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Antonio Ippolito è l’autore dell’editoriale di questo mese.
Carissimi,
dopo le profondità psichiche e sciamaniche esplorate nell’articolo di Giulia del numero precedente, passo a una rassegna di freddi numeri. Spero non sia una doccia gelata ma che aiuti a definire il quadro su cui proiettiamo la nostra immaginazione.
A metà gennaio le agenzie di stampa pubblicavano un dato sorprendente:
“Per la prima volta dagli anni Sessanta, nel 2022 nella Repubblica Popolare Cinese le morti hanno superato le nascite” (la RPC è uno dei pochi paesi ad avere già subito un calo della popolazione dopo la II Guerra Mondiale, a seguito delle carestie provocate dal “Grande Balzo in Avanti” voluto da Mao nel 1961).
Che la popolazione dell’India fosse avviata a superare quella cinese era noto da tempo, ma che questa addirittura calasse è davvero sorprendente.
Gli effetti della pandemia in termini di ulteriore calo delle nascite e aumento delle morti si sono sommati alle conseguenze di lungo termine della “politica del figlio unico” imposta da Deng Xiaoping nel 1979, recentemente abolita, ma senza che questo abbia comportato un cambio di rotta.
Perché dedicare tanto spazio alle due superpotenze asiatiche?
Chiunque abbia almeno cinquant’anni è cresciuto, almeno nei suoi primi anni, in un’epoca in cui di cambiamenti climatici si iniziava appena a parlare, ma in compenso la sovrappopolazione era il problema numero uno (sempre che si fosse evitato il conflitto nucleare).
Le riviste scientifiche pullulavano di esperimenti in cui topi da laboratorio, allevati in condizioni di sovraffollamento, diventavano sempre più aggressivi fino a sterminarsi fra di loro. Saggi come “The population bomb” di Ehrlich e “I limiti dello sviluppo” del Club di Roma guidato da Aurelio Peccei tracciavano un futuro da incubo, di cui la fantascienza prese immediatamente possesso producendo classici come “Largo! Largo!” di Harrison, il ciclo del “Mondo-a-fette-solo-di-martedì” di Farmer, racconti come “Concentration city” di Ballard, fino al capolavoro di Brunner “Tutti a Zanzibar”.
Se il mondo cattolico invitava a considerare l’uomo non solo come un costo e quindi un problema, ma anche una risorsa e quindi una possibile soluzione ai problemi, il neomalthusianesimo restava comunque il fondale di ogni altra previsione.
In questa narrazione i paesi asiatici rivestivano un ruolo primario: nell’immaginario occidentale “il pericolo giallo” implicava, con un certo razzismo implicito, popoli sterminati di individui fatti in serie, pronti a invaderci prima con i loro prodotti di bassa qualità, poi chissà, anche fisicamente, forse contando sulle loro numerose, anonime masse. E invece la Cina è riuscita ancora una volta a stupire: da questa civiltà “altra” arrivano periodiche novità, non necessariamente piacevoli, per noi che abbiamo un sistema di valori e di aspettative molto diverso, ma spesso significative.
Non discutiamo qui la durezza dell’applicazione delle politiche demografiche cinesi, che tra l’altro hanno comportato una sproporzione tra i generi, con molti giovani maschi costretti a restare scapoli o a cercare moglie nei paesi confinanti (il che comporta, a catena, ripercussioni sociali in questi paesi). Interessa soprattutto capire che prospettive si aprono nel momento in cui sappiamo che la sovrappopolazione non è una condanna e che non solo paesi benestanti come Germania, Giappone, Italia possono fermare la crescita della popolazione.
Da quasi vent’anni l’ONU prevede che la popolazione mondiale raggiunga il suo picco di 10-11 miliardi nel 2050 o poco dopo. Per quanto sia inquietante immaginare altri 3 miliardi di abitanti su questo pianeta, l’idea che sia possibile a un certo punto fermarsi anche in assenza di cataclismi o guerre mondiali è un sollievo (anche se resta la questione dell’Africa, dove si concentrerà la maggior parte della crescita demografica dei prossimi decenni, con un possibile raddoppio della popolazione).
Molto dipenderà da come sapremo gestire questo periodo di transizione.
Chi lanciava i primi allarmi cinquant’anni fa in generale non si rendeva conto di una delle conseguenze immediate di un calo sostenuto delle nascite, ovvero l’invecchiamento della popolazione (lo risolveva a modo suo un altro successo degli anni ’70, “La fuga di Logan”: al compimento dei trent’anni si veniva accoppati).
Sapremo apprezzare l’abbondanza di persone anziane come un’opportunità per tornare ad avere famiglie più sane, anziché ragionare solo in termini pensionistici e produttivi?
I Paesi in calo demografico sapranno accogliere popolazione in eccesso da altre aree, un’immigrazione oltre tutto operativamente necessaria, e instaurare processi di collaborazione con i loro paesi di origine, esportando e importando buone pratiche?
Impareremo a privilegiare la qualità della vita rispetto alla quantità, liberandoci dell’ottuso ricatto della “crescita” (che già in Cina qualche alto funzionario vede compromessa)?
Troveremo il modo di frenare il consumo di suolo, almeno ora che la popolazione è in calo?
Sapremo dare un valore allo spazio riconquistato?
Qualche esempio già si vede: aumentano le esperienze di riutilizzo dei paesi abbandonati, da quelle più “di mercato”, come gli alberghi diffusi (quanto meno creati nel rispetto del paesaggio esistente) a quelle di tipo amministrativo, come le case abbandonate messe a disposizione gratuitamente dai Comuni purché le si ristrutturi e si ripopoli il paese.
Più interessanti quelle meno commerciali, come i percorsi di trekking dedicati ai borghi “dimenticati”, da non vedere come una “sconfitta” dell’ “homo oeconomicus” ma come un pezzo di storia da cui imparare; oppure la recente notizia di un “villaggio di scienziati” sull’Appennino, che ricorda iniziative simili di gruppi di artisti, e suggerisce che il riutilizzo apra spazi a nuove esperienze abitative, nuovi stili di vita.
Quelle esposte sono tutte domande che richiedono risposte immaginative, creative, in contrasto con le abitudini correnti e sarà preziosa una narrativa che ci abitui a cogliere le opportunità in arrivo, anziché a reagire a una catastrofe imminente.
La paura è in generale una cattiva consigliera, e viene scatenata apposta per spingerci a comportamenti improvvidi…
Antonio Ippolito
I prossimi appuntamenti
03 febbraio – Collettivo Solarpunk Italia e collaboratori – “Solarpunk uncovered, due anni insieme!” Diretta social sul canale Facebook di Solarpunk Italia, dalle 18.
10 febbraio – Romina Braggion – “Solarpunk. Attivismi ambientali e sociali nella narrativa” chiacchierata con aperitivo al Circolo Arci Guernelli, a Bologna, dalle 19
18 febbraio – Giulia Abbate – “Città future, nuovi commons e solarpunk”, moderata da Giuliana Misserville, nell’ambito della rassegna “Passione aliena” presso la Libreria Tra le Righe, a Pisa, dalle 17.30
PROMO SOLARPUNK
Storie per ritrovare la speranza. Salvare il pianeta è possibile, sarà dura e dovremo cambiare tante cose, ma possiamo farcela.
Fino al 28 febbraio, trovi tutti i racconti della COLLANA ATLANTIS a € 0,99 l’uno.
Fai il pieno di sole ;D
I POST del mese, sul blog di Solarpunk Italia
Ricominciare insieme in un mondo danneggiato, prima parte, articolo di Silvia Treves
Può il Solarpunk salvare il mondo?
Jens Liljestrand, “La foresta brucia sotto i nostri passi”, recensione di Franco Ricciardiello
Letture a tema: “Medusa Rossa” di Gloria Bernareggi
Letture a tema: “Educazione critica” di Giovanna Repetto
Anticipazioni
A febbraio pubblicheremo la seconda parte degli articoli “Può il Solarpunk salvare il mondo” e “Ricominciare insieme in un mondo danneggiato”.
Il SEME del mese
Aiutiamo gli invertebrati!
Gli invertebrati – insetti, vermi, ragni ecc. – costituiscono il 97% della vita animale e guidano processi chiave come l’impollinazione e il ciclo dei nutrienti. I progetti per reintrodurli, purtroppo, sono appena il 3% del totale.
Le specie di invertebrati stanno diminuendo a ritmi scioccanti in tutto il mondo, soprattutto a causa del cambiamento climatico.
Le INTERVISTE
Intervista a Nicoletta Vallorani, di Romina Braggion
Intervista al Commando Jugendstil, di Giulia Abbate
Dal nostro archivio
Etica, resistenza, utopia: le città di domani raccontante dal solarpunk
Nel volgere di pochi decenni quasi il 70% della popolazione globale vivrà in città, spesso megalopoli. Ma il futuro inurbamento non sarà equamente distribuito: gran parte di questo processo interesserà regioni di nuovo sviluppo da una parte e di massima povertà dall’altra.
Per questo mese è tutto. A rileggerci!
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