Riccardo Muzi
Trama:
Il giovane guerriero Ashitaka, affrontando un immenso cinghiale posseduto da uno spirito malvagio viene ferito al braccio e colpito da una maledizione mortale. Lascerà il suo villaggio per cercare la salvezza, durante il suo viaggio incontrerà San, una ragazza allevata dai lupi chiamata Principessa Mononoke.
Commento:
Tutte le volte che vedo un’opera di Miyazaki la mia mente, quasi come un movimento istintivo, si sofferma sempre su quanto siamo stati poco abituati alla sua narrativa e quanto, invece, il nostro immaginario sia stato schiacciato dal peso di opere basate sul semplicistico confronto fra bene e male, fra eroi e criminali, fra giusti e corrotti. In ambito cinematografico, questo è avvenuto ed avviene tuttora, per una persistente egemonia di prodotti statunitensi (le pellicole delle major del cinema USA). Siamo talmente invasi dalle storie a stelle e strisce da far fatica a decodificare qualcosa di diversa provenienza che, pur piacendoci, ci risulta difficile da interpretare. La riflessione è imposta da “Mononoke”, forse anche in modo più perentorio rispetto a “Nausicaä della valle del vento” che è un film di 13 anni precedente ma che affronta tematiche simili a quelle della “Principessa”.
Non è un caso che i due film si aprano raccontando la medesima dinamica: un “mostro” dalle sembianze ferine sta mettendo a repentaglio le vite dei malcapitati di turno. Uno dei personaggi principali, prima di provare a fermarlo con metodi più spicci e violenti, prova a parlarci per capire cosa lo spinga alla distruzione cercando di dissuaderlo dai suoi intenti mortiferi.
Perché provare a dialogare con una creatura all’apparenza spregevole e votata alla distruzione? Sembrerebbe un’azione insensata, da pazzi. Ma i “mostri” in “Mononoke”, come noi li intendiamo, non esistono. Viene invece rappresentato un rapporto di causa-effetto fra l’umano e il non umano: la violenza del primo può alterare l’aspetto e le intenzioni del secondo trasformandolo in un essere orribile. La Natura reagisce anche in questo modo, ricordando che sussiste un legame indissolubile fra la Terra, l’umanità e tutti gli altri esseri viventi.
Nei mondi creati dal maestro giapponese il bene e il male non si dividono nettamente, così come non vivono vite separate l’umanità e la Natura. Miyazaki sembra volerci dimostrare, qualora non l’avessimo ancora capito, che la realtà è sempre più complessa di quanto la si immagini. Certo, prima di partecipare a questa lezione, dovremmo cercare di allontanare i nostri pregiudizi sul genere “fantasy” e sui film di animazione, troppo spesso percepiti come banali cartoni animati ovvero roba per bambini (almeno in Italia, le opere del cineasta nipponico se la sono dovuta sudare una distribuzione degna di questo nome).
Se dovessimo riuscire davvero ad abbandonare, in un sol colpo, buona parte delle nostre sovrastrutture, per le immagini che ci scorrono davanti agli occhi, potremmo provare qualcosa di simile al sentimento che si instaura fra i due protagonisti della storia: Hashitaka e San. Lui, un cavaliere che difende la sua gente, lei, la “principessa Mononoke”, cresciuta fra i lupi, che odia gli umani per la loro assoluta mancanza di rispetto nei confronti della foresta, la sua casa. Odio e amore, la Natura e l’umanità, Hashitaka e San. Elementi non solo narrativi, ma profondamente simbolici, che pur essendo opposti si compenetrano vicendevolmente, la cui stessa esistenza è garantita da un rapporto di reciprocità come vuole il concetto filosofico basato su yin e yang.
“Princess Mononoke” parla proprio di questo: di equilibrio e disquilibrio, di armonia e disarmonia. Il film si avvolge intorno ad una trama quasi sottaciuta che racconta come l’equilibrio sia serenità, progresso e pacifica coesistenza e come il disquilibrio sia foriero di disfacimento, causa di infelicità. Sul disquilibrio, però il regista giapponese esce allo scoperto con un esempio fin troppo didascalico, a prova di fraintendimento: in “Princess Mononoke” c’è addirittura chi brama la testa del Dio-Cervo, la divinità della foresta, perché in grado di conferire l’immortalità. Il desiderio smodato trasforma chi ne è soccombente in un essere spregevole come è spregevole pensare al proprio tornaconto a spregio o a discapito degli altri: chiaramente tagliare la testa di una divinità avrà delle ripercussioni tutt’altro che irrisorie.
Per Miyazaki ci fu un tempo, molto lontano, in cui gli uomini, le donne e gli animali vivevano in armonia. Un periodo storico in cui la Terra era ricoperta da foreste popolate dagli spiriti della Natura. Un passato che potrebbe tornare immaginandolo come un futuro da desiderare.
“Gli alberi gridano quando vengono uccisi, ma gli umani non possono udire i loro gemiti” (Moro, la Dea Lupa, madre adottiva di San)
Crediti:
titolo originale: もののけ姫 (Mononoke hime) Regia: Miyazaki Hayao Anno: 1997 Paese: Giappone Durata: 128′ Soggetto e sceneggiatura: Miyazaki Hayao
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