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MICHELA LEONARDI è ricercatrice presso l’Evolutionary Ecology Group del dipartimento di Zoologia all’Università di Cambridge (Gran Bretagna), dove studia il processo che ha plasmato le popolazioni nel tempo. La sua ricerca si basa su due principi fondamentali. Il primo è che se davvero si vuole capire lo stato attuale di una specie (o di una popolazione) si deve conoscere il suo passato. Il secondo è che il mondo è complesso e l’unico modo per comprenderlo è combinare indizi provenienti da diversi campi: DNA (sia da organismi moderni che passati), ricostruzioni del clima nel tempo e reperti archeologici. Utilizza complessi metodi statistici e computazionali per analizzare dati così diversi e, di conseguenza, ottenere una storia plausibile della popolazione oggetto di osservazione. Alcune delle domande che si è posta nella sua carriera sono: in che modo il clima ha influenzato la distribuzione geografica dei cavalli? Le strategie di sussistenza hanno un’influenza sulla diversità genetica umana? La continuità genetica attraverso i millenni è possibile solo nelle aree in cui non sono avvenute migrazioni?

Video dell’intervista a Michela Leonardi

Buongiorno dottoressa Leonardi, benvenuta sul sito Solarpunk Italia.

La prima domanda riguarda la lettrice Leonardi. Mi ha confidato, con mio grande piacere, di essere un’appassionata di fantascienza. Quali sono i suoi autori o i generi preferiti?

Sono stata introdotta alla fantascienza da un caro amico dell’università che mi ha fatto scoprire Asimov di cui mi sono innamorata immediatamente. Sempre grazie a lui ho scoperto Heinlein, ho letto qualcosa di Bradbury però più sull’antiutopia rispetto alla fantascienza. Ho letto altri autori, recentemente Dune. Però i miei due punti di riferimento nella fantascienza sono Asimov e Heinlein. Sono relativamente poco curiosa per altri autori perché già solo Asimov ha una produzione enorme e ho letto forse meno di un decimo di quello che ha scritto. Ho un suo libro sul comodino e quando ho voglia di leggere fantascienza mi rivolgo a lui.

Quello che mi è piaciuto di più di Heilein e Asimov, sono meno appassionata di Bradbury, è che raccontano… diciamo che prima di scoprire la SF pensavo che fosse un genere con ambientazione spaziale mentre in realtà l’ambientazione aliena è la parte meno importante perché c’è attenzione per le storie, per il messaggio, per il tipo di mondo che viene costruito che secondo me è meraviglioso. Poi ci sono storie che mi piacciono e altre meno ma come per tutti i tipi di letteratura. Non ha a che fare con il genere.


Il genere solarpunk tenta di portare alternative ottimiste rispetto a un presente che è già distopico. Lei crede che la ricerca scientifica e la speculazione fantascientifiche possano trovare un punto di contatto o collaborazione per contribuire a sopravvivere in un pianeta già danneggiato?

Penso che la Sf sia un genere che possa aiutare molto in questo. Spostandosi dai libri verso la serie televisiva Star Trek, nello specifico The Next Generation, viene proposto un tipo di mondo che è una possibile realtà. Ho iniziato a vederla di recente e non ho il punto di vista di chi l’ha visto nel momento della messa in onda iniziale, ma anche a decenni di distanza c’è una visione della realtà come potrebbe essere e questa è una caratteristica della fantascienza che conosco, non necessariamente di tutta la SF.
Credo sia molto importante usare un genere fantastico per proporre opzioni di futuro perché comunque quando si parla di realtà fattuale e possibilità remote, c’è la paura e l’ansia di un domani percepito come difficile, pieno di problemi di ardua soluzione. Utilizzare un’ambientazione fantastica permette di aggirare le ansie legate al presente e allo stesso tempo di presentare delle opportunità che così vengono percepite con una mentalità più aperta. Perciò trovo la SF un ottimo punto di partenza per proporre nuove visioni del mondo. Questo genere presenta temi scientifici e fattuali che danno indicazioni reali, basate sul mondo reale e non solo sulla fantasia.


Il suo ambito di studio e la sua attività di ricercatrice scientifica è affascinante. Ho seguito con estremo interesse l’intervista tenuta per MeetScienze e ho scoperto che la paleontologia svela salti, rallentamenti, arresti e impennate nel genoma dei viventi. Le è mai venuta la curiosità, o ancora meglio, ha condotto ricerche “speculative” che l’hanno portata a ipotizzare scenari alla “Sliding Doors”? Cioè cosa sarebbe successo se invece di sviluppare l’enzima per la digestione del latte non l’avessimo sviluppato affatto oppure se avessimo sviluppato l’enzima per digerire la cellulosa, per assurdo.

Mi permetta una precisazione. Il termine paleontologia è piuttosto ampio rispetto a ciò che faccio io. Mi definisco paleobiologa perché mi occupo di metodi di studio e di periodi che sono raramente considerati dalla paleontologia.

Rispetto alla sua domanda specifica non ci ho pensato ed è difficile ipotizzare perché quando si tratta di guardare al passato e all’evoluzione, abbiamo due fattori molto diversi che entrano in gioco. Uno è il caso nel senso che ci sono mutazioni casuali nel nostro DNA e in quello di altri organismi e non possono essere dirette. Non si può dire: OK, voglio che avvenga questa mutazione nella mia prole, per esempio. Questo non può essere controllato. Poi le mutazioni prendono piede o meno a seconda della circostanza specifica in cui si vive. Se una popolazione, una specie, subisce una mutazione che permette di rispondere in un certo modo a un cambiamento, per esempio climatico, è probabile che si diffonda nel tempo perché viene selezionata a favore. Però partendo dal fatto che non sempre siamo in grado di capire esattamente perché c’è stato un certo tipo di selezione o anche non siamo in grado di ricostruire le mutazioni presenti in un certo periodo, l’aspetto speculativo sarebbe troppo impattante per poter fare ipotesi sensate.

Quando ci si sposta nell’ambito letterario sicuramente è possibile ma in ambito scientifico mi sembra  un’approccio difficoltoso nell’esame del passato. Possiamo ipotizzare cosa sarebbe successo se non si fossero estinti i dinosauri però è difficile dare a questa ipotesi un valore scientifico. Quando non succede qualcosa si entra in una strada difficile da prevedere su base scientifica. Preferisco lasciare questo genere di lavoro mentale a chi lo fa meglio di me e chi lavora con la fantasia. Se serve una mano, noi scienziati siamo pronti a darla però non abbiamo una fantasia così sviluppata.


L’astrobiologia ha la necessità di sapere come e cosa cercare nell’universo. Tenendo conto che la comunità scientifica non concorda su una definizione di vita universalmente accettata, certo la scoperta di nuove forme di vita nell’universo non è così semplice. Qual è lo scoglio su cui si scontra la paleobiologia?

Sono archeologa e mi occupo di genetica della popolazione. La genetica della popolazione è un indirizzo che fa parte della biologia ed è una scienza sperimentale. Nel momento in cui guardiamo al passato, alcuni metodi delle scienze sperimentali non sono attuabili perché mentre si può fare un esperimento per vedere cosa succede nel tempo a una specifica popolazione e di definire leggi, quando ci troviamo a guardare al passato non siamo in grado di ricostruire esattamente quello che è successo o quantomeno perché. Questo rende le cose difficili perché a un certo punto si arriva a dover fare delle ipotesi che però non sono effettivamente falsificabili. Questo è uno scoglio perché, almeno nel mio campo, siamo abituati a utilizzare metodi che sono delle scienze sperimentali per cui c’è questa difficoltà: ci troviamo a usare strumenti che dovrebbero darci delle indicazioni falsificabili e poi non le possiamo falsificare. Si cerca di aggirare il problema testando diversi metodi, dando risposte utilizzando diverse discipline che aiutano a restringere il campo. È un po’ l’interazione tra la scienza storica e la scienza sperimentale che crea problemi.


L’antropocene sta portando mutamenti climatici repentini e sempre più irreversibili. Gli esseri viventi non sono mai stati nella situazione di doversi adattare così in fretta al cambiamento climatico. Dubito ne siano in grado senza l’ausilio della tecnologia. È così?

La risposta al cambiamento climatico varia molto in base all’organismo che prendiamo in considerazione. Facendo una semplificazione molto estrema si può dire che gli organismi che hanno un ciclo di vita più breve si possono adattare molto più rapidamente rispetto a quelli con un ciclo di vita più lungo.

Il problema che vedo nella tecnologia è che essa ha causato gran parte dei problemi, non in modo diretto, ma le azioni umane li hanno creati in modo diretto e tra queste c’è anche l’uso della tecnologia.

Siamo abituati a vedere il mondo attraverso un meccanismo di azione e reazione per cui se succede una cosa, si cerca di intervenire e il problema viene risolto. In ambito zoologico purtroppo la situazione è molto complessa. Molte delle azioni, che sono state intraprese nel tempo per cercare di risolvere le questioni dell’introduzione di nuove specie in ambienti dove hanno creato danni, hanno esse stesse creato ancora più danni.

Per cui se per tecnologia intendiamo un approccio di analisi della complessità dei sistemi e di risposta completa a sistemi complessi, abbiamo molti strumenti in più rispetto a solo dieci anni fa per analizzare le cose e cercare soluzioni. Però non vedo la tecnologia come la soluzione in sé, quanto piuttosto avere un approccio da parte di chi cerca soluzioni che sia aperto alla complessità e che la comprenda. Vedo il fattore umano più importante rispetto al fattore puramente tecnologico.


In che contesto si è sviluppato e cosa si prefigge il gioco opensource da lei creato “Climate change“?

Ho creato e distribuito gratuitamente questo gioco perché l’anno scorso, nel novembre 2019 sono stata contattata dal museo di zoologia dell’Università di Cambridge, che fa parte dello stesso dipartimento in cui lavoro. Ci avevano dato la possibilità di collaborare nelle attività con i ragazzi e i bambini in visita al museo. Sono andata all’incontro preparatorio e ci hanno spiegato che non volevano un approccio tipo lezione frontale quanto un formato in cui i ragazzi potessero sperimentare quello che era il nostro lavoro di scienziati.
C’è stato un momento di panico perché ognuno di noi sparava idee di approccio mentre io ho detto “Porto il computer e li faccio lavorare con quello”.
Principalmente il mio ruolo è di analisi dei dati e quindi più di tanto non sapevo cosa proporre. Il gruppo in cui lavoro opera su un progetto europeo volto alla creazione di un grande programma informatico che permette di simulare l’evoluzione delle popolazioni delle specie nel tempo e nello spazio.  Prende in considerazione sia l’evoluzione su un piano genetico, sia le popolazioni che si spostano, sia il fatto che il clima può cambiare nel tempo. Quando ne abbiamo parlato la prima volta, il coordinatore del gruppo mi ha spiegato come funziona il programma e ho subito pensato a un videogioco. Allora, siccome non sono tecnologica in questo ambito, ho pensato a un gioco da tavolo.

Ci ho messo un paio di mesi a definire come doveva essere il gioco, provarlo, sistemare i dettagli, farlo provare agli amici e a persone di varie età che mi dicessero cosa ne pensavano.
A febbraio ho fatto una prova con i ragazzi e le ragazze della scuola. Si sono molto divertiti ma, dopo quello che è successo, non si è più potuto fare nulla in presenza. Lavoro in Gran Bretagna ma mantengo i contatti con l’Italia. Ho seguito tutta l’evoluzione della DAD e ho pensato che fosse utile mettere il gioco online e che i ragazzi potessero scaricarlo a casa in modo molto semplice, con una stampante o facendo a mano i materiali e potessero giocarci in famiglia. Così possono avere un approccio a questa problematica dell’evoluzione e del cambiamento climatico, che come dicevamo è molto complessa, un po’ più divertente e leggera durante un periodo decisamente difficile.

In seguito sono stata contattata da un game designer che mi ha proposto di creare la parte online. Ora è disponibile anche come gioco da tavolo da giocare online. L’idea di fondo era di creare un piccolo strumento che fosse utile a molte persone.

Michela Leonardi gioca a Climate Change

La paleoclimatologia può contribuire a riparare i danni odierni causati all’ambiente?

La paleoclimatologia è una scienza che studia il clima nel passato. Una cosa che non sempre si considera è che il clima cambia in continuazione e che da sempre comporta modificazioni importanti della vita sulla Terra, anche in relazione alla nascita di nuove specie.

Studiare il clima del passato non è semplice. Non me ne occupo, nel gruppo di cui faccio parte ci sono persone che hanno trascorso anni a cercare di ricostruire il clima del passato e utilizzo quotidianamente i dati e le ricostruzioni che hanno creato loro.

Ricostruire il clima è un lavoro molto articolato. Per rimanere nella fantascienza, ricordo un racconto di Bradbury sui dinosauri. I personaggi tornano indietro nel tempo e non avendo seguito le regole secondo cui non si deve interagire con il mondo e l’epoca in cui si è arrivati, schiacciano una farfalla e il futuro cambia. Senza arrivare al battito delle ali di una farfalla o all’uccisione di un insetto, si parla comunque di sistemi complessi per cui è possibile ricostruire il passato e, avendo informazioni sul passato e su come funzionano in larga scala questi processi, c’è una speranza che si riesca a capire sempre meglio come funziona  il processo di per sé e quindi si riesca ad agire sul cambiamento attuale. Tengo a sottolineare che è un cambiamento di tipo antropico non naturale molto più accelerato dei cambiamenti naturali nella storia della terra.

Capire l’analisi dei processi può aiutare, però lo studio del clima non è materia moderna. I problemi del cambiamento climatico sono stati annunciati dagli scienziati da diversi decenni. Per cui, più che la peleoclimatologia serve una volontà reale di cambiare le cose che non sempre si vede. Credo che la comunità scientifica sia più che disponibile a fornire tutte le informazioni e gli strumenti però ci vuole la volontà e quella non la possiamo dare noi purtroppo.


Siamo giunte all’ultima domanda: Luca Mercalli ha scritto il libro “Prepariamoci”. Lo scienziato, pur continuando la sua opera scientifica e divulgativa con tenacia, ha abbandonato, forse, la fase di speranza e si sta attrezzando per vivere in un ambiente sempre più ostile, in una fase non rassegnata quanto realisticamente combattiva. Lei in quale fase si trova?

Intanto posso dire di aver superato la fase di negazione in cui mi sono trovata per tanto tempo. Il problema del cambiamento climatico mi ha messo molta ansia e angoscia. Non è che ora sono serena e tranquilla ma sto cercando di capire cosa si possa fare per… non per risolvere il problema perché credo che a questi livelli sia impossibile, perlomeno non dal punto di vista delle singole persone.
Cerco di fare del mio meglio in quanto individuo e spero con il gioco di divulgare una visione che faccia rendere conto del problema. Inoltre credo ci siano margini di miglioramento e tento, a livello personale e anche nella conversazione con altre persone, di divulgare stili di vita che possano attenuare il problema, per quanto possibile. Purtroppo continuo a essere spaventata e spero nell’azione a un livello decisionale che non è certo quello dei singoli che possono fare poco.
Negli ultimi anni, anche grazie all’opera di Greta Thunberg, si vede un cambiamento nell’opinione pubblica e, sotto certi punti di vista, anche in organizzazioni grandi che hanno un impatto maggiore rispetto a noi. Quello che mi piacerebbe è che ci fosse sempre più consapevolezza in modo da poter dirigere questi sforzi nella direzione giusta.
Ho una visione più combattiva in cui cerco di vedere come questo problema possa essere affrontato ma non sono ancora al livello di prepararmi al peggio perché è un passo che ancora non ho fatto ma temo che sarà necessario in tempi relativamente brevi a meno che non ci tiriamo su le maniche tutti.


Dottoressa Leonardi sono lieta e la voglio ringraziare per questa chiacchierata.

Sono io che ringrazio voi per avermi fatto scoprire un lato della fantascienza che vuole dare una mano attraverso questa iniziativa, perciò grazie per lo sforzo.

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