di Andrea Barresi

Diamine! L’asciugacapelli è fuori uso; nessun bottone funziona. Lo stacchi dalla presa e prendi il PC della nonna (che funziona ancora dopo ben 60 anni di ricambio parti) e controlli: la bottega di riparazioni del tuo quartiere è ancora aperta. Sei ancora in tempo per visitarla prima che inizi la festa, così prendi la bici elettrica che hai riparato il mese scorso. Dopo un workshop alla bottega ci sei riuscitǝ con un paio di attrezzi nella tua cassetta, ma l’asciugacapelli sembra aver bisogno di un pezzo nuovo dalla riserva condivisa. Pedali alla bottega e in un paio di facili mosse l’asciugacapelli viene disassemblato, il fusibile difettoso viene rimpiazzato e rimetti tutto insieme. La festa è salva!

Lo scopo primario del solarpunk, sia come movimento creativo che come insieme valoriale, è di fornire una visione di futuro positivo, una direzione verso la quale orientare la nostra immaginazione collettiva lontano dall’ossessione per le distopie. Queste sono in generale molto stereotipate: dai grattacieli inondati di neon e alta tecnologia del cyberpunk ai deserti diroccati e post-apocalittici,. universi come Mad Max, Cade la Notte di Isaac Asimov o La Parabola del Seminatore di Octavia Butler sono costruiti su uno stato di futura rovina. Le infrastrutture sociali cadono a pezzi o sono già diventate inutilizzabili, gli strumenti e i mezzi di trasporto si rompono, gli edifici crollano.

Queste ambientazioni sono state potenti armi di critica  sociale,  che  hanno  agito come monito di ciò che potrebbe succedere se le nostre società non rispettano certe dinamiche. Contemporaneamente, ci distraggono dal corrente stato di presente rovina: quando le infrastrutture, gli strumenti e gli edifici sono progettati per essere impossibili da riparare, e l’obsolescenza programmata rende più conveniente gettare via un oggetto anziché aggiustarlo ed estenderne la vita. Questo è il nostro  mondo  adesso,  non  un genere letterario; ma se dovessimo associargliene uno, sarebbe molto simile a quello cyberpunk.

Ma ecco la buona notizia: questo futuro non è inevitabile. L’attuale stato  di irreparabilità si basa su pilastri che, sebbene non facili da  abbattere, possono essere affrontati per assicurarsi che i nostri  strumenti  rimangano  nelle  nostre mani. In questo articolo esaminerò ciascuno di questi problemi e proverò a indicare canali che possiamo intraprendere collettivamente.

© Li Wangjie

Legislazione Ostile

Come la maggior parte degli abitanti del Ventunesimo Secolo hanno già notato, le circostanze catastrofiche del tardocapitalismo spesso spingono le amministrazioni locali, nazionali e internazionali a favorire aziende e corporazioni sopra ogni altra cosa, mettendo in secondo piano i diritti di cittadini e consumatori.

Ora, in quanto cittadino europeo sono in parte sollevato, siccome all’interno del blocco EU27 questa dinamica è meno accentuata: nel 2023, Apple è stata costretta a cedere e ha dovuto adottare la spina USB-C al posto del loro “caricatore fulmineo” (che funzionava solo con dispositivi Apple). Il diritto di riparare è stato codificato nella legge europea all’inizio di quest’anno. Questo impone alle aziende di “fornire servizi di riparazione economici e tempestivi e informare i consumatori”, oltre a puntare alla promozione di servizi locali e renderli più accessibili e a buon prezzo. Il problema è, comesempre, che toccherà ai governi nazionali implementare queste politiche nelle loro legislazioni entro due anni. Non ho dubbi che paesi diversi interpreteranno e applicheranno questi provvedimenti in un insieme di modi non impossibili da aggirare per le aziende.

Queste sfide sono più impegnative dall’altro lato dell’Atlantico. Negli Stati Uniti (e per estensione, anche in Canada) la maggior parte dei settori sono tenuti sotto scacco dal famigerato Digital Millennium Copyright Act (noto anche come DMCA). La Sezione 1201 in particolare impedisce ai consumatori di alterare in ogni modo e forma i prodotti che acquistano. E questo include le riparazioni! Aziende come John Deere o HP richiedono software autorizzato dai produttori per funzionare; siccome quelle inseriscono lucchetti digitali nella maggior parte dei loro dispositivi, significa che la Sezione 1201 rende un reato cercare di riparare qualsiasi cosa, dai trattori alle console, dai telefoni ai dispositivi medici. Questo è il motivo per cui le stampanti sono così frustranti: rubando le parole di  un certo drago saggio dal videogioco Skyrim, “Sono nate buone, ma sono state rese malvage.”

Non tutte le speranze sono perdute per i nostri fratelli e sorelle d’oltreoceano: molti stati hanno già iniziato a mettere in pratica eccezioni al DMCA o implementare politiche che codificano il diritto alla riparazione. Il Digital Fair Repair Act del 2022 a New York  e leggi  simili  in Colorado,  Minnesota e  California  sono esempi  perfetti, in aggiunta al divieto di accoppiare componenti dell’Oregon. Questi potrebbero diventare esempi per altre legislazioni federali, ammesso che ci sia sufficiente supporto popolare per implementarle. Per vent’anni la compagnia iFixit ha promosso campagne d’informazione su politiche e disegni di legge per aumentare la consapevolezza sull’importanza di avere questi diritti tra i più importanti al mondo.

Che fare? Questa è la parte più ardua, in quanto solo un piccolo gruppo di persone può introdurre questi diritti e renderli leggi, e questo processo richiede molto tempo. Indipendentemente da dove vivete, controllate le leggi della vostra regione o  paese. Inviate mail ai membri del parlamento che potrebbero essere interessati a raccogliere questa battaglia e discutetene coi legislatori.

Disponibilità di Informazioni

Tempo fa, mia nonna aveva una vanga vecchissima nel garage degli attrezzi. Era tutta arrugginita, piena di chiodi strani e pezzi di nastro adesivo. La prendevamo in giro per quella vanga rattoppata, dicendole che avrebbe dovuto buttarla e prenderne una nuova, ma lei si rifiutava sempre. Sapeva di cosa avesse bisogno quello strumento per esserle utile, e sapeva che era ancora affidabile e funzionante.

Immagina che si rompa il tostapane e vuoi provare a ripararlo. Da dove iniziare? La persona media (e mi includo in questa categoria!) a malapena sa dire cosa esattamente si sia rotto, e sono passati i giorni in cui i ragazzi smontavano e rimontavano le radio per divertimento. Se un tostapane sembra una sfida, immagina uno smartphone o qualsiasi altro oggetto digitale. In parole povere: collettivamente, ci manca l’esperienza. Nonostante l’attrattiva di una connessione a internet permanente, stiamo diventando sempre più disconnessi dai nostri stessi strumenti, incapaci di superare le barriere sempre più alte tra noi e loro. Quanti di noi possono dire di avere la stessa relazione con uno smartphone che mia nonna aveva con la sua vanga?

Il primo passo per abbattere queste barriere è recuperare e riappropriarsi di quella conoscenza tecnica. I manuali d’istruzioni forniti dalle aziende sono poco utili oggi: contengono giusto qualche consiglio superficiale riguardo l’uso dei prodotti nel modo più basilare, più qualche avvertimento su come evitare che malfunzionino in modo critico. Ma i meccanismi interni delle componenti e dei software non sono né illustrati né spiegati.

Questo è, ovviamente, un problema collettivo. Non possiamo pretendere che ogni ingegnere o negozio di riparazioni abbia a disposizione manuali approfonditi per ogni componente tecnologica moderna, specialmente data l’immensa mole di marchi e modelli in circolazione oggigiorno. Servono archivi e librerie in cui queste informazioni sono reperibili e accessibili da tutti quando necessario. Servono persone che insegnino a diagnosticare problemi tecnici e come estrarre e sostituire le componenti difettose in sicurezza.

Che fare? Quando qualcosa si rompe, provate ad analizzarlo. Cosa non ha funzionato, qual è stata la causa? Posso ripararlo autonomamente o è necessario rimpiazzare qualche pezzo? Iniziate con strumenti semplici, chiedete ad altre persone che hanno avuto gli stessi problemi, trovate luoghi che hanno quel tipo di esperienza e suggeriteli a chi ancora non è riuscito a risolverli. Se avete figli o nipoti, sedetevi con loro e provate ad aiutarli a riparare ciò che si è rotto: è un’opportunità di apprendimento per tutti!

Convenienza e Comodità

Se il consiglio del paragrafo precedente sembra arduo… è perché lo è davvero. Quarant’anni di deregolamentazione aggressiva (almeno sui due lati dell’Atlantico) hanno incentivato molte aziende a progettare prodotti più economici sacrificando ogni altro aspetto, specialmente la durevolezza e la riparabilità. Viviamo nell’era dell’obsolescenza pianificata, in cui le aziende hanno notato che avrebbero venduto meno prodotti a clienti che riparavano i propri (e quindi sfuggivano all’estrazione di profitti). Ma siccome i consumatori sono molto prevedibili, tutto ciò che è servito è stato rendere più facile gettare un oggetto rotto e comprarne uno nuovo piuttosto che ripararlo.

Questa tendenza può essere invertita: dobbiamo rendere le riparazioni più economiche e meno faticose rispetto ai nuovi acquisti. In questo senso, il capitalismo ci sta già offrendo un assist non intenzionale: l’inflazione. I prodotti nuovi sono sempre più costosi e anno dopo anno sempre meno persone possono permettersi di comprare un telefono o una lavatrice nuovi. Il terreno è fertile affinché una nuova (vecchia?) mentalità riparatoria metta radici e si diffonda.

C’è un’altra direzione che si può imboccare: dal lato della produzione (per chi di noi lavora in aziende o fabbriche), possiamo  promuovere design  che  facilitano  le riparazioni e richiedono il minor numero  possibile  di  componenti proprietarie.  Il marketing è altrettanto responsabile: i pubblicitari sono addestrati a spingere sui prodotti che offrono novità, qualcosa in più rispetto ai modelli precedenti per convincere i consumatori a comprare anziché riparare ciò che già hanno acquistato. Dovremmo invece passare al pubblicizzare prodotti che semplicemente funzionano.

Che fare? Prestate ai vostri conoscenti i vostri strumenti, aiutate a mettere insieme librerie, chiedete ai commessi dei negozi e dei rivenditori se ciò che state per comprare è riparabile. Fate un giro nel vostro quartiere e localizzate i negozi di riparazioni: sempre di

più stanno aprendo, e se siete già veterani potreste pensare di aprirne uno voi! In breve: rendete facile per chi vi sta intorno pensare a riparare anziché rimpiazzare.

© Taras Aigel, da Pinterest

E per le infrastrutture pubbliche?

Finora  ho  discusso  principalmente  le  eventualità  riguardanti  gli   strumenti personali, ovvero gli elettrodomestici e gli oggetti che compriamo per noi e per le nostre famiglie. Eppure, la maggior parte dei materiali è imbrigliata in tutto il resto che ci circonda: edifici, ferrovie, strade, tutta l’infrastruttura che muove il  mondo  moderno. Anche quelle si rompono, e come ogni cosa richiedono manutenzione.

C’è una differenza di scala non banale che rende questi oggetti molto più complicati da riparare: nessuna persona può sobbarcarsi tale lavoro da sola, eppure è un lavoro che va fatto per evitare conseguenze disastrose. Nel nostro paese tombini, argini e varie infrastrutture fluviali sono raramente riparate, e ciò causa conseguenze disastrose anche in condizioni non estreme, come il collasso del Ponte Morandi o le alluvioni in Romagna degli ultimi due anni. Con una crisi climatica ormai sopra di noi, le condizioni estreme saranno sempre più comuni, e possiamo prepararci a esse riparando le nostre infrastrutture. Gli ingenti danni di alluvioni e siccità possono essere prevenuti solo da infrastrutture che funzionano.

Come società, dobbiamo puntare a uno stato in cui teniamo a ciò che è già costruito, al punto che preservarlo è più importante e remunerativo che demolirlo  o lasciare che cada in rovina.

Che fare? Qui la strada è più complicata; per il momento, come dice un famoso attore contemporaneo, “just do it” (se potete). Può essere costoso per una persona sola, certo, ma se le strade del vostro paese sono piene di buche possono essere rattoppate da un piccolo gruppo che realizza una colletta. Le piante invadenti possono essere potate, le fermate dei mezzi pubblici possono essere pulite, le tubature delle fogne sturate, la spazzatura rimossa, la neve spalata. Più importante: fate pressione sulle amministrazioni locali. I comuni delle città italiane sono solitamente lenti e inattivi quando si tratta di una sola persona che chiede qualcosa, ma un gruppo abbastanza nutrito con un progetto chiaro ha molte più probabilità di essere ascoltato e accontentato. E se state per ribattere che non volete cooperare con le autorità, vi esorto a pensarla in modo diverso: convincete le autorità a cooperare con voi.

E se volessimo andare oltre? E se invece di avere dispositivi che ci vengono venduti da grandi aziende che possano essere facilmente riparati, potessimo anche progettare e produrre i nostri stessi strumenti? Ecco dove si arriva al vero solarpunk.

Un elemento comune in questo genere narrativo è la stampa 3D, ovvero la possibilità di dare a un  materiale  sufficientemente  duttile  la  forma  desiderata  per realizzare il compito necessario, o per essere assemblato in strumenti più complessi. Un mondo in cui la stampa 3D è diffusa non garantisce comunque che i materiali necessari siano  accessibili,  riciclabili  e  riutilizzabili.  Invero,  in  tale  mondo  i  diritti,  brevetti,  marchi di fabbrica e altri metodi per limitare l’accesso si sposterebbero dagli strumenti ai progetti, come già sta accadendo per svariati software.

In altre parole, è come sono realizzati i progetti, come gli strumenti e i prodotti sono concepiti prima che siano prodotti e da dove arrivano. Culture diverse da bioregioni

diverse avranno bisogno di strumenti diversi per risolvere i propri problemi, e sarà necessario biforcare i progetti per rendere ciò possibile, come nei software open source.  Appropedia, per esempio, è un esempio di opera collettiva che si concentra su questo tipo di design, assicurandosi che convenienza e sostenibilità siano al centro di ogni design.

Ma anche in quel caso, non tutto può essere stampato in 3D. Perfino in un futuro immaginifico in cui chiodi, viti e fusibili possono essere facilmente sostituiti, componenti come semiconduttori e oggetti quotidiani come i cuscini sarebbero di difficile manifattura attraverso la stampa. Qualsiasi ingegnere o architetto con sufficiente esperienza non sarà d’accordo con la stampa di un tetto, un pilastro o altri elementi che devono sopportare grandi pesi a lungo. Inoltre, per quanto riguarda oggetti e strutture composite, gli stampi hanno chiari vantaggi in termini di resistenza e varietà dei materiali; la stampa può essere utile per prototipi ed esperimenti, ma non garantisce la stessa durata e resilienza a causa della malleabilità del materiale. Certamente dobbiamo essere in grado di riparare qualsiasi cosa, ma vogliamo anche, ed è forse più importante, che ogni cosa richieda la minima manutenzione possibile.

Queste componenti tecniche complesse dovranno essere realizzate in fabbriche, ma con un modello radicalmente diverso da ciò che abbiamo oggi. Dopotutto,  se  vivo  in Polonia e ho acquistato il mio computer in Italia, non dovrei aver bisogno di tornare al negozio originale per ordinare  pezzi  di  ricambio  da  Taiwan  (questo  mi  è  capitato davvero!)

Un’altra via per superare il mito della stampa è la standardizzazione: viti, chiodi e fusibili dovrebbero essere di facile reperibilità perché sono tutti uguali, non perché possono essere stampati a volontà. Se queste componenti fossero standardizzate  sarebbe immediato recuperarle, e nessuno dovrebbe avere una stampante 3D a disposizione per produrle.

Una catena di produzione solarpunk potrebbe somigliare al modello proposto dal gruppo Internet of Production: una rete di negozi e fabbriche su piccola scala che condividono progetti e sfuggono alle logiche della produzione di massa. La loro manifattura è dettata dalla domanda locale piuttosto che da requisiti di vendita, e mantenuta al minimo grazie all’estrema disponibilità di opzioni per riparare i prodotti. Queste devono essere molto più diffuse: ripara-bar e botteghe dovrebbero essere più comuni delle fermate degli autobus e in grado di venire incontro a ogni tipo di esigenza, più un certo numero di luoghi specializzati in strumenti tecnologici o altri macchinari più complessi.

Sotto molti aspetti, la nostra visione del futuro si è rotta; ma abbiamo l’incredibilmente appagante possibilità di rimetterla in sesto, e questa parte da come rimettiamo in sesto i nostri strumenti e le nostre abilità.

Andrea Barresi
Condividi il post

Comments are closed