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di Silvia Treves

Il regno dei funghi comprende più di 700.000 specie conosciute (ma se ne stimando 3 milioni) di organismi eucarioti, unicellulari e pluricellulari, non fotosintetici come le piante ma eterotrofi come gli animali.

I funghi sono un regno molto diversificato, oltre a quelli che vediamo ne esistono di estremamente piccoli, i lieviti, che l’umanità usa da millenni per la vinificazione, per produrre le birre, e per la panificazione. La pasta acida madre è un impasto di acqua e farina sottoposta a contaminazione spontanea da parte di batteri lattici e lieviti.

Altri lieviti causano infezioni, come la Candida albicans, l’ergot è il fungo parassita della segale cornuta, da una muffa venne estratta la penicillina.

All’altro capo dello spettro abbiamo il fungo più grande del mondo, Armillaria ostoyae, il cosiddetto “chiodino”; in una foresta dell’Oregon ce ne sono un’infinità, tutti uniti dalle ife fungine sotterranee. In pratica si tratta di un solo individuo e costituisce il fungo più grande del mondo: vecchio di almeno 2500 anni, occupa quasi dieci chilometri quadrati e pesa undici tonnellate.

Negli ultimi anni, però, i funghi si sono rivelati organismi estremamente interessanti dal punto di vista della biotecnologia sostenibile: il micelio dei funghi viene già utilizzato in edilizia, (ottenendo mattoni leggeri, resistenti, ignifughi e compostabili) e serve a produrre un imballaggio biodegradabile in alternativa all’inquinante polistirolo; con i funghi si fanno una versione simile alla pelle ecologica, fibre tessili e cuoio, e una specie di carta.

L’ultima novità, però, è uno studio della Aalto University finlandese, basato sulla possibiltà di ottenere da un fungo materiali biotecnologici leggeri e resistenti che, viene spiegato nell’introduzione del lavoro, «potrebbero offrire una grande fonte di ispirazione per la produzione di materiali multifunzionali con proprietà superiori per diverse applicazioni mediche e industriali in futuro».

Oggetto dello studio è il fomes fomentarius, detto anche fungo dell’esca, noto da migliaia di anni (è stato ritrovato persino fra i beni di Ötzi, l’uomo di Similaun). È infatti un fungo parassita non commestibile il cui micelio, un tempo, veniva utilizzato come esca per il fuoco.

Se vi piace camminare nei boschi, avete già incontrato questa creatura che cresce sul tronco di pioppi, querce, faggi e betulle, formando una sorta di mensola di colore variabile a seconda del tipo di albero parassitato. Non appena trova una cicatrice nella corteccia delle piante, fomes vi propaga il suo micelio e forma un corpo fruttifero a forma di zoccolo equino, spesso di grandi dimensioni. Le linee concentriche ne indicano la crescita annuale. Quando – a causa della parassitosi – l’albero muore, fomes da parassita si trasforma in saprofita e digerisce cellulosa e lignina traendone energia. Così, insieme ad altri funghi simili, ricicla l’80% del carbonio delle grandi foreste boreali.

I ricercatori hanno studiato la sua struttura interna, molto sofisticata e costituita da tre strati: la crosta esterna, molto dura al tatto, che potrebbe essere utilizzata per realizzare rivestimenti resistenti agli urti sostituendo la plastica, lo strato intermedio e morbido che potrebbe sostituire tessuti e pellicce, e lo strato interno, molto simile al legno. I tre strati sono uniti da una matrice extracellulare che agisce come un adesivo ed è diversificata per strato.

Uno dei problemi da affrontare per utilizzare al meglio fomes sarà, come per altri tipi di fungo, la coltivazione in fattorie verticali per risparmiare spazio e aumentare la resa, mentre è impensabile raccoglierlo nei boschi, per non alterare gravemente il suo ecosistema. Occorre tenere ben presente l’allarme della Fungi Foundation [ottimo sito] della micologa cilena Giuliana Furci: «potremmo non essere in grado di capire il danno che l’uomo fa intervenendo nel mondo dei funghi».

Silvia Treves
Fonti

Gianluca Riccio su Futuro Prossimo 23/2/2023

Lorenzo Tramontana su Microbiologia Italia 30/4/2022


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