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di Franco Ricciardiello
Becky Chambers, A prayer for the crown-shy, Tor.com 2022

Si tratta del secondo volume, uscito a luglio 2022, della serie solarpunk “Monk & Robot”, inedita per ora in Italia: fa infatti seguito a A psalm for the wild built, e continua il racconto delle peregrinazioni di Fratello Dex, monaco del tè, e del robot Mosscap, tra gli abitanti di Panga. Dopo aver percorso le aree rurali, toccano i villaggi e le città più abitati, sempre alla ricerca di una risposta alla domanda “di cosa ha bisogno la gente?”

A proposito di questo interessante testo solarpunk, che auspichiamo arrivi presto in traduzione in Italia, vi presentiamo una recensione della scrittrice Maya Gittelman, e l’incipit del romanzo, entrambi tradotti dal sito Tor.com.


Meditazioni queer sul significato in “A Prayer for the Crown-Shy” di Becky Chambers

Maya Gittelman

Sono una persona a metà tra l’amante della vita all’aria aperta e quella che non lo è, ovvero provo una profonda gioia e catarsi per il sublime naturale, ma sono anche estremamente sensibile alle punture d’insetto, alle scottature e all’ansia. Come persona che vive per la maggior parte della sua vita in città, separata dal mondo nel suo stato più incontaminato, mi trovo contemporaneamente attratta dalla natura, ma anche spesso incapace di sentirmi veramente al suo interno, a meno che non ci provi davvero. Soprattutto nel bel mezzo di questa fottuta pandemia, che mi ha scombussolato il cervello e il cuore con nuovi cumuli di quell’ansia di cui sopra. È difficile accettare tutto questo. È difficile mettere da parte la fotocamera del telefono, l’app delle mappe, il terrore e la rabbia che tutto ciò che di bello sto guardando venga costantemente eroso dall’arroganza di una dozzina di supercattivi estremamente potenti. Ma devo farlo, devo farlo, altrimenti che senso avrebbe tutto ciò?

Ora sono un po’ più consapevole di concentrarmi su queste cose. Perché le foto non riescono a catturare ciò che provo, e concentrarmi sulla disperazione futura non la eviterà: mi impedirà solo di sperimentare la pace presente. Non dico di essere bravissima, è ancora una pratica, ma mi sto esercitando. Ho iniziato l’ultima volta che sono stata nel paese di mia madre, le Filippine, a fine 2019, per elaborare il lutto di mio padre. Ero morsa dagli insetti e scottata dal sole e stavo fissando una magnifica cascatella incastonata tra gli alberi, e ho avuto l’ovvia ma silenziosa e grave consapevolezza che non si ferma quando nessuno la guarda. È una meraviglia stupenda, che fa battere il cuore, e tutti possiamo assembrarci a guardarla, ma non lo fa per noi. Non si ferma di notte, non le importa che siamo lì e non le importa che io sia in lutto. È meraviglioso e umiliante condividere a questo modo il mondo con la vita e l’energia.

Condivido questa prospettiva con molte persone, compreso fratello Dex. In A prayer for the Crown-shy, il secondo capitolo della serie Monk & Robot di Becky Chambers, il monaco del tè Dex e il robot Splendid Speckled Mosscap continuano il loro viaggio e si confrontano con le implicazioni della domanda di Mosscap: “di che cosa hanno bisogno le persone?” Dex, con mia grande invidia, cerca di rispondere a questa domanda in un paradiso post-apocalittico. Come raccontato nel primo volume, gli esseri umani hanno combinato un disastro, esattamente come lo stiamo facendo attualmente noi, ed è stato per farci un favore che i robot se ne sono andati e lasciandoci alle nostre macchine alla fine dell’era industriale. Generazioni dopo, Panga è un luogo pacifico, dove i bisogni di tutti sembrano soddisfatti. Dex trova gratificante il suo lavoro di monaco del tè, è bravo e aiuta gli altri. Tuttavia, Dex sente ancora quel senso di irrequietezza tipico dei tardo-ventenni. La sua ricerca di uno scopo scatta quando incontra il primo robot che incroci un umano da un’intera epoca a questa parte; e i due partono insieme per scoprire, come chiede Mosscap, di cosa ha bisogno l’umanità. Questo è uno dei punti di forza della serie: utilizzare un tópos epico del genere letterario per raccontare una storia intima e compassionevole che va alla radice di ciò che significa essere vivi.

A Psalm for the Wild-Built ha spiegato l’ambientazione, la premessa e i personaggi, con i quali possiamo ora giocare. Mosscap e Dex stringono nuove amicizie, si muovono preceduti da una relativa fama e si fanno strada nel mondo fino alla casa d’infanzia di Dex, e oltre. Il ritorno a casa, come accade, fa sì che sia Dex che Mosscap si interroghino nuovamente sul loro scopo. Ora, però, lo mettono in discussione insieme.

Perché è questo il punto, no? Anche in un mondo di relativa pace, non credo che saremmo appagati. Non sempre, almeno non fino in fondo. A volte ci sarà ancora uno stimolo, la sensazione che stiamo impigando in modo insoddisfacente il nostro epico, intimo tempo su questa terra. Che non stiamo facendo abbastanza. Che non siamo abbastanza. Dex sa che non c’è bisogno di un motivo per essere stanchi. Non c’è bisogno di meritare riposo o consolazione, è sufficiente esistere. Hanno costruito il loro lavoro e la loro fede intorno a questa verità, ma come possono dire agli altri che sono appagati, quando loro stessi hanno ancora problemi a crederci? E quando il padre di Dex rivolge su di lui la domanda di Mosscap, il robot deve guardare a se stesso, al mondo e al posto che occupa in modo molto diverso.

Prayer è un po’ più sfacciato di Psalm, ma è comunque un caldo abbraccio meditativo. Per me lo è ancora di più, perché man mano che il rapporto tra Mosscap e Dex si approfondisce, veniamo avvolti da un affetto tangibile e crescente tra i due. A volte c’è provocazione, riconosco la scaltrezza, e io mi sento sempre più coinvolta nelle loro storie mentre lottano con concetti immensi. Come la “chioma timida”, ovvero il modo in cui si dice che le foglie di certi alberi smettano di crescere prima di intrecciarsi con quelle di altri, creando linee di connessione e separazione simultanee. Nel nostro mondo si discute se sia reale o meno e quali ne siano le cause, ma è un concetto adorabile, che si adatta molto bene a Panga. Coesistere, limitare il male. Siamo parti di un tutto.

E cosa significa essere un tutto? La risposta alla domanda di Mosscap dev’essere un bisogno insoddisfatto? Cosa significa avere abbastanza, essere abbastanza? La cascata non riporterà in vita mio padre, ma niente lo farà, e io sono viva ancora per un po’, e se cerco di non rimanere impantanata nella tragedia di mio padre che non può guardare questa cascata con me, che non potrò mai dirgli come mi fa sentire, allora potrò guardare la cascata e apprezzarla davvero. Lui avrebbe voluto che guardassi la cascata. Che riconoscessi quanto è bella, quanto sono piccola confronto a lei, quanto è piccola nell’insieme della terra. Quanto siamo piccole entrambe, eppure ho scelto di trascorrere alcuni momenti preziosi della mia vita nell’enormità della sua compagnia impassibile. Mi ha cambiato e non mi ha cambiato, e credo che questo sia contemporaneamente il punto e al di là del punto.

A prayer for the crown-shy è esattamente il libro di cui ho bisogno in questo momento e so di non essere la sola. Mi sembra perfettamente fedele a Psalm, una sua naturale estensione. Sono grata di aver trovato un certo conforto in questa serie e non vedo l’ora di leggere altro.

Non aspettatevi chissà quale trama né colpi di scena. La scrittura stessa è il significato, e in questo modo dimostra l’idea di fondo (perché sembra troppo didattico chiamarla tesi): è sufficiente porsi domande, a volte. Non è necessario arrivare alla catarsi. Può essere sufficiente condividere con le persone a cui si tiene le meditazione sulle meraviglie del mondo, soffermandosi su ciò che significa essere vivi. Queste osservazioni delicatamente profonde, questi dolori personali e queste gioie intime… Se non è proprio la ragione per cui siamo al mondo, è senz’altro ciò che conta davvero nel nostro vivere quotidiano.

Questo racconto è delicato, piena di speranza e fondamentalmente queer nel modo in cui racconta la cura e la famiglia. Semplice e trascinante, è una sorta di parabola moderna per chiunque si senta alla deriva.

Sono ancora a lutto. E ci sono ancora le cascate, anche e soprattutto quando nessuno le guarda. E ci sono ancora libri come questo. Che ti vengono a cercare e ti ricordano nel modo più chiaro e caloroso che non sei sola.

Maya Gittelman

A prayer for the crown-shy
preghiera per gli alberi timidi

NOTA L’effetto crown-shy, “chioma timida”, e quello per cui i rami di alcune piante d’alto fusto arrestano la crescita quando entrano in contatto con la chioma di un altro albero. Ecco un esempio, foto scattata in plaza San Martín a Buenos Aires:

Il fatto di scomparire nei boschi è che, a meno che non siate un tipo di persona molto particolare e molto rara, non ci vuole molto a capire perché la gente un tempo li ha abbandonati. Le case sono state inventate per ottime ragioni, così come scarpe, impianti idraulici, cuscini, stufe, lavatrici, vernici, lampade, il sapone, refrigerazione e tutti gli altri innumerevoli orpelli senza i quali gli esseri umani faticano a immaginare la vita. Per fratello Dex era stato importante, anzi importantissimo, vedere il loro mondo così com’era senza questi manufatti, capire a livello viscerale che nella vita c’è infinitamente di più di quello che succede tra le pareti di casa, che ogni persona è solo un animale vestito, soggetto alle leggi della natura e ai capricci del caso proprio come tutto ciò che visse e morì nell’universo. Ma nel momento in cui pedalarono fuori dalla natura selvaggia e imboccarono l’autostrada, Dex provò l’indescrivibile sollievo di tornare al rovescio dell’equazione, quello in cui gli esseri umani avevano reso la propria esistenza il più confortevole possibile, come la tecnologia consentiva. Le ruote della bicicletta a buoi di Dex non si impigliavano più nelle croste della vecchia strada petrolifera. Il loro pesante carro a due piani non tremava più mentre lo spingevano sulla carreggiata resa caotica dall’avanzare delle radici e dai meandri del terreno. Non c’erano rami striscianti che impigliavano i vestiti, né alberi caduti che creavano problemi, né bivi senza indicazioni che li costringevano a fermarsi e guardare con terrore intorno. C’era invece una pavimentazione color crema, liscia come il burro e altrettanto calda, fiancheggiata da cartelli messi per far sapere agli altri da che parte andare se volevano riposare e mangiare senza rimanere soli.

Non che fratello Dex fosse solo, ovviamente. Mosscap camminava al suo fianco, con instancabili gambe meccaniche che tenevano facilmente il passo della bicicletta. “È così… ordinato”, disse il robot con meraviglia, mentre studiava la linea di demarcazione tra la strada e la foresta. “Sapevo che lo sarebbe stato, ma non l’avevo mai visto di persona”.

Dex lanciò un’occhiata alle fitte felci e ai fiori selvatici ricoperti di ragnatele che si estendevano oltre il bordo della strada, trattenuti a malapena dal confine dell’autostrada. Se questo era ciò che intendeva per ordinato, non poteva[1] immaginare cosa avrebbe detto Mosscap di un roseto o di un parco pubblico.

“Oh, e guarda qui!” Mosscap si affrettò a precedere la bicicletta a buoi, sferragliando a ogni passo. Si fermò davanti a un cartello stradale, appoggiando le mani incernierate sui fianchi d’argento opaco mentre leggeva il testo. “Non ho mai visto un cartello così leggibile prima d’ora”, rispose. “Ed è così lucido”.

“Sì, beh, non siamo in rovina”, disse Dex, ansimando leggermente mentre percorrevano l’’ultimo tratto di una leggera salita. Si chiese se Mosscap si sarebbe comportato così con ogni oggetto costruito dall’uomo che avesse incontrato. Ma d’altra parte, forse era un bene che qualcuno apprezzasse una strada secondaria o di un cartello stradale stampato in fretta. La creazione di questi oggetti richiedeva tanto lavoro e pensiero quanto qualsiasi altra cosa, eppure raccoglieva poche lodi da parte di chi li vedeva ogni giorno. Forse dare a questi manufatti il giusto merito era un compito perfetto per chi non era affatto una persona.

Mosscap si rivolse a Dex con il sorriso più grande che la sua faccia di metallo scatolato potesse consentire. “Questo è molto bello”, disse, puntando un dito sul testo che recitava ‘moncone a 20 miglia’. “Meravigliosamente ordinato. Anche se un po’ severo, non credi?”.

“In che senso?”

“Beh, allora non c’è spontaneità nel viaggio, no? Se ci si concentra sul passaggio da un’indicazione all’altra, non c’è possibilità di incidenti felici. Ma suppongo di non avere mai avuto prima d’ora una chiara destinazione in mente. Vado semplicemente in giro nella natura selvaggia”.

“La maggior parte della gente non vaga tra le città senza un motivo concreto per farlo”.

“Perché no?” Chiese Mosscap.

Dex non ci aveva mai pensato prima. Guidarono la bicicletta nella direzione indicata dal cartello e Mosscap si mise al suo fianco. “Se hai tutto ciò che ti serve”, disse Dex, “non c’è motivo di partire. Ci vuole molto tempo e fatica per andare in un altro posto”.

Mosscap fece un cenno al carro che seguiva doverosamente la bicicletta a buoi di Dex. “Diresti che traqsporti tutto ciò di cui hai bisogno?”.

Il significato della frase non era sfuggito a Dex. Di che cosa hanno bisogno gli umani? Era la domanda impossibile che aveva spinto Mosscap a vagare nella natura selvaggia per conto della razza robotica, e Dex non aveva idea di come Mosscap avrebbe potuto trovare una risposta soddisfacente. Sapeva che l’avrebbe sentito rivolgere quella domanda all’infinito, per tutto il tempo che avrebbero viaggiato insieme attraverso i territori umani di Panga, ma a quanto pareva, Mosscap iniziava da lui.

“Materialmente sì, più o meno”, rispose Dex a proposito del carro. “Almeno, in senso quotidiano”.

Il robot inclinò la testa, osservando le casse legate al tetto del veicolo, che scricchiolavano a causa dello spostamento di oggetti all’interno. “Immagino che non vorrei viaggiare molto se fosse necessario portare con me tutto questo”.

Becky Chambers

Note

[1] Nell’originale inglese, Chambers non usa he in riferimento a fratello Dex, ma il they “asessuato” della pratica gender


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