragano”, della brasiliana Ana Rüske, riesce ad accoppiare tematiche ambientali dedicate all’estremizzazione delle manifestazioni climatiche all’interno di una storia proletaria che coinvolge un gruppo di donne apparentemente molto diverse l’una dall’altra. Come già aveva evidenziato Francesco Verso con I camminatori, la “visione dal basso” del mondo è l’elemento caratterizzante di questa letteratura. Non è tanto una spinta teorica a inventare nodi creativi per affrontare l’esistenza quanto una disperata esigenza pratica, la necessità delle classi meno ricche di sopravvivere in un pianeta dove chi ha esaurito le risorse e avvelenato il pianeta si è eclissato per vivere in un mondo a parte. Per queste persone, riproponendo le molte esperienze del socialismo di fine Ottocento e poi dell’intero Novecento, la solidarietà è una risorsa strategica, l’abolizione del denaro e del profitto elementi fondanti del rapporto di comunità. Una rinascita dal basso, dagli esclusi dalla competitività vissuta e sopportata unicamente dalle classi più povere, ma, ricordando sempre con grande affetto il dolore di George Orwell mescolato alla speranza per un sollevamento morale contro il totalitarismo del Partito: “I prolet sono la nostra speranza”, aveva scritto in 1984. E nel Solarpunk, i nuovi prolet sono al lavoro con una rinnovata intelligenza e ottimismo.
Ma è con “Somaterra” di Ciro Faienza che il discorso complessivo assume maggiore chiarezza. L’autore italoamericano (attualmente abitante di Boston) ambienta nel Gargano la sua storia di fantascienza politica ed ecologica. In poche pagine è descritto il faticoso tentativo di ritorno a una terra malata a causa dello sfruttamento intensivo, l’isolamento di quel promontorio di rocce calcaree e doline, il ricordo delle vigne e degli uliveti, ma la persistenza di un potere antico e prepotente che è convissuto con la povertà endemica. Oggi il Gargano è un baraccone del turismo che si riempie e si svuota per offrire una temporanea amnesia, ma a partire da ottobre riprende il suo ritmo agricolo che è evocato nel racconto di Faienza. La protagonista è una giovane donna di colore costretta ad affrontare un’improvvisa solitudine mentre affronta un complesso amalgama di passato e futuro, di scienza e tradizione che non riescono a trovare equilibrio. Poi segue “Serpenti di energia” di Brenda Cooper, scrittrice del nord degli Stati Uniti, che aggredisce frontalmente il tema Solarpunk dell’energia e delle enormi contraddizioni che ogni produzione, anche pulita, porta con sé. Anche in questo racconto la dimensione affettiva si modula al contesto futuribile e dell’invenzione tecnologica, alla descrizione di nuovi e strani lavori, ma, soprattutto, alla descrizione diretta di nuove precarietà e povertà che costruiscono uno sfondo che assume sempre più importanza. Il tema dell’affetto, che ritroviamo costantemente nella nuova fantascienza cinese, ci avverte del declino di un paradigma letterario di uomini soli, bianchi e intelligenti che affrontano enormi pericoli per trionfare globalmente come eroi dell’antica Grecia. “Previsione di vuoto”, del brasiliano Renan Bernardo, riprende il tema certo già affrontato dell’umanizzazione delle macchine, ma declinando la sua narrazione in un’ottica rigorosamente anticonsumista, con uno sguardo politico molto concreto. Anche questo racconto è costruito su un procedere di incontri che svelano personaggio capaci di aprirsi e svelare il loro mondo interiore. Ma è “Il guardiano del faro” di Andrew Dana Hudson il racconto più bello e delicato dell’antologia, una storia senza estremi dedicata a due generazioni che si incontrano fino ad abbracciarsi, una storia di lavoro che è assieme materiale e intellettuale, che si ambienta in una baia e che suggerisce il progressivo abbandono delle dannose metropoli. Sarena Ulibarri è autrice di un divertentissimo “Il ranch a spirale” che non trascura, nella sua vena paradossale, un lavoro sui temi che abbiamo già citato e che sono il comune denominatore dell’antologia: il lavoro e la costruzione di rapporti interpersonali.
“Contaminazioni” di Sylvie Denis è forse il racconto più rappresentativo di una fantascienza ottimista senza essere ingenua, critica verso il viraggio distopico e scettica verso l’utopismo classico (anche quello declinato all’americana, dove macchine ben governate libereranno l’uomo dalla schiavitù del lavoro). Anche in questa storia il lavoro è duro, la terra è arida e ostile, il clima inclemente; non è una catastrofe fantascientifica ma il risultato di continui piccoli peggioramenti. Agricoltura e tecnologia sono gli elementi fondamentali per ribattere alle sempre maggiori difficoltà dovute a siccità e impoverimento della terra. Torna il paradigma del prosumer di Alvin Toffler, quella figura mista di produttore e consumatore che dall’intuizione di Marshall McLuhan viene organicamente teorizzato da Toffler nel suo saggio profetico La terza ondata (Sperling & Kupfer, 1987): qualcuno capace di smontare e rimontare le tecnologie, di collegare e ibridare, reingegnerizzare e trasferire componenti, ma, soprattutto, non praticare la logica della vendita del risultato ma essere il primo utilizzatore delle proprie capacità. È qualcuno che non utilizza il sistema della filiera né quello della distribuzione, ma che soprattutto contesta la produzione seriale. Ogni intervento è diverso dall’altro, perché è dedicato a un problema specifico. La base è spesso un componente preesistente, un rottame, uno scarto. Il fine di queste produzioni è la sopravvivenza, la vita di piccole comunità integralmente dedicate a un lavoro comune: “Voleva kiwi luminosi che si potessero cogliere di notte, col fresco. Voleva super api resistenti a tutto e Gaël si era innamorato dei batteri produttori di idrogeno”.

© Pulp Libri, 2020

L’illustrazione “Il mio palazzo presso il mare” è di © Artur Rosa, Aveiro (Portogallo)

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