Matt Briar, Mediterraneo terminale, ed. I Dobloni, ottobre 2025, 184 pagg. € 18,50
“Non importa quanto siano schizzati in su i termometri: da quando hai perso i denti da latte non hai mai sudato abbastanza. Una volta raggiunta la maturità ti sei limitato a parcheggiare l’esistenza in un’area di sosta invisibile ai passanti e che si restringe di anno in anno…
A Matteo Barbieri, in arte Matt Briar, autore di fantascienza con ormai dieci anni di pubblicazioni e finali importanti all’attivo, l’onore di inaugurare la collana Altri pianeti dell’editrice iDobloni, lanciata l’anno scorso dalle organizzatrici della libreria milanese Il covo della ladra, che già si era distinta per le sue attività in campo fantascientifico (chi scrive ricorda un interessante incontro con Sam J. Miller per presentare La città dell’orca).
Getti uno sguardo alla pila di fogli accanto allo schermo, impolverati l’uno sull’altro come cadaveri in una fossa comune cosparsa di calce. Il tuo cimitero delle bozze, il tuo freezer degli avanzi scaduti, il tuo memoriale alle iniziative non prese. Nella zona di comfort è una delizia poter relegare agli appunti qualcosa per cui non vale la pena sbattersi. Impulsi di coscienza sociale essiccati come blatte sul davanzale.”
Immaginate un attacco da noir anni ’40, con protagonista solitario risvegliato nella notte dalla telefonata di una donna misteriosa.
Immaginate una narrazione in seconda persona con frequenti incisi (come in questa recensione) ad alzare il velo sui pensieri del protagonista o sulla nuova realtà: non spiegoni ma lampi, schegge taglienti.
Immaginate una Pianura Padana che il cambiamento climatico ha riportato allo stato di palude come un milione di anni fa, e immaginatela vista da Reggio Emilia, città fantascientifica quanto Lucca (!), che Briar riesce però a rendere credibile con i suoi umori padani.
Ecco, in Mediterraneo Terminale l’autore ha messo molta carne al fuoco, forse troppa: ma un’ambientazione originale richiede uno stile originale. Siamo in un prossimo futuro dove l’ambiente è sconvolto ma le problematiche non sono poi così lontane dalle nostre: sovraffollamento e speculazione edilizia, clima in continuo peggioramento, lavoro sempre più precario.
Questi sono anche i problemi del protagonista, un giovane giornalista alle prese con i dilemmi etici del mestiere quando gli viene suggerito di occuparsi di un concerto-evento dei Magnati, un gruppo di artisti clandestino che riesce a catalizzare l’attenzione della città, risvegliandola dall’abulia indotta dall’Amnesia, la droga legale, utilizzata da chi cerca di vivere normalmente e non è ancora diventato un Notturno.
Lo spettacolo dei Magnati è in realtà la presentazione di una tecnologia diffusa che permetterà a chiunque di creare bellezza intorno a sé, non come un’alienante fuga nei paradisi artificiali, ma per guarire la propria anima: le TecnoArti.
Ma allora perchè i Magnati vengono perseguitati, addirittura accusati di aver rapito un ministro? Perchè qualcuno parla al protagonista della sorella persa di vista da anni, dopo l’incidente che l’ha resa invalida?
“Il giorno in cui verranno a bussare alla mia porta è sempre più vicino, nipote, però il giorno in cui busseranno alla tua è più vicino ancora. Diranno, la legge è cambiata, non le spettano più i vecchi trenta metri quadri, ora gliene spettano venticinque. Spiacenti, il palazzo non è più a norma. O così, o filare a coltivare papaie, manghi e gimnosperme a Capo d’Otranto.”
I molti elementi di questo Mediterraneo Terminale lo pongono a cavallo tra la tradizione dei classici cyberpunk e la nuova corrente del solarpunk. Da un lato le TecnoArti, presentate con la stessa “hype” e lo stesso sospetto delle odierne intelligenze artificiali, e dall’altro la zia Nora e il suo stadio recuperato e adibito alla fungicoltura, e da un altro lato ancora la vena thriller della seconda metà del romanzo, la cui conclusione non offre gli spiragli di speranza che ci si aspetterebbe da un titolo del genere.
L’ambientazione molto ricercata e realistica fa da contorno a una trama relativamente breve e semplice, alla quale la narrazione in seconda persona non aggiunge alcuna dimensione (il protagonista viene infatti lasciato senza nome dall’inizio alla fine, ma viene menzionato ripetutamente come si sente e che opinioni ha in merito agli eventi che lo circondano).
Se siete alla ricerca di un solarpunk non convenzionale o di un cyberpunk che sfida gli stilemi delle metropoli notturne, Mediterraneo Terminale farà al caso vostro.
“Il presente è una ferita aperta, il futuro un abisso che ci sta inghiottendo.”


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