Buongiorno e bentrovatə alla newsletter di Solarpunk Italia. Da mesi, sui social (e non è un caso che si tratti di quelli più popolati dalle fasce di età più adulta) circola un’immagine che vorrebbe rappresentare i Paesi in cui sarà vietato immatricolare veicoli a combustione interna a partire dal 2035. Nella cartina sono evidenziati in blu soltanto gli Stati membri dell’Unione Europea, più la California. L’immagine è chiaramente falsa e fuorviante, e come spesso accade si presta poco a spiegare la complessità della situazione: alcuni Paesi infatti hanno come obiettivo il 2030, altri il 2040, altri ancora il 2050, e ognuno, come la stessa Unione Europea, attuerà il divieto a particolari condizioni. Se le cose dovessero rimanere come stanno ora l’Unione Europea ha ceduto alle pressioni, in particolare quella di Italia e Germania, di mantenere l’immatricolazione di veicoli endotermici a partire dal 2035 a patto che vengano alimentati da combustibili sintetici, i cosiddetti e-fuel. Il governo italiano puntava a inserire anche i biocarburanti nell’eccezione dell’accordo (il maggior produttore italiano di biocarburanti è ENI, che mira a produrne sei milioni di tonnellate all’anno entro dieci anni), ma fortunatamente sembra non avere tante speranze di averla vinta. Tornando all’immagine, questa viene puntualmente riproposta da quella vasta schiera di detrattori delle auto elettriche sui social, e inserita spesso tra i commenti inferociti di qualsiasi articolo sulla transizione alla mobilità elettrica. Al pari dei cultori della carne ai ferri, che vanno fieri di spazzolarsi due chili di fiorentina in una sola cena, vedo negli amanti dei “veri motori” una combinazione di caratteristiche tipo che spuntano fuori spesso nella lotta al cambiamento: una miscela di disinformazione, incapacità di leggere il presente in modo razionale, una passione da cui scaturisce un senso di appartenenza a qualcosa che è in realtà guidata dalle campagne disinformative delle lobby, e una quasi assente propensione all’adattamento ai cambiamenti della società, anche quando questi comporterebbero dei benefici per tuttə a lungo termine. Non è sempre facile rimanere speranzosi quando i social ci ricordano che al di fuori della nostra bolla di conoscenze e amicizie, che magari la pensano in modo a simile a noi, esiste un’infinità di persone a cui non importa nulla del cambiamento climatico e che non sono disposte a sacrificare un briciolo delle proprie abitudini per ambire a un futuro migliore. E ancor meno ci rende speranzosi leggere quotidianamente notizie che sembrano allontanarci sempre più dai valori che vorremmo raggiungere, di governi, presidenti, Stati e organizzazioni che non fanno nulla di quello che dovrebbero fare per avviare il cambiamento. In tutte queste vicende però passa spesso inosservato un attore molto importante per noi che viviamo in Italia, che è appunto (e qui mi farò altri nemici) l’Unione Europea. Proprio lei, la protagonista della cartina. Ora, non importa se siete dellə solarpunk anarchichə o dellə antieuropeistə convintə, lasciamo da parte per un attimo la guerra e le questioni geopolitiche, che non fanno altro che complicare ulteriormente la situazione e creare disastri su disastri. In mezzo a questo deserto e a questa inettitudine, c’è una Commissione che vuole affrontare realmente la transizione ecologica con il green deal, che elabora proposte sostenute da basi scientifiche anche a costo di remare contro gli interessi economici a breve termine (l’intenzione di voler favorire il riuso al riciclo per ridurre gli imballaggi ne è la prova, intenzione che non va tanto giù alla filiera italiana del riciclo, ad esempio, una delle più sviluppate del settore). Per questi motivi, molto più spesso sono gli Stati membri, influenzati dalle lobby, a opporsi e a mettere i paletti alle proposte europee, a recepire le direttive ambientali in modo tardivo e molto superficiale (l’Italia primeggia anche in questo, in negativo), oppure a farsi sfuggire i fondi europei per totale disinteresse o incapacità. Questa macchina europea, insomma, nonostante le opposizioni e la poca collaborazione sta cercando di tracciare la via, e sbirciando all’esterno non mi sembra che ci siano tanti Stati intenzionati a fare di meglio nel resto del mondo. Al di là del doomscrolling, pare che l’anello dell’economia circolare in Europa stia iniziando lentamente a girare e a mettere buone radici. Nonostante la resistenza delle lobby, sono tanti i progetti, le aziende, le iniziative che vogliono investire in questo settore in fermento. La ricerca è attiva. Difficile dire quali di queste siano sincere e quali no, quali si dipingono green e quali vogliono esserlo realmente. La cosa importante a questo punto è che rispettino le normative ambientali, e che queste risultino efficaci. Nel solarpunk si è tentato spesso di trovare differenti vie di esistenza e di coesistenza in altre culture, ricerca che non si è ancora esaurita, per allontanarsi dal modello occidentale. A casa nostra però abbiamo uno strumento molto potente, che può influenzare i mercati esteri (se i produttori statunitensi o cinesi vorranno vendere i prodotti nell’Unione Europea, dovranno anche adeguarsi agli standard stabiliti dalle normative dell’economia circolare, anche quando si serviranno di stabilimenti esteri e in Paesi in via di sviluppo). Sarebbe la volta buona non tanto per riscattare il modello occidentale, ma per crearne uno nuovo. Sempre sperando che di auto in futuro ne possano esistere sempre meno (poi lo diremo ai tedeschi), e che la mobilità, in particolar modo quella delle città, venga guidata da innovativi veicoli pubblici, accessibili, efficienti e sostenibili, forse una piccola luce rimane. Potremmo chiedere anche di più all’Europa, sarebbe ideale, ma prima dobbiamo vedercela con gli Stati membri, con i nostri governi. Ora più che mai è necessario giocarsi le carte giuste, ogni volta che è possibile. E per farlo è necessario informare, unirsi, progettare, e non perdere mai la speranza. Marco Melis NUOVA COLLABORAZIONE! Le amiche e gli amici del Commando Jugendstil realizzeranno una vignetta solarpunk al mese, per la nostra newsletter. Grazie di cuore! La vignettà sarà condivisa anche, in inglese, con la rivista Solarpunk Magazine, inaugurando un “gemellaggio” che speriamo prosegua con altre iniziative. ======= ecco la terza vignetta Cosa vuol dire mobilità sostenibile nella città solarpunk? Nella città solarpunk, la vettura privata è un’ eccezione più che una regola e i numeri non giustificano più gli spazi che le venivano ceduti. I cittadini trasformano parcheggi, svincoli e strade in luoghi di natura e socialità. A Milano, gli abitanti riaprono i navigli e canali che ne avevano fatto la prosperità nel medioevo e che erano stati interrati negli anni ’50 e ’60. La Emys Orbicularis è un battello ad energia solare. Deve il nome ad una delle specie di tartaruga palustre presenti in Italia, con cui condivide una certa somiglianza per via del suo guscio, fatto di pannelli solari. Imbarcazioni come questa solcano le acque, portando viaggiatori, lavoratori e studenti in giro per la città. Con un po’ di pazienza si può arrivare a Pavia, ai Laghi e al Po, in barca o lungo le ciclabili di lunga percorrenza, attrezzate di tutto punto per accogliere i viaggiatori. I viaggi si fanno con calma, e senza emissioni. ome fa la città solarpunk a scambiare beni con altre comunità solarpunk in giro per il mondo? I membri di un gruppo di acquisto si mettono d’accordo e mandano una richiesta diretta ai consorzi produttori, che mettono insieme gli ordini e contattano le cooperative di trasporto per la spedizione. Piattaforme federate aiutano GAS e consorzi di produttori a tenersi in contatto e pianificare spedizioni regolari e occasionali nel modo più efficiente ed efficace. Navi a vela, high tech o tradizionali, solcano il Mediterraneo, portando carichi di porto in porto. Appartengono a cooperative che raccolgono spedizioni dai produttori locali. Giunte in porto, le navi scaricano i beni su treni merci che le trasportano verso centri regionali di scambio e scali merci. Qui cooperative locali li caricano su filobus da trasporto che usano energia direttamente dalla rete federata per portarli in quartieri, paesini e villaggi del circondario. I gruppi di acquisto solidale vanno a ritirare i loro acquisiti alle fermate prestabilite, in sella alle loro bici da carico, spesso a pedalata assistita, o con carrelli, carriole e quant’altro. Produttori locali consegnano a loro volta i loro ordini alle cooperative di trasporto in modo che facciano il viaggio inverso alla volta di comunità vicine e lontane. Ogni scambio è equo e solidale di default. Commando Jugendstil CI DAI UNA MANO? 🙂 La newsletter e il sito solarpunk.it sono frutto di lavoro volontario e senza scopo di lucro. Con una donazione puoi aiutarci a coprire le spese vive del sito e a progettare iniziative più ampie. DONA a Solarpunk Italia, via Paypal o carta GRAZIE! COLLANA SOLARPUNK ATLANTIS: i racconti del mese Atlantis n. 22: “Un racconto dell’arcipelago” di Stefano Canducci e Alessandro Fambrini Scaricalo qui Atlantis n. 23: “Il santo e l’evangelista” di Sergio e Andrea Beccaria Scaricalo qui MEMO Il 22 maggio si terrà, online alle ore 21, il terzo incontro del Gruppo di Lettura di Solarpunk Italia. Protagonista: Philip J. Farmer con “I cavalieri del salario purpureo” I POST del mese Letture a tema: “A psalm for the wild built” di Becky Chambers Eroine utopiche, guaritrici della specie Letture a tema: Christophe Léon, “Granpà” Alexandra Kleeman, “Qualcosa di nuovo sotto il sole” Letture a tema: Luca Beverina, “Futuro materiale” Letture a tema: “Eutopia” di Camille Leboulanger Film a tema: “Princess Mononoke” di Miyazaki Hayao IL SEME del mese Meglio un boto vivo Boto non è il nome con cui conosciamo questo raro e bellissimo odontoceto, forse i termini Inia o delfino rosa vi diranno di più. Le inie sono cetacei d’acqua dolce tipici dei bacini del Rio delle Amazzoni e dell’Orinoco, dove risiedono da più di 25 milioni di anni. Più che nei fiumi, vivono nei sistemi di laghi e di giungle allagate, senza mai spingersi in mare. |
Dal nostro archivio SEMI: Beni comuni e sovranità alimentare Istituzioni finanziare fondate e controllate dai paesi “ricchi” incoraggiano le ex colonie a un modello di sviluppo occidentale: prendono materiali e fonti energetiche e offrono beni di consumo, creando mercati dipendenti dall’importazione di prodotti a alta tecnologia. Aspetto intrinseco di questo modello, legato alle condizioni imposte dalla Banca Mondiale e dell’FMI, è la privatizzazione/confisca dei beni comuni locali. Per questo mese è tutto. A rileggerci! Ti piace la newsletter? Inoltrala a chi vuoi, o parlane sui social. Ti hanno girato questa mail? Per ricevere le prossime, iscriviti qui Per leggere le precedenti: Archivio newsletter Copyright © 2023 Solarpunk Italia |
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