Franco Ricciardiello - solarpunk.it

Il portale fantasy voice ha fatto qualche domanda a Franco Ricciardiello sul solarpunk.

Il Solarpunk è una sottogenere della fantascienza che, in opposizione alla distopia, descrive un rapporto uomo natura più ottimista, mettendo al centro le energie rinnovabili. Ne abbiamo parlato con FRANCO RICCIARDIELLO, autore di fantascienza dagli anni Ottanta, vincitore del Premio Urania e curatore di Assalto al Sole, la prima antologia di fantascienza interamente italiana dedicata al Solarpunk ed edita da Delos Digital.

Fantasy Voice intervista Franco Ricciardiello - solarpunk.it
Seguire il link per ascoltare l’intervista

Io sono Simone e queste sono le interviste di Fantasy Voice.

Buongiorno Franco e grazie di essere qui con noi di Fantasy Voice. Oggi siamo qui per parlare di Assalto al Sole, la prima antologia interamente italiana dedicata al Solarpunk. Iniziamo proprio definendo questo nuovo sottogenere della fantascienza. Che cos’è il Solarpunk?

Buongiorno a te e ciao a tutti. Il Solarpunk è sia un genere letterario, un sottogenere della fantascienza, l’ultimo dei sottogeneri che la fantascienza ha partorito, ed è, contemporaneamente anche, se vogliamo estremizzare il discorso, un modo di vivere. Il Solarpunk è l’immaginario ottimista del futuro che si contrappone a una visione pessimista, cupa, rinunciataria sulle possibilità dell’umanità di riscattarsi dall’attuale situazione del pianeta. Il Solarpunk, all’opposto di un immaginario rinunciatario e forse anche consolatorio che vede un continuo peggioramento della situazione politica, economica, ecologica dell’Umanità, cerca invece di immaginare la possibilità di avere un futuro migliore, una sostenibilità della civiltà umana per  indicare ai lettori, ma anche  in generale agli scienziati e all’opinione comune. quale potrebbe essere una via per arrivare a un futuro di pace con il pianeta. Se vogliamo metterla in questi termini.

Tra l’altro è, come dicevi,  nato in America, ma è arrivato anche in Italia. Tu come l’hai scoperto?

Secondo me, non soltanto per quanto riguarda il sottoscritto ma anche per tanti autori, era come se una specie di campanella squillasse nella mente ogni volta che avevamo tra le mani un libro che raccontava una storia pessimista o distopica. Intendiamoci, la distopia è una componente essenziale sia della fantascienza che dell’immaginario umano ed è anche giusto che alcune grandi distopie del passato, faccio solo alcuni nomi: 1984 di George Orwell, Il mondo nuovo di Aldous Huxley, Noi di Evgenij Zamjatin, abbiano tentato di mettere in guardia i lettori e l’umanità in generale su quello che potrebbe essere un futuro talmente distorto che la libertà di pensiero e di azione dell’essere umano è ridotta ai minimi termini. Il problema, per me e per altri scrittori, lettori in generale, era che se la possibilità di immaginare il futuro da parte della fantascienza si riduce soltanto a queste visioni cupe e pessimistiche, perde la sua carica di monito e di anticipazione. Perché è come se dicesse ai lettori: “Guardate, se vi sembra brutto il mondo in cui vivete le cose potrebbero andare ancora peggio.”E se questo può essere interessante sia letteralmente che socialmente in singole opere di grande presa per i lettori, nel momento in cui diviene l’unico paradigma per la fantascienza, in un certo senso assume un significato completamente diverso. Che è quello di una letteratura consolatoria. Come dicevo prima: attenzione che il futuro potrebbe essere ancora peggio. In me e in molti lettori questa cosa dava un certo fastidio. Eravamo interessati da una parte a recuperare le capacità di immaginazione di un futuro brillante, di un progresso tecnologico e scientifico che era alla base della fantascienza delle origini, dall’altra eravamo interessati a leggere e a scrivere storie che avessero finalmente una componente positiva, se così vogliamo dirlo: delle opere non soltanto cupe, di ammonizione, ma una letteratura nella quale i protagonisti si muovessero in un ambiente sì conflittuale (perché il conflitto è alla base della letteratura come di ogni arte umana), però con un messaggio positivo per i lettori.

Detto così sembra che la fantascienza sia solo distopica. In realtà ci sono vari generi, ricordiamolo. Poi la distopia è probabilmente quello più in vista, più conosciuto in questo momento?

F. Quando negli anni Ottanta il Cyberpunk ha conquistato l’immaginario dei lettori e degli scrittori di fantascienza, proponendo l’immaginazione di un futuro in cui la tecnologia era così pervasiva da essere quasi indistinguibile (e soprattutto la scienza non richiedeva più agli scrittori un giudizio di merito sul suo carattere positivo o negativo ma andava accettata così com’era), è stato quasi un momento di svolta della science fiction che ha rotto gli argini e il suo immaginario; a partire da film come Blade Runner, ha completamente contaminato l’immaginario degli spettatori di cinema in generale, ma non soltanto: probabilmente oggi quasi chiunque sa che cos’è un cyborg, cos’è un robot, sa cosa sono i mondi paralleli. Nel momento in cui il Cyberpunk è venuto lentamente a logoramento, proprio per dinamiche interne – non si può sempre mantenere lo stesso paradigma letterario – è rimasta soltanto una parte della sua carica estetica, cioè quella che immaginava un futuro degradato, fuori controllo e in preda ad esempio allo strapotere di multinazionali sulle quali l’individuo non poteva agire se non con un’azione liberatoria soltanto limitata. È questo che intendiamo dire quando diciamo che la componente distopica, che adesso è predominante nella fantascienza – anche se bisogna dire che si sta quasi separando come genere autonomo – rischia di contraddistinguere un genere che in realtà è molto ma molto più vario. È a questa situazione cui vogliamo, non dico reagire, ma vogliamo ovviare.

Ecco, e invece il Solarpunk quindi dà possiamo dire una risposta anche a tutti quei problemi climatici che stiamo vedendo e che stanno popolando le news in questo periodo storico?

Possiamo dire che, in un certo senso, il Solapunk come corrente letteraria, ha avuto una forte anticipazione nella cosiddetta Climate science fiction, cioè la fantascienza che ammoniva da interventi devastanti sull’equilibrio climatico del pianeta. Ci sono stati molti esempi, anche nel passato, non soltanto a partire dagli anni Ottanta e Novanta ma anche in precedenza in cui alcuni autori dicevano: “attenzione che un uso sconsiderato delle risorse del pianeta può portare a un esaurimento delle risorse stesse”. In molti casi questo serviva nella fantascienza degli anni d’oro a giustificare una conquista, da parte dell’Umanità, dello spazio, un’espansione nello spazio esterno e la colonizzazione degli altri pianeti. Il Solarpunk, è partito, invece, da dei ragionamenti sull’influsso di questo atteggiamento pernicioso e non sostenibile nei confronti del nostro pianeta per sviluppare dei tentativi di reagire a questa situazione, non fuggendo all’esterno del pianeta ma rimanendo qui e cercando di curare – se vogliamo accettare questo termine – di curare il pianeta dopo che lo abbiamo avvelenato.

Sappiamo quello che ha significato un film come Blade Runner sull’immaginario di un lettore e di uno spettatore mainstream. Ecco, quello che ancora manca al Solarpunk e che mi auguro si verifichi in un futuro molto vicino è un grande autore che si dedichi esclusivamente alla letteratura solarpunk

Intervista a Franco Ricciardiello, a cura di Simone Bonaccorso

Arrivando adesso ad Assalto al Sole, che ricordiamo, è la prima antologia italiana, edita da Delos Digital, che tu hai curato, cosa dobbiamo aspettarci all’interno di Assalto al Sole?

Dobbiamo aspettarci, prima ancora che dei racconti Solarpunk, dei racconti veri e propri. Quando ho selezionato una rosa di autori che conoscevo per aver scritto altri pezzi di fantascienza (e sapevo più o meno che cosa potevo pretendere da questi autori) ho raccomandato loro che, pur mantenendosi all’interno degli argomenti specifici del Solarpunk — vale a dire sostenibilità, immaginario del futuro, gestione delle risorse, gestione dell’energia, democrazia, influsso dell’aumento della possibilità di informazione in maniera democratica — ho chiesto loro, comunque, di non scrivere un catalogo di buone azioni, di buone pratiche per il futuro, ma dei racconti veri e propri, ho preteso – e naturalmente tutti quanti sono stati d’accordo – di avere dei personaggi credibili che agissero all’interno di trame credibili, confrontandosi con dei problemi che sono il conflitto interno della storia, con delle soluzioni. Certo, ovviamente si tratta in ogni caso, in ognuno dei racconti, di un problema che ha a che vedere con uno dei problemi del Solarpunk. Faccio un esempio: in uno dei racconti si parla dell’aumento della temperatura globale del pianeta al punto da sciogliere i ghiacci dell’Antartide e della colonizzazione dell’Antartide. In un altro, in altri due per la verità, si parla della possibilità di un’edilizia sostenibile ottenuta mediante lo sviluppo programmato di abitazioni che sono a metà tra il minerale e il vegetale. In altri ancora si parla della città sostenibile del futuro e della sua trasformazione in un senso più compatibile con l’ambiente, quindi città più verdi con materiali che permettono un riciclo dell’anidride carbonica e dell’inquinamento atmosferico e via dicendo. Quindi sono racconti effettivi con dei personaggi che si trovano di fronte dei problemi, questi problemi sono gli argomenti del Solarpunk, ma sempre racconti  molto forti sono.

Ma quindi, rispetto a quella che è la distopia dobbiamo aspettarci dei finali positivi o comunque il tema,  anche quando viene risolto ha sempre risvolti negativi? Perché comunque il problema ambientale c’è stato, mi sembra di capire…

Sì, non necessariamente c’è il finale positivo. Questo non sta all’interno dell’estetica del Solarpunk. Faccio un esempio: almeno un paio di racconti sono in un certo senso  interpretabili in maniera ambigua. Sappiamo che l’utopia per qualcuno è comunque sempre la distopia per qualcun altro. In questi racconti ad esempio, ci sono dei personaggi che si ribellano per iniziativa individuale alla standardizzazione della vita diciamo facile, compatibile e sostenibile, e tendono a rivolgersi a soluzioni più vicine alla vita che stiamo vivendo noi adesso: per fare un esempio, l’utilizzo del motore a scoppio, oppure il consumo senza criterio delle risorse alimentari. Se l’autore intenda biasimare oppure avallare questi comportamenti “ribelli” rispetto all’utopia futura, è una cosa che deve stabilire il lettore. Ci sono comunque alcuni racconti che non hanno necessariamente un finale positivo, perché vorrei precisare questa cosa: fantascienza positiva non significa che tutto finisce “a tarallucci e vino”. Fantascienza ottimista significa che ci sono possibilità per il futuro di tentare di cambiare la situazione dell’approccio odierno della civiltà umana nei confronti del proprio futuro. Questo significa.

Ecco, quindi non parliamo di rose e fiori, non è tutto a rose e fiori, comunque vediamo il problema per quello che è e cerchiamo di mettergli delle pezze.

Esattamente. E non sempre ci riusciamo, bisogna dire questo. Perché è naturale affermare che comunque, quando va tutto bene non c’è letteratura. Chi è che leggerebbe un libro o vedrebbe un film in cui tutto va bene ai protagonisti? Non hanno problemi d’amore, non hanno problemi esistenziali, non devono affrontare situazioni economiche negative… questo non fa storia. Ciò che farà storia,  storia nel senso letterario, nel senso di fiction, è il confronto con un problema.

Ecco, e come hanno affrontato gli autori che hai selezionato la sfida che gli hai posto? Perché dicevi che comunque hai preso autori che vengono dalla fantascienza, quindi non tutti per forza devono sposare il Solarpunk. Lo dicevi giustamente prima: la distopia di uno è l’utopia di un altro e viceversa.

Sì. Almeno due degli autori hanno messo in chiaro fin da prima di scrivere il racconto, quando li ho contattati, che non necessariamente condividevano alcune premesse del Solarpunk, e mi riferisco a quelle contenute in quei Solarpunk Manifesto pubblicati indipendentemente per iniziativa di alcuni autori americani, che non sono ovviamente delle regole da seguire ma sono delle indicazioni. Ad esempio alcuni autori non erano esplicitamente d’accordo con una visione anticapitalista di un futuro sostenibile. E io ho ovviamente detto che erano liberi di utilizzare qualsiasi approccio volessero nei confronti della materia, basta che all’interno della materia si restasse. Devo dire quindi che la gamma dei temi e degli argomenti affrontati è talmente vasta che qualunque lettore, anche quello che ha, come il sottoscritto, il gusto per l’ambiguità, per le condizioni non completamente soddisfatte all’interno della narrazione, può trovare pane per i suoi denti e soddisfazione per i suoi occhi.

Ecco, fin dall’introduzione, dalla prefazione al libro tu racconti anche che il Solarpunk, a dispetto di altri tipi di fantascienza, ha al suo interno una forte componente femminista. Come pensi che sia nata questa componente e come mai secondo te non c’è in altri tipi di fantascienza, non così presente come possiamo trovarla qui?

Questa cosa effettivamente dà da pensare. Se devo essere sincero non ho una spiegazione univoca. La cosa che ho notato è che, soprattutto negli Stati Uniti, il Solarpunk si accoppia volentieri con quella che tu chiami una visione femminista della fantascienza. Bizzarre sono queste raccolte di racconti pubblicati dall’editoria indipendente, che sono “racconti femministi in bicicletta”. La bicicletta è naturalmente una metafora per rappresentare l’utilizzo di tecnologie dolci, non invasive e sostenibili per il futuro. E il punto di vista di questi racconti è chiaramente femminista e sono scritti pressoché esclusivamente da donne. Perché questo succeda non sono sicurissimo, sarebbe semplicistico sostenere che i lettori maschi, e di conseguenza i lettori che si trasformano in scrittori, sono più interessati a una visione conflittuale dell’immaginario del futuro. Semplicistico perché innanzitutto, ripeto, anche nei racconti solarpunk il conflitto c’è eccome, in secondo luogo perché qualsiasi generalizzazione su scrittura femminile o maschile mi lascia piuttosto freddo. La cosa che devo dire e che è sintomatica da questo punto di vista è che, nel momento in cui ho provato a stilare un elenco di possibili autori che potessero rispondere alla mia chiamata alle armi, un po’ più della metà di quelli che mi venivano in mente pensando alla loro sensibilità individuale erano scrittrici donne. Quindi evidentemente, pur senza riuscire a darmi una spiegazione esplicita  su questa cosa, io stesso ho subito questa influenza, diciamo così.

Quindi dici che è più una questione di come è visto questo genere di fantascienza, il fatto che energie rinnovabili siano viste, uso le parole che hai usato tu,  in modo più dolce e che non la fantasia distopica di, adesso mi viene in mente un Dario Tonani con Cronache di Mondo Nove che invece ha un tipo di storia che racconta molto cruda e un’interazione con la tecnologia e con le macchine molto cruda e molto dark.

So che Dario Tonani è moltissimo letto e ammirato anche da lettrici donne. Quello che mi viene da pensare, più che sulla questione dell’energia, è la questione del concetto della cura per il pianeta. Mi sembra di capire che vi sia più sensibilità nelle lettrici femminili per questo tentativo di cura, di mettere d’accordo l’Umanità innanzitutto all’interno di se stessa e poi  verso il pianeta che ci ospita. Penso che potrebbe essere questa la spiegazione. Ed è ovviamente un tentativo di  spiegazione che non si rivolge soltanto esplicitamente alla parola cura, ma è la metafora di un tentativo di sanare lacerazioni che l’Umanità si porta dietro da scoli e che sono state prodotte soprattutto da una mentalità e da una gestione del potere maschile e maschilista. Penso che potrebbe essere un tentativo di spiegazione.

Ma invece, scusami, tornando al discorso che facevi prima, sul fatto che tutti, ormai, conosciamo Blade Runner o comunque abbiamo visto la fantascienza distopica dei film, quali pensi che siano i passaggi che deve fare il Solarpunk per arrivare al grande pubblico?

Il Cyberpunk aveva sì un immaginario proiettato in un futuro distopico, ma era all’interno della natura delle sue premesse: cioè il capitalismo, il liberismo, dopo la caduta del Muro di Berlino e della cortina di ferro, non aveva più nessun ostacolo sul suo sviluppo. Per forza di cose l’immaginario era ambientato in questi futuri di strapotere economico. Questo non significa che fossero necessariamente pessimiste le storie cyberpunk già a partire dai maestri, da William Gibson, e Bruce Sterling in poi. Questo non possiamo affermarlo. La grande differenza tra quello che è successo con la nascita del Cyberpunk nei primi anni Ottanta e del Solarpunk adesso, nell’ultima parte del decennio scorso e in questo decennio, è il fatto che l’immaginario Cyberpunk si è immediatamente contaminato e comunicato alle arti visuali. Sappiamo quello che ha significato un film come Blade Runner sull’immaginario di un lettore e di uno spettatore mainstream. Ecco, quello che ancora manca al Solarpunk e che mi auguro si verifichi in un futuro molto vicino è un grande autore che si dedichi esclusivamente alla letteratura solarpunk e che potrebbe essere, faccio un esempio, Kim Stanley Robinson, e una grande produzione cinematografica, magari hollywoodiana, che imponga l’estetica solarpunk al grande pubblico. Questa cosa è già avvenuta all’interno delle arti visuali, basta fare una ricerca in rete per vedere quante immagini, quante illustrazioni ispirate al Solarpunk sono già disponibili. Ci manca un grande visionario, un regista o un produttore, che prenda tutto questo immaginario già pronto e ci inserisca all’interno una storia — e questo potrebbe essere il momento trascinante per partire, per irradiarsi anche presso tutti i lettori che ancora nemmeno conoscono il Solarpunk. Ecco, il mio tentativo è quello di preparare alcuni autori per quel momento.

Ecco, a proposito di momento è già arrivato il momento Uno. Ma vedremo una nuova antologia, un momento due all’interno del progetto Assalto al Sole?

Assalto al Sole sta andando molto bene, anche al di là delle aspettative: la prima edizione cartacea è già esaurita, l’edizione in ebook va molto forte anche forse a causa di alcune restrizioni di movimento che ci vengono imposte in questo tempo. E naturalmente andando così bene, e suscitando tanto interesse fra i lettori, sarà naturale dargli uno sbocco. Uno sbocco che non può essere però una seconda antologia, che sarebbe un po’ fine a se stessa, ma qualcosa di più strutturato, di più ampio e magari anche di collettivo, che coinvolga non soltanto gli autori che si sono presentati per l’antologia, ma anche altri che nel frattempo si stanno avvicinando al Solarpunk sempre all’interno della casa editrice Delos Digital, che è stata per noi la culla del Solarpunk.

Va bene. Franco, la nostra intervista è arrivata alla conclusione, io ti ringrazio di essere stato con noi e spero che questo progetto continui nel migliore dei modi  e sicuramente ci risentiremo più avanti. Quindi grazie mille e a presto.

Sono io che ringrazio. Saluti a tutti e buone letture.

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